N. 53 - Maggio 2012
(LXXXIV)
LA FRANCIA DI IERI, LA FRANCIA DI OGGI
RIFLESSIONI SULLE PRESIDENZIALI FRANCESI
di Giovanni Piglialarmi & Roberto Rota
Uno dei grandi centri di fioritura della civiltà europea è, senza
alcuna
ombra
di
dubbio,
la
Francia.
Dal
punto
di
vista
culturale,
la
nascita,
intorno
ai
secoli
XII
–
XIII,
delle
Università
di
Orléans
e di
Tolosa
testimonia
la
grande
potenza
del
paese,
nonché
l’attenzione
verso
il
progresso
“civile”
che
si
mostrava
all’orizzonte, nel
momento
in
cui
la
civiltà
medioevale
tramontava.
La Francia è stata la sede più importante della filosofia scolastica;
è
stata
la
sede
di
uno
stato
che,
dopo
la
Battaglia
di
Bouvines
(1214),
si
avvia
a
diventare,
con
Filippo
II
Augusto,
il primo
grande
stato
nazionale
del
continente.
In questo periodo, quale elemento si configura come rottura con
il
sentimento
di
appartenenza
all’Impero?
La
consapevolezza
che
matura
nei
francesi
è
quella
di
divenire
un
popolo
indipendente,
una
nazione
indipendente,
fiduciosi
in
una
sovranità
diversa
da
quella
dell’Impero,
con
un
proprio
diritto.
Fu
proprio
la
“questione
giuridica”
ad
avviare
quel
processo
d’
indipendenza
tanto
acclamato
dal
popolo
e
dalla
classe
regnante.
Nei
primi
secoli
dell’anno
mille,
vaste
aree
francesi
sono
caratterizzate
da
un
ordinamento
giuridico
facente
capo
al
diritto
consuetudinario
prevalente,
a
questo
punto,
sul
diritto
romano,
il
diritto
dell’Impero.
Alla sola lettura di queste sommarie informazioni, possiamo ben
capire
quale
sia
stata
la
grande
storia
della
Francia:
una
nazione
unita
sotto
il
dominio
di
Parigi,
pronta
a
liquidare
la
potenza
dell’Impero
per
una
propria
identità.
Che
cosa
accade
oggi
in
Francia?
In prima battuta, si può dire: c’è F. Hollande contro N. Sarkozy!
Ma è
doveroso
fare
alcune
considerazioni,
soprattutto
in
questo
momento
così
teso
per
la
politica
in
generale.
La
popolazione
mostra
una
certa
disaffezione
alla
classe
dirigente.
La
“miseria”
è
tanta.
La Francia, paradossalmente o per ironia della sorte, sembra sia
diventata
la
protagonista
del
nuovo
“Impero
Europeo”…
ancora
per
poco.
A parlare in questi toni è il sociologo spagnolo Manuel Castells:
“l’Unione
Europea
vive
da
tempo
sotto
la
supervisione
di
questo
matrimonio
d’interesse
chiamato
Merkozy
(…)
i
paesi
della
zona
euro
hanno
dovuto
indossare
l’uniforme
tedesca
dell’austerità
fiscale
in
stile
Merkel,
condita
da
un
tocco
parigino
di
Xenofobia
nazionalista
alla
Sarkozy”.
Il sociologo sostiene che da questa “combinazione politica” sia
scaturito
un
risultato
alquanto
“atroce”:
le
economie
europee
sono
in
recessione
e
scoraggiano
gli
investitori.
Il
debito
pubblico,
intanto,
“continua
a
crescere
in
una
spirale
distruttiva”.
Castells
sostiene
che
per
ora
la
crescita
è
bloccata.
Ma se con la vittoria di Hollande (che intende diminuire
la
pressione
fiscale),
il
“mostro
Merkozy”
viene
messo
fuori
dai
giochi,
i
giochi
stessi
si
riaprono
e si
creano
nuove
alternative.
Quindi
tutto
dipende
dalla
politica
francese
e
tedesca:
dall’andamento
di
queste
due
si
gioca
la
partita.
I personaggi di spicco di questa nuova svolta politica sono diversi,
tutti
provenienti
da
movimenti
politici
che
hanno
segnato
la
storia
della
Francia
del
900.
Le
presidenziali
del
22
Aprile
hanno
portato
brutte
notizie
in
Francia.
Jean-Luc
Mélenchon,
candidato
del
Front
de
Gauche,
ha
raggiunto
l’
11,1%
dei
voti,
superato
da
Marine
Le
Pen
(17.9%),
leader
della
destra
estrema
francese.
