N. 124 - Aprile 2018
(CLV)
La Lady Oscar dell’Esercito Austro-Ungarico
LA VICENDA di Francesca Scanagatta
di Stefano Coletta
Mentre
le
armate
di
Napoleone
affondano
l’aratro
della
Rivoluzione
nelle
terre
d’Europa,
a
Milano,
nasce
e
cresce
una
giovane
donna,
che
sogna
di
diventare
ufficiale
dell’Esercito
Austriaco,
nonostante
ciò
sembra
impossibile,
grazie
a
una
serie
di
circostanze
fortuita
non
solo
viene
ammessa
all’accademia,
ma
raggiunge
il
grado
di
Tenente.
Questa
storia
è
incredibile,
sconosciuta
e
ormai
dimenticata,
solo
le
pagine
ingiallite
di
un
piccolo
pamphlet
conservano
le
sue
tracce.
È la
storia
di
Francesca
Scanagatta,
una
giovane
ragazza
milanese,
che,
per
sette
anni,
indossa
la
divisa
dell’Esercito
Austro-ungarico,
partecipa
agli
scontri
contro
le
truppe
napoleoniche
in
Italia
e si
distingue
per
il
suo
valore
e
per
l’abnegazione,
meritando
il
rispetto
dei
sottoposti,
dei
colleghi
e
dei
superiori.
La
nostra
eroina
nasce
a
Milano,
da
una
nobile
e
ricca
famiglia
della
città
meneghina,
il 1
agosto
del
1776,
da
Don
Giuseppe
Scanagatta,
originario
di
Dongo,
una
suadente
cittadina
che
si
affaccia
sul
lago
di
Como,
trasferitosi
a
Milano
perché
incaricato,
dall’Imperatrice
Maria
Teresa,
di
ricoprire
il
ruolo
d’Intendente,
ovvero
di
Prefetto.
La
madre
è
donna
Isabella
De
Villata,
anch’essa
di
origini
nobili.
Francesca,
all’età
di
sei
anni,
viene
affidata
alle
cure
di
Madame
Dupuis,
istitutrice
di
origine
francese,
che
oltre
a
educarla
alle
buone
maniere
e
alle
lingue
straniere
(francese
e
tedesco)
si
preoccupava
di
raccontarle
avventure
romanzesche
che
eccitano
l’animo
della
giovinetta
e la
spingono
a
riconoscersi
con
gli
eroi
maschili.
All’età
di
10
anni
viene
collocata
nel
Collegio
delle
Suore
Salesiane
di
Milano,
secondo
gli
usi
delle
famiglie
patrizie
dell’epoca.
In
quest’ambiente,
la
fanciulla
si
fa
notare
per
il
suo
carattere
tenace,
determinato,
indipendente
e
generoso,
che
la
rese
la
beniamina
delle
compagne
e
della
«Madre
Superiora».
Inoltre,
la
giovinetta
si
distingue
nello
studio
e
nelle
attività
fisiche.
Francesca
compiuti
sedici
anni
sostiene
gli
esami
finali
del
collegio
e
rientra
in
famiglia,
che,
nel
frattempo,
s’è
trasferita
a
Treviso,
dove
il
padre
ricopre
l’incarico
d’Intendente
capo.
In
questo
periodo,
la
giovane
inizia
a
indossare
abiti
maschili,
con
il
consenso
paterno,
durante
i
viaggi
e
gli
spostamenti
al
di
fuori
del
contesto
cittadino,
per
ragioni
di
praticità.
Il
suo
aspetto
fisico
è il
seguente:
alta
1.60
cm,
“forme
belle”
e
ben
proporzionate,
lineamenti
ben
marcati
e
regolari,
la
fronte
alta
e
ampia,
gli
occhi
verdi
e le
ciglia
folte
e
nere
che
le
conferivano
un
aspetto
fiero
e
determinato.
