filosofia & religione
IL CONTRATTUALISMO DI FRANCISCO SUÁREZ
SUL
DIRITTO DI RESISTENZA
di Enrico Targa
Ben note sono le teorie contrattualiste
di autori come Thomas Hobbes e John
Locke lasciando poco spazio alle opere,
influenti all’epoca, degli scolastici
della Scuola di Salamanca. Le
considerazioni svolte dai teologi e dai
giuristi spagnoli, in ordine al
fondamento della comunità politica, ai
rapporti fra popolo e suprema potestà,
fra comunità politica e società
internazionale, trovano una organica
sistemazione negli scritti del più
grande teologo spagnolo del Seicento,
Francisco Suárez (1548-1617).
Le due opere più importanti dal punto di
vista politico: Tractatus de legibus
ac Deo legislatore (1613),
Defensio fidei catholicae contra
anglicanae sectae errores (1614),
corrisposero indubbiamente alle esigenze
di formulare una compiuta, sistemica
risposta a tutti i problemi che erano
stati suscitati, sia sul piano etico
civile che su quello politico, dalla
Riforma. Suárez,
ispirandosi alla concezione tomistica
del diritto di natura, difende
l’autonomia del potere politico, sia
contro le concezioni libertarie degli
Anabattisti, sia contro la concezione
luterana e calvinista, che aveva portato
lo Stato nell’ambito della diretta
manifestazione divina.
Suárez non accetta né la concezione
luterana dello Stato quale
«spada
di Dio»,
né la teocrazia di Calvino: egli
sostiene la distinzione tradizionale fra
il temporale e lo spirituale: così come
lo Stato non è sottoposto alla Chiesa,
alla stessa guisa lo Stato non può
ingerirsi nella vita e
nell’organizzazione della Chiesa.
D’altro canto la sua polemica nei
confronti della monarchia di diritto
divino, quale era proposta da Giacomo I
d’Inghilterra, si riflette anche sulla
monarchia spagnola di Filippo II: il
diritto di natura costituisce non
solamente il fondamento dell’autonomia
dello Stato, ma l’ineliminabile
presupposto per la
costituzionalizzazione del potere
politico.
L’assolutismo fondato sul diritto divino
del re non trova fondamento nel diritto
di natura: il sovrano, da un punto di
vista politico, è responsabile innanzi
alla comunità. Suárez riprende la
concezione tomistica della comunità
politica, che viene definita come un
vero e proprio
«corpo
politico»,
come un
«corpo mistico»
ad analogia della Chiesa, per indicare
un’esistenza reale, ma diversa da quella
di cui partecipano gli uomini e le cose
materiali.
La comunità politica è indubbiamente
costituita dagli individui, posta in
essere dagli individui stessi: ma il
potere, la summa potestas, la
potestas iurisdictionis, non promana
dagli individui ma dalla comunità: la
sovranità si fonda sul diritto di
natura, in quanto è la conseguenza
necessaria dell’unione tra gli individui
in società. L’essenza del potere
politico risiede nel comando, nella
possibilità di imporre ai consociati un
determinato comportamento, avvalendosi,
se necessario, della forza.
L’uomo non possiede tale potere: ogni
uomo infatti, secondo la concezione
cristiana, precisata da Sant’Agostino, è
originariamente libero, e in quanto
essere razionale ha diritto ad
autogovernarsi: egli non può dominare e
costringere il suo simile. Ecco perché
il potere non deriva dai singoli
individui che lo affidano o lo delegano
ai governanti ma, promana dalla comunità
in quanto unità reale.
D’altro canto occorre fare attenzione a
non confondere il potere che il padre di
famiglia esercita sulla famiglia e sui
figli (la potestas oeconomica,
secondola terminologia aristotelica) con
la potestas iurisdictionis o con
il potere politico, in quanto sono
sostanzialmente diversi: la natura del
primo è più che altro un potere di
direzione, di guida, mentre la natura
del secondo si esprime nel comando,
nella imposizione e nella coazione. La
famiglia come gruppo sociale, fondata
sul diritto naturale, non è una
comunitas perfecta in quanto non può
assolvere a tutte le esigenze
dell’individuo e del gruppo: ha fini
limitati, onde il potere del pater
familias è commisurato a questi
fini.