Quest’ultima è già nota sulla scena politica nazionale ed internazionale.
Ha
fatto
proposte
che
toccano
i
temi
dell’immigrazione
come
del
lavoro.
Melénchon,
invece,
ha
un
metodo
tutto
antico
di
fare
campagna
elettorale:
ricorda
l’attivismo
di
un
tempo,
fatto
di
comizi
spregiudicati
e
manifesti.
L’attacco del leader frontista è chiaro: vuole far pagare la crisi
alle
banche,
vuole
tassare
le
grandi
rendite
finanziare,
propone
un’imposta
al
100%
sui
redditi
che
superano
i
360.000
euro.
È
favorevole
alla
settimana
lavorativa
di
35
ore
e al
salario
minimo
lordo
di
1.700
euro.
La Francia, pertanto, non ha mai ceduto, se non sporadicamente,
il
“comando”
ai
governi
di
sinistra.
È
opportuna
un’analisi.
Franco
De
Felice
analizza
i
movimenti
della
Sinistra
Francese
mettendo
in
risalto
l’esperienza
frontista,
come
massima
espressione
dei
movimenti
di
massa
nei
primi
anni
del
‘900.
Egli sostiene che l’attività del Fronte Popolare in Francia sia
stata
totalmente
negativa.
Avrebbe
dovuto
in
passato,
guardando
all’esperienza
sovietica,
raccogliere
ed
esprimere
“politicamente
la
carica
anticapitalistica”
delle
masse
popolari.
Il
fallimento
del
Fronte
Popolare
in
Francia
–
almeno
fino
a
mezzo
secolo
fa –
fu
ribattezzato
da
diversi
storiografi
come
la
“rivoluzione
mancata”.
De Felice considera un dato ormai accertato: l’esperienza
frontista
è un
prodotto
della
crisi
economica
e
mondiale;
infatti,
la
sua
attività
si
basa
sul
fatto
di
dare
risposte
a
problematiche
sollevate
dalla
crisi.
Il
fronte
popolare
è il
primo
tentativo
politico
di
superare
l’oscillazione
tra
economismo
ed
ideologismo,
entro
cui
tende
a
svolgersi
l’intera
riflessone
sul
comunismo
internazionale
e la
subalternità
dell’analisi
socialdemocratica
del
Capitalismo
Organizzato.
Il Socialismo Francese fa paura, pertanto, ai mercati finanziari.
Non
vogliono
assolutamente
una
Francia
Socialista
dopo
quella
di
Mitterrand.
I
governi
francesi
di
stampo
socialista
si
sono
sempre
trovati
a
guidare
il
paese
in
periodi
non
felici.
L’esperienza di Lèon Blum, leader Frontista, ne è l’esempio
piùimportante.
La
sua
attività
politica
raggiunge
il
culmine
con
il
periodo
della
grande
depressione
e
con
l’ascesa
del
fascismo
in
europa.
Blum
sostiene,
in
questo
periodo
storico,
di
poter
superare
la
depressione
-
che
colpì
anche
la
Francia
-
migliorando
la
domanda
aggregata
attraverso
una
serie
di
provvedimenti
che
facciano
aumentare
i
salari,
programmare
le
spese
governative,
introdurre
le
40
ore
di
lavoro
settimanali.
Ma
come
dimostra
la
storia,
tutto
ciò
non
fu
possibile.
A differenza degli Stati Uniti, che avevano due classi contrapposte,
legittimate
nelle
loro
posizioni
e
nei
loro
ruoli,
in
Francia
le
politiche
di
Blum
fecero
scioperare
i
capitalisti,
svalutare
la
moneta,
fecero
fuggire
montagne
di
capitale
da
investire
all’estero.
L’esperienza
frontista
di
Blum
portò
qualche
vento
di
novità
(come
il
contratto
collettivo
nazionale,
le
ferie
pagate)
ma
fallì
con
il
sorgere
dei
movimenti
gaullisti.
In Francia, Socialisti e Comunisti arrivarono alla direzione del
paese
con
orientamenti
simili,
anche
se
si
presentarono
in
termini
opposti.
La
distinzione
che
Blum
rilevava,
tra
esercizio
e
conquista
del
potere,
in
realtà
rifletteva
sulla
potenziale
combinazione
tra
Democrazia
e
Socialismo
in
Francia;
tentare
di
combinare
l’azione
presente
del
Governo
Socialista
con
l’obiettivo
finale
della
Classe
Operaia.
