N. 31 - Luglio 2010
(LXII)
Francesco Paolo Michetti
L’Abruzzo dipinto tra sacro e profano
di Michele Broccoletti
L’arte
di
Michetti
cavalcò
con
successo
la
scena
artistica
italiana
della
seconda
metà
de
XIX
secolo:
le
sue
opere,
vendute
anche
all’estero
per
cifre
da
capogiro,
erano
così
richieste
da
far
persino
nascere,
in
Germania,
un
mercato
di
falsi.
Instancabile
ricercatore
di
tecniche
e
materiali,
si
cimentò
nel
campo
della
fotografia,
dell’architettura,
della
scenografia,
della
filosofia
e
del
cinema
– fu
tra
i
primi
a
girare
una
pellicola
e a
considerare
il
cinema
come
una
nuova
forma
d’arte.
Francesco
Paolo
Michetti
nacque
il 4
agosto
1851
nella
cittadina
abruzzese
di
Tocco
da
Casauria.
Nel
1867,
dopo
aver
chiesto
e
ottenuto
un
sussidio
per
gli
studi
al
Consiglio
provinciale
di
Chieti,
si
trasferì
a
Napoli
e si
iscrisse
all’Accademia
delle
belle
arti
diretta
da
Cesare
Dalbono,
zio
del
pittore
napoletano
Edoardo
Dalbono.
A
Napoli
Michetti
si
inserì
velocemente
negli
ambienti
artistici
e
fece
la
conoscenza
del
mercante
francese
Reutlinger,
grazie
al
quale
poté
esporre
opere
al
Salon
di
Parigi
nel
1872
e
nel
1875
(con
tre
dipinti
andati
perduti).
Nel
1883
il
pittore
scelse
di
tornare
in
Abruzzo,
pur
continuando
a
soggiornare
a
Napoli
per
lunghi
periodi,
e si
stabilì
a
Francavilla
al
Mare,
dove
acquistò
l’antico
convento
francescano
del
XVI
secolo
di
S.
Maria
del
Gesù,
che
divenne
nel
corso
degli
anni,
oltre
la
sua
residenza,
il
luogo
del
suo
ritiro
artistico,
ove
traeva
ispirazione
e
nel
quale
invitava
spesso
intellettuali
e
amici
abruzzesi.
Da
allora
in
poi
Michetti
creerà
con
la
sua
terra
natale
un
legame
inscindibile
che
non
si
può
trascurare
nell’analizzare
l’intera
sua
produzione
artistica.
La
pittura
di
Michetti
è
caratterizzata
da
una
grande
attenzione
ai
paesaggi
rurali,
ai
costumi
e
alle
tradizioni
popolari,
elementi
che
vengono
raffigurati
e
interpretati
con
distaccato
verismo
e
naturalismo.
Attento
alla
quotidianità,
e
spinto
da
un
intento
quasi
documentaristico,
Michetti
è
riuscito
a
cogliere
pienamente
il
realismo
della
vita
contadina,
oggetto
di
un’attenzione
quasi
antropologica.
A
tal
fine
la
fotografia
divenne
per
Michetti
uno
strumento
fondamentale
per
registrare
nel
minimo
dettaglio,
come
in
una
sorta
di
reportage,
la
dura
vita
dei
villaggi
e
dei
paesi
immersi
nell’aspra
natura
delle
montagne
abruzzesi,
come
le
gonne
delle
contadine
raccolte
da
un
lato
per
far
sì
che
il
passo
sia
più
agile
e
svelto
durante
il
lavoro.
In
pittura
il
maestro
arricchisce
queste
immagini
con
la
sua
vasta
gamma
cromatica
per
descrivere
i
tessuti
e i
decori
popolari.
Queste
opere
profane
occupano
un
posto
fondamentale
nell’arte
di
Michetti
ma è
altrettanto
fondamentale
ricordare
il
filone
sacro.