Adamo, in qualità di progenitore del
genere umano, non ebbe la potestas
iurisdictionis, ma solo la
potestas oeconomica, così come tutti
gli altri padri di famiglia: solamente
quando, con il crescere delle famiglie e
con l’avvertenza delle esigenze che non
potevano essere soddisfatte dal nucleo
familiare, si formò la più ampia
comunità che comprende una pluralità di
famiglie e con l’avvertenza delle
esigenze che non potevano essere
soddisfatte dal nucleo familiare, si
formò la più ampia comunità che
comprende una pluralità di famiglie, si
costituì così il potere.
Il potere politico quindi inserisce
quindi alla comunità, concepita come
unità reale, e costituisce il principio,
la ragion d’essere dell’autonomia, della
indipendenza e della libertà stessa
della comunità. Per chiarire il rapporto
che intercorre tra gli individui e la
comunità Suárez ricorre ad alcune
analogie: il figlio, che nasce
dall’unione dei suoi genitori, in quanto
persona dotata di ragione , ha il
diritto e il correlativo potere di
disporre in piena libertà dei suoi atti,
senza che il padre e la madre gli
trasferiscano alcun proprio potere; la
potestas economica è la
conseguenza oggettiva della costituzione
della famiglia, quale sistema di
rapporti derivanti dal matrimonio, che è
posto in essere dalla libera volontà
degli sposi, ma che come rapporto ha una
sua ragion d’essere autonoma. La
comunità politica sussiste, pertanto,
come un insieme organico e unitario di
rapporti fra tutti gli individui e le
famiglie che la costituiscono, avente
una sua ragion d‘essere autonoma, che la
distingue e la rende superiore ai
singoli.
La comunità politica per Suárez è
certamente costituita dagli individui.
Noi possiamo considerare un insieme di
uomini come un aggregato senza alcun
vincolo, senza alcun principio di
ordine, senza alcuna intenzione di
raggiungere; oppure possiamo considerare
che questo stesso insieme esprima la
volontà comune di raggiungere
determinati fini. Proprio in
quest’ultimo caso gli uomini
costituiscono, cioè pongono in essere
con la loro volontà e il loro consenso,
la comunità politica, che, una volta
formata, acquista, per diritto di
natura, una sua autonoma realtà, che è
sottratta alla volontà dei singoli
individui e che si esprime, come si è
detto, nel potere politico, nel diritto
che ha la comunità di far valere il
proprio comando nei confronti dei
singoli associati.
La conseguenza più importante
dell’affermazione che la summa
potestas, o la potestas
iurisdictionis è espressione della
sua unità reale, è che la sovranità non
è attribuita direttamente da Dio ai
monarchi, come sostengono i teorici del
diritto divino dei re, ma viene invece
concessa dalla comunità ai monarchi. Ciò
significa che il monarca non può
considerarsi responsabile unicamente
dinanzi a Dio ma deve rendere conto alla
comunità della condotta politica;
occorre considerare, a tal proposito,
che il potere, proprio perché attiene al
governo della comunità, deve essere
sempre finalizzato al bene comune; e da
ciò derivano delle regole ben precise.
Per tal motivo Suárez afferma che la
comunità, per il tramite dei
rappresentanti più qualificati, ha
sempre il diritto di resistere con la
forza al re che si comporti da tiranno,
che cioè non persegue più il bene comune
e con ciò pone in forse l’esistenza
stessa della comunità. Va rilevato, a
tal proposito, che, nel costituire la
società, ciascun uomo non ha trasferito
alla comunità il diritto alla tutela dei
propri beni e della propria vita,
diritto costitutivo della personalità e
pertanto intrasferibile, che legittima i
singoli a restaurare con la forza
l’ordine politico che garantisce loro la
vita e i beni. La legittimazione del
diritto alla resistenza attiva al
tiranno è la conseguenza della tesi di
Suárez che la forma di governo o la
costituzione si fonda sul diritto umano,
e pertanto sulla volontà della comunità:
la monarchia, l’aristocrazia, la
democrazia vengono scelte dalla comunità
quali costituzioni che corrispondono
meglio alle loro particolari esigenze e
tradizioni.