I presupposti di questa filosofia politica non sono da scartare.
Ma
il
movimento
frontista
fallisce
perché
la
sua
attività
più
densa
coincide
con
un
periodo
di
riorganizzazione
del
capitalismo,
proveniente
da
quella
socialdemocrazia
promossa
da
E.
Bernstain.
Oggi
il
Capitalismo
è
per
l’ennesima
volta
in
crisi:
in
che
termini
la
società
si
può
riorganizzare?
La finanza è al di sopra di tutto, anche dell’economia reale. La
società
è
“derivata”
della
finanza.
Se
il
Fronte
Popolare
di
oggi,
con
il
suo
10%,
rappresenta
forse
un’alternativa
ormai
superata,
c’è
sempre
il
candidato
socialista
Hollande.
Come scrive Steven Erlanger sul New York Times Magazine,
Hollande,
anche
se
non
è un
candidato
del
tutto
credibile
soprattutto
in
questi
tempi
di
accentuata
crisi
economica,
rappresenta
un
cambiamento
(necessario).
La Francia ha paura soprattutto di affrontare la questione dell’immigrazione
(che
comporta
anche
una
“contaminazione”
religiosa
e
culturale
abbastanza
forte)
dato
che
negli
ultimi
tempi
la
sua
politica
in
merito
ha
assunto
posizioni
abbastanza
discutibili.
Jacques
Attali,
infatti,
sostiene
che
Sarkozy
abbia
incentrato
la
sua
campagna
elettorale
su
questi
temi
per
adottare
la
“strategia
della
paura”.
Vuole offrire protezione ai Francesi, che si sentono “aggrediti”
dalla
globalizzazione
e
dalle
conseguenze
che
essa
comporta.
Ma i
Francesi
pensano
anche
in
grande:
si
preoccupano
del
ruolo
della
Francia
nel
Mondo:
in
effetti,
Sarkozy,
sul
piano
mediatico
ha
stancato
come
figura.
Mentre
Hollande
rappresenta
una
visione
tradizionale
del
politico
francese.
Chi è F. Hollande? Si descrive egli stesso come un “uomo
normale”,
che
ricorda
le
sconfitte
del
passato
per
essere
un
politico
migliore
oggi.
Ha
preparato
la
su
campagna
elettorale
nel
modo
più
francese
possibile.
Non si è mai definito un ribelle. Ha viaggiato per l’Europa da
ragazzo
in
un
furgone
per
vedere
le
diverse
città
del
continente.
Ha
studiato
nelle
migliori
università
della
Francia.
Qual
è la
sua
posizione
politica
in
queste
elezioni?
Ha superato Sarkozy ma la distanza si sta accorciando con
il
ballottaggio.
Ha
bisogno
dei
voti
del
centro
e,
se
necessario,
dell’estrema
destra
per
vincere.
L’attuale
presidente
francese,
però,
vuole
evitare
un
evento
che
segni
la
sua
carriera:
queste
elezioni
presidenziali
non
devono
essere
un
referendum
avente
oggetto
il
suo
mandato.
Anzi, vuole che i francesi votino con coscienza. Il presidente
uscente
ha
incentrato
il
dibattito
politico
più
sulla
questione
“immigrazione”,
terrorismo
e
conflitti
cultural
–
religiosi.
Sono
questi
i
temi
che
uniscono
una
destra
divisa,
che
potrebbe
offrire
tanti
voti
a
Sarkozy
per
superare
Hollande.
Secondo il sondaggio del giornale newyorkese, Hollande non
è
ritenuto
un
leader
abbastanza
forte.
Ma a
seguito
di
questo
sottile
attacco,
Hollande
ha
risposto
in
questi
termini:
“Capita
tutto
in
un
istante:
vieni
eletto,
un
attimo
dopo
incarni
la
Francia.
E
tutto
cambia”,
parafrasando
l’esperienza
governativa
di
Mitterrand,
il
primo
ed
unico
presidente
socialista
francese.
Oggi
in
Francia
esiste
un
grande
problema.
Chiunque ha la lucidità di constatarlo, può ben scrivere come
Andrew
Hussey,
che
Parigi
non
è
più
il
“centro”.
La
periferia
reclama
la
sua
indipendenza.
È in
atto
una
rivoluzione
culturale?
L’ultima grande rivoluzione che ha avuto questo paese è quella
del
1789.
Scrive
A.