In
questo
genere
Michetti
sa
cogliere
l’aspirazione
della
gente
verso
il
divino,
sempre
ispirato
da
un’attenta
analisi
del
vero:
non
era
infatti
inconsueto
che
Michetti
si
recasse
presso
i
santuari
abruzzesi
per
assistere
a
riti
devozionali
e
processioni.
Tra
questi
dipinti
è
sicuramente
importante
ricordare
La
processione
del
Corpus
Domini
(1877
–
acquistato
dall’imperatore
Guglielmo
II
di
Germania),
che
fu
probabilmente
il
dipinto
con
il
quale
Michetti
raggiunse
la
definitiva
fama
internazionale.
In
questa
tela
il
pittore
rimane
fedele
al
realismo,
dipingendo
i
fiori
gettati
nell’aria,
l’allegria
dei
bambini
e la
gioia
tipica
delle
feste
popolari.
Dello
stesso
tema
sono
I
morticelli
(1880),
Le
serpi
(1900)
e
Gli
storpi
(1900).
Ma
un’altra
opera
consolidò
definitivamente
la
sua
fama:
Il
voto
(1883).
Di
dimensioni
monumentali
(250
per
700
centimetri),
il
dipinto
è
attualmente
esposto
alla
Galleria
nazionale
d’arte
moderna
di
Roma.
Tra
la
nebbia
del
fumo,
l’ombra
delle
navate
e la
luce
dei
ceri,
alcuni
fedeli
penitenti,
poveramente
vestiti,
strisciano
verso
il
busto
di
san
Pantaleone,
protettore
di
Miglianico,
per
baciarlo
e
chiedere
la
grazia:
Michetti
riesce
a
cogliere
i
tipici
atteggiamenti
dei
pellegrini,
i
quali,
dopo
la
lunga
veglia,
si
trascinano
nella
navata
verso
l’altare,
con
movenze
quasi
animalesche.
Dolore
e
pietà
sono
i
sentimenti
che
l’osservatore
prova,
assistendo
a
una
scena
drammatica
che
è
stata
impressa
sulla
tela
con
una
straordinaria
attenzione
per
i
dettagli
e i
particolari.
Basta
notare,
ad
esempio,
i
piedi
dei
penitenti,
che
contraendosi
generano
una
spinta
in
avanti
sul
pavimento,
per
comprendere
la
cura
che
l’artista
riserva
a
ogni
minimo
elemento.
Dall’arte
di
Michetti
esce
un
mondo
non
privo
di
malignità,
violenze
e
pregiudizi,
come
dimostra
una
sua
altra
fondamentale
opera:
La
figlia
di
Jorio
del
1895,
dove
una
giovane
fanciulla,
che
cammina
con
il
volto
nascosto
da
uno
scialle,
viene
additata
e
infastidita
da
un
gruppo
di
uomini.
Questo
dipinto,
oltre
a
ispirare
l’omonima
tragedia
dannunziana,
vinse
la
prima
Biennale
di
Venezia
nel
1895,
iniziando
a
far
conoscere
la
realtà
abruzzese
in
tutta
Europa.
Attivo
fino
ai
primi
anni
del
1900,
dopo
un
trentennio
di
continui
successi,
Michetti
trascorse
altrettanti
anni
in
ricerca
riflessiva
e
vita
appartata.
Dall’inizio
del
XX
secolo,
fino
alla
sua
morte
(avvenuta
il 5
marzo
1929),
attorno
a
lui
si
formò
il
cosiddetto
Cenacolo
michettiano,
composto
per
la
maggior
parte
dai
più
importanti
artisti
abruzzesi
dell’epoca
(oltre
a
Gabriele
d’Annunzio,
possiamo
ricordare
il
musicista
Francesco
Paolo
Tosti
e
gli
scultori
Costantino
Barbella
e
Nicola
D’Antino).
Le
sue
opere
sono
esposte
in
molti
importanti
complessi
museali
italiani
e ci
ricordano
ancora
il
forte
legame
di
Michetti
con
la
sua
terra
natia:
una
passione
da
cui
emerge
un
Abruzzo
sospeso
tra
la
visione
dell’anima
popolare
e
l’immaginazione
del
mito.