Per Suárez la democrazia corrisponde
all’essenza della comunità in quanto il
potere politico per diritto di natura,
appartiene alla comunità, cioè alla
collettività dei cittadini: la
conseguenza è che mentre l’aristocrazia
e la monarchia, trovano il loro
fondamento solamente nel diritto
positivo umano, la democrazia è la
costituzione originaria della società e
si fonda prima sul diritto naturale e
poi su quello positivo. La monarchia non
può rivendicare rispetto alle altre
forme di governo un particolare rimato
basato sul diritto naturale, come
sostengono i teorici del diritto divino
dei re; la legittimazione della
monarchia risiede nell’atto di
conferimento della potestas
iurisdictionis da parte della
comunità.
Tale atto può essere considerato
irrevocabile e di conseguenza il potere
viene trasmesso nell’ambito della
famiglia regnante per diritto di
successione: tale atto irrevocabile non
è contrario né al diritto naturale né al
diritto delle genti e né al diritto
civile; anzi si può dire che proprio nel
diritto naturale si fonda la
giustificazione dell’istituto
monarchico, che deve garantire stabilità
e continuità al governo della comunità.
Ma ciò non significa che tale potere una
volta affidato al monarca, debba essere
considerato assoluto e che la comunità,
e per essa il popolo, sia del tutto
assoggettata al monarca.
In effetti, rileva Suárez, l’atto di
concessione originaria deve essere
considerato come un vero e proprio
patto, mediante cui il potere è affidato
al monarca sotto determinate condizioni,
che debbono essere rispettate dal
sovrano nelle sue attività di governo e
che qualora dovessero essere violate dal
re, legittimano la resistenza attiva del
popolo contro il re. In questo senso
deve essere interpretata sia
l’affermazione di Sant’Agostino, che
l’obbedienza ai re si fonda sul generale
patto della società umana, sia la lex
regia di cui parla il Digesto,
che si riferisce per l’appunto alla
concessione della summa potestas
all’imperatore nell’ambito di norme ben
precise, fissate dalla stessa lex
regia, che deve essere considerata
un vero e proprio patto intercorso tra
il popolo e l’imperatore. Il re che
violi le leggi fondamentali del suo
regno, che regolano la sua attività di
governo, può essere legittimamente
rimosso dalla comunità.
In Suárez sussistono, sulla base del
diritto di natura, una serie di norme
fondamentali che regolano l’esistenza
stessa della comunità politica, per le
quali il potere politico non può essere
considerato in alcun modo assoluto e non
riveste alcuna funzione sacrale, nel
senso che chi lo detiene non può
rivendicare una legittimazione divina
che lo sottragga al controllo stesso
della comunità.
Il potere risulta così
«costituzionalizzato»,
nel senso cioè che deve agire
nell’ambito di norme che hanno un valore
superiore alla volontà di chi detiene lo
stesso potere politico, in quanto si
fondano sul diritto di natura e per ciò
stesso attengono ai principi
fondamentali della persona e della
comunità politica. Il diritto di natura
diventa così la fonte delle norme di
diritto positivo, secondo cui deve
essere governata la comunità politica,
al fine di conseguire il bene comune.
Anche per Suárez la summa potestas,
la sovranità, come già per Vitoria e
soprattutto per Bodin, costituisce la
caratteristica distintiva dello Stato,
l’essenza cioè della
«politicità»;
ma anche per il teologo spagnolo il
potere sovrano non trova limiti solo nel
diritto divino e in quello naturale ma
deve rispettare anche le norme che
regolano i rapporti tra le singole
comunità politiche e che trovano il loro
fondamento nel diritto delle genti.