Soboul
“La
rivoluzione
segna
l’avvento
della
società
borghese
e
capitalista
nella
storia
della
Francia.
Al
pari
dell’eguaglianza
con
l’aristocrazia,
era
la
libertà
che
la
borghesia
reclamava,
la
libertà
politica,
certo,
ma
ancor
di
più
la
libertà
economica,
quella
dell’impresa
e
del
profitto.
Il
capitalismo
esigeva
la
libertà,
perché
esso
ne
aveva
bisogno
per
assicurare
il
suo
slancio”.
A questa visione “positivista” della Rivoluzione, si contrappone
una
teoria
critica
in
merito
al
fenomeno,
che
oggi
si
pone
come
la
chiave
di
lettura
di
questa
crisi
economico
-
identitaria.
La
favola
della
borghesia
in
ascesa,
per
secoli
progressiva
e
rivoluzionaria,
appare
decisamente
improponibile.
Ai ceti borghesi che diressero la Rivoluzione Francese non spetta
certamente
il
merito
di
aver
colto
e
indirizzato
le
esigenze
dello
sviluppo
economico
nel
senso
della
“grande
trasformazione”
capitalista
(K.
Polany),
allora
imminente.
Né
tanto
meno
di
aver
rivoluzionato
i
rapporti
di
proprietà.
In
conformità
con
le
premesse
ideologiche,
la
Rivoluzione
si
limitò
infatti
a
riprodurre
il
vecchio
sistema
pre
-
capitalistico
di
produzione.
È
una
interpretazione
molto
forte
ma
che
oggi
anima
il
malcontento
del
popolo
francese.
Scrive Andrew Hussey su The Observer che “i
Francesi
sono
convinti
di
essere
la
nazione
più
civilizzata
del
mondo.
Ma
improvvisamente
hanno
questo
crollo
di
autostima:
la
chiamano
la
sindrome
del
malaise
francais
(malessere
francese).
(…)
I
politici
dicono
la
loro
ma
nessuno
li
crede”.
La crisi economica fa risvegliare quel sentimento di sfiducia nei
confronti
della
classe
borghese
–
parigina
che
è
stata
per
molto
tempo
la
guida
della
società
francese.
E la
periferia
della
Francia
risponde
con
un
atteggiamento
di
“autonomia”,
disinteressandosi
al
problema.
Il
giornalista
francese
sostiene
che,
oggi,
al
di
là
dei
programmi
elettorali
proposti
dai
candidati,
tra
le
città
come
Marsiglia,
Lille,
esistono
divergenze
culturali.
Marsiglia
è
cinica
nei
confronti
di
Parigi;
è
una
città
che
va
orgogliosa
dei
suoi
disagi,
orgogliosa
del
suo
accento
francese
mischiato
a
quello
spagnolo.
Hussey infatti descrive i Marsigliesi in questi termini:
“Puoi
non
essere
d’accordo
con
quello
che
dicono,
ma
puoi
star
certo
che
pensano
quello
che
dicono”.
Lille,
più
che
francese,
è
una
città
del
nord,
che
ricorda
la
periferia
di
Londra.
Come spiegare questo fenomeno? Hussey sostiene che “la
Francia
provinciale
del
ventunesimo
secolo
sta
rapidamente
superando
tutti
i
pregiudizi
che
i
parigini
possono
ancora
avere
sulla
arretratezza
della
vita
di
provincia.
(…)
Non
è
che
non
s’interessino
più
alla
politica
(riferendosi
alla
provincia).
Non
s’interessano
più
di
Parigi.
Certo
anche
se
la
Provincia
si
sta
sviluppando,
ha
ancora
i
suoi
vecchi
problemi,
diversi
in
ogni
regione.
Ma
la
grande
novità
è
che
non
aspetta
più
le
risposte
da
Parigi.
Chiunque
diventerà
presidente,
dovrà
tener
conto
di
questa
Francia:
una
nuova
realtà
che
è
già
in
movimento”.
La Francia ha rivoluzionato il continente dall’età del Sacro Romano
Impero.
La
Francia
è
stata
la
patria
dell’illuminismo.
La Francia è stata il punto di partenza della “Rivoluzione”. Sarà
anche
stavolta
un
punto
di
partenza
per
il
cambiamento
in
Europa?
Riferimenti
bibliografici:
Storia
d’Europa.
Il
Mondo
Contemporaneo,
Fronti
Popolari,
volume
II
pag.
374
e
ss.
"Internazionale",
settimanale,
N.
945,
Anno
19.