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N. 60 - Dicembre 2012 (XCI)

la francia sul baratro
bilanci e prospettive sul futuro di Parigi

di Massimo Manzo

 

L’inchiesta choc sulla Francia uscita a metà novembre sull’Economist ha scosso le poche certezze che ancora qualcuno nutriva nei confronti del paese transalpino.

 

Senza mezze misure, il settimanale britannico ha infatti  definito la Francia “una bomba a orologeria nel cuore dell’Europa”, sfoderando un dossier di 14 pagine nel quale vengono messe in luce tutte le debolezze dell’economia francese, accompagnate da una copertina provocatoria in cui campeggia un fascio di baguette con una miccia accesa, legate insieme da un nastro tricolore.

 

Le reazioni francesi, ovviamente, non sono tardate ad arrivare; tutti i più importanti esponenti del governo, dal ministro delle finanze Pierre Moscovici al primo ministro Jean Marc Ayrault, così come i più prestigiosi quotidiani, da Le Figaro a Le Monde, hanno risposto in maniera decisa all’affronto, ponendo l’accento sull’estrema faziosità del settimanale e ribadendo che i fondamentali dell’economia non permettono di considerare la Francia alla stregua di paesi come la Spagna o la Grecia.

 

Tralasciando la prevedibile suscettibilità francese da un lato e la forte inclinazione al sensazionalismo che spesso caratterizza la testata britannica, però, non ci si può esimere da alcune brevi considerazioni sul futuro della Francia, data l’importanza ricoperta da Parigi negli sviluppi della crisi dell’euro.

 

Alcuni dei dati forniti dall’Economist sono infatti incontestabili e pongono una serie di incognite sulle riforme che Hollande è chiamato ad attuare nel corso del suo mandato. La competitività del paese sembra aver subito nel corso degli ultimi anni una battuta d’arresto, di certo non ascrivibile solo alla crisi globale ma a inefficienze strutturali già presenti nel sistema, che la crisi ha inevitabilmente acuito.

 

Il confronto con la “locomotiva” tedesca è in questo senso lampante. Secondo le classifiche stilate annualmente dalla Banca Mondiale, la competitività francese appare inadeguata rispetto al suo ruolo di quinta economia mondiale, attestandosi al trentaquattresimo posto nel ranking del “doing business”, che compara le varie regolamentazioni per le imprese all’interno degli stati. Un dato, questo, che pone la Francia molto al di sotto di Germania e Regno Unito.

 

La disoccupazione ha inoltre recentemente raggiunto il 10%, con una tendenza in aumento soprattutto per i giovani in cerca di una prima occupazione. Tutto ciò a fronte di una pressione fiscale ben al di sopra della media europea e di un debito pubblico che ha ormai superato la soglia del 90%.

 

Insomma, la situazione che il nuovo governo socialista si trova a fronteggiare non è rosea; qualsiasi passo falso in politica economica potrebbe causare attacchi speculativi dagli esiti imprevedibili.

 

Che il paese sia vulnerabile lo dimostra la perdita della tripla A avvenuta a gennaio scorso, quando ancora l’inquilino all’Eliseo era Sarkozy.

 

Una semplice disattenzione rischia di rendere quell’esperienza ripetibile.

 

Per l’Economist, il presidente Hollande non sembra ancora pronto a porre mano alle riforme strutturali indispensabili alla ripresa, tra le quali la riduzione della spesa pubblica e la liberalizzazione del mercato del lavoro.

 

Il giudizio del settimanale sul presidente e il suo partito appare in questo forse troppo pessimistico e condizionato da osservazioni opinabili; Hollande è infatti ritenuto debole nel rapporto con i sindacati, poco incline ad aperture liberali in economia ed ancora legato ad uno statalismo di colbertiana memoria molto radicato nella cultura politica francese.

 

In definitiva, vi sono buone possibilità che, dato il poco tempo a disposizione, prevalga l’incapacità di agire incisivamente condannando il paese all’immobilismo, con serie conseguenze sulla tenuta di tutta l’eurozona. Sarebbe dunque Parigi, e non Roma o Madrid, il campo sul quale si gioca la tenuta dell’Unione.

 

Nonostante le cifre sopra ricordate siano indubbiamente preoccupanti, però, bisogna anche valutare i punti di forza della Francia per poter giungere a una valutazione obbiettiva e non cedere ad un affrettato catastrofismo.

 

Se infatti spostiamo la nostra attenzione su altri aspetti, come ad esempio la capacità di attrarre investimenti stranieri, la qualità dell’istruzione, l’altissimo livello di alcune realtà industriali che il paese è ancora capace di esprimere, il giudizio non può essere così netto né scontato.

 

Dal punto di vista politico poi, a differenza del suo predecessore, Hollande ha già dimostrato di non volersi appiattire sulle posizioni rigoriste della Germania, ponendo la necessità della crescita quale priorità assoluta nell’agenda europea.

 

In questo i francesi sanno di poter contare sull’appoggio di altri stati, come l’Italia, i quali, spinti dal loro esempio, sarebbero in grado di creare un asse che condizionerebbe fortemente la linea di Berlino. Un cambiamento di rotta aprirebbe in questo senso prospettive nuove nelle politiche economiche del vecchio continente.

 

D’altronde, storicamente, non si può negare la determinazione con cui la Francia sa far valere i suoi interessi anche in contesti difficili come quello attuale.

 

Toccherà dunque attendere prima di dare un bilancio credibile sull’operato del nuovo presidente. Sperando che dalla crisi globale sorgano nuove opportunità per il futuro dell’Europa.



 

 

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