Come già per Vitoria, Suárez ritiene che
gli Stati fanno parte della più ampia
comunità del genere umano, che deve
essere riconosciuta come ordinamento,
nel senso cioè che essa esprime una
serie di norme che sono il presupposto
affinché possa attuarsi la solidarietà,
l’impegno al mutuo impegno che accumuna
tutti gli uomini. Come nello Stato anche
nella comunità perfetta la consuetudine
è una fonte di diritto vincolante e alla
stessa guisa le tradizioni bisogna
ritenere che nella più ampia comunità di
Stati, gli usi, i costumi e le
tradizioni esprimono un insieme di norme
che consentono di dare stabilità e
sicurezza ai rapporti che si pongono fra
le stesse comunità politiche.
D’altro canto queste norme, che non
state ammesse nell’uso comune degli
Stati, possono essere dedotte dal
diritto di natura, in quanto corrispondo
alla natura razionale dell’uomo, e
possono essere accettate da tutti: la
norma fondamentale del diritto
internazionale, pacta sunt servanda,
il diritto di scambiarsi ambasciatori e
legati, le immunità di cui godono questi
ultimi, la libertà dei commerci, gli
armistizi, hanno una loro intrinseca
obbligatorietà giuridica, in quanto
consentono la collaborazione tra gli
Stati e i singoli appartenenti alle
comunità politiche, senza cui non è
possibile quel miglioramento delle
condizione umane, in vista del quale fu
costituita la comunità politica.
La comunità internazionale integra e
completa l’attività dei singoli Stati.
La concezione del diritto delle genti,
come diritto internazionale, ha
conseguenze particolarmente importanti
per quanto riguarda il diritto di
guerra, che, secondo Suárez non rientra
nell’esclusiva competenza della summa
potestas dello Stato, ma trova una
precisa disciplina proprio nell’ambito
del diritto delle genti, che sanciscono
infatti come sia lecito solamente la
guerra giusta, quella cioè che viene
combattuta per difendersi da un’ingiusta
guerra di aggressione, oppure per
riparare un gravissimo danno subito. Ma
in questo secondo, caso come in quello
di guerra offensiva e di aggressione che
è lecita solo quando si presenta come
mezzo necessario per allontanare un
grave pericolo contro lo Stato, corre
obbligo ai governi di cercare di
risolvere i gravissimi contrasti che
sono alla base del conflitto mediante un
arbitrato internazionale.
In altri termini, il principio
fondamentale cui debbono ispirarsi i
rapporti tra Stati, nell’ambito della
società internazionale, è che la
soluzione dei conflitti non può essere
trovata nell’uso della forza: secondo
Suárez è semplicemente assurdo, e
proprio dei barbari, ritenere che
l’esito vittorioso della guerra possa
esprimere il criterio di giustizia in
base al quale risolvere la controversia
tra Stati; in sostanza la ragione, quale
si esprime nel diritto delle genti, deve
governare i rapporti tra gli Stati, che
non possono fondarsi sull’esito incerto
della guerra.
Riferimenti bibliografici:
Domenico Bilotti, Disobbedire alla
pena. Studio su resistenza e ingiustizia
in riferimento a Francisco Suárez
(1548-1617), Brossura, Castelvecchi,
2021.
Francisco Suárez, a cura di O. De
Bertolis, F. Todescan, Collana: Lex
naturalis. Classici diritto nat.
mod., Trattato delle leggi e di Dio
legislatore, Vol. 3, Cedam, 2013.
Ilaria Acquaviva, Metafisica modale e
ontologia degli enti realmente possibili
in Francisco Suárez, Stamen, 2020.
Cintia Faraco, Il concetto di lex
come vincolo politico nel Tractatus de
legibus di Francisco Suárez, Rivista
online di Filosofia, Università degli
Studi di Urbino Carlo Bo, 2018. |