Il
padre
è
deciso
a
far
proseguire
gli
studi
alla
figlia,
alla
luce
dei
risultati
conseguiti
dalle
Suore
Salesiane,
ma a
Treviso
non
c’erano
strutture
adatte,
per
questo
motivo
decide
d’iscriverla
a
Vienna,
presso
un
pensionato
femminile;
mentre,
s’adopera
a
far
ammettere
il
figlio
maschio,
Guido,
presso
l’Accademia
Militare
di
Neustadt.
I
due
ragazzi
intraprendono
il
viaggio
per
raggiungere
le
rispettive
destinazioni
accompagnati
dai
coniugi
Giuliani,
che
dovevano
recarsi
a
Vienna
per
visitare
dei
parenti.
Giunti
a
Udine,
il
fratello
confessa
alla
sorella
che
non
aveva
alcun
interesse
a
indossare
la
divisa
e
per
questo
si
finge
ammalato,
pretesto
utile
per
poter
ritornare
a
casa.
Francesca
sottratti
i
documenti
attestanti
l’ammissione
del
fratello
all’Accademia
e la
lettera
di
presentazione
per
il
Dottor
Haller,
medico
chirurgo
dell’Accademia,
presso
cui
era
stato
alloggiato
dal
padre,
continua
il
viaggio,
saluta
sia
i
coniugi
Giuliani,
con
la
scusa
che
deve
accompagnare
il
fratello
a
casa,
sia
quest’ultimo,
che
basito
accetta
lo
scambio
e le
augura
di
realizzare
il
sogno
di
diventare
ufficiale.
Mentre
Guido
ritorna
a
Treviso
e
subisce
la
dura
reprimenda
del
padre,
Francesca
approda,
vestita
da
maschio,
a
Vienna
e si
presenta
dal
suo
ospite
che
rimane
affascinato
dalla
sua
simpatia
e
cordialità,
tanto
da
considerarlo,
da
subito,
un
suo
pupillo.
Nel
frattempo,
Don
Giuseppe
Scanagatta,
preoccupato
per
lo
scandalo
che
può
derivare
dalla
scoperta
del
sesso
della
figlia,
si
precipita
a
Neustadt
per
riportarla
a
casa.
Inutili
risultano
le
insistenze
del
genitore,
perché
Francesca
è
ferma
e
irremovibile
nel
suo
proposito.
Il
Dottor
Haller
non
riesce
a
comprendere
il
motivo
delle
discussioni
e
non
afferra
la
vera
natura
che
spinge
il
padre
a
insistere
con
la
figlia
a
ritornare
a
casa,
dal
momento
che
non
conosce
la
lingua
italiana,
elemento
che
gioca
a
favore
di
Francesca.
Il
medico
si
convince
che
le
preoccupazioni
del
genitore
sono
dettate
da
un
desiderio
eccessivo
di
protezione,
per
questo
si
fa
garante,
presso
il
padre,
di
proteggere,
assistere
e
aiutare
Francesca,
come
se
fosse
suo
“figlio”.
Stanco
e
desideroso
che
non
emerga
la
verità,
Don
Francesco
Scanagatta
decide
di
riprendere
la
via
del
ritorno,
incrocia
le
dita
e
spera
che
la
durezza
della
vita
militare
faccia
desistere
la
figlia
dal
perseverare
nel
suo
intento.
Ma
le
cose
non
vanno
come
sperato,
a
confermarlo
furono
le
lettere,
scritte
in
latino,
del
Dottor
Haller.
In
una
lettera
del
7
novembre
1795
informa
il
padre
che
«il
vostro
diletto
figlio
si
mostrò
tanto
assiduo
e
diligente
nello
studio
da
ottenere
l’approvazione
piena
di
tutti
i
professori.
Come
premio
a
tanto
sforzo
compiuto
gli
toccò
l’onore
di
essere
invitato
alla
mensa
dell’eccellentissimo
Generale
de
Kinsky».
L’applicazione
di
Francesca
non
ebbe
rivali,
nel
1796,
accede
alla
nona
classe
«quella
nella
quale
ci
si
addestra
in
modo
perfetto
alle
esercitazioni
e al
servizio
militare,
s’impara
la
pirotecnica,
l’arte
delle
fortificazioni
e le
altre
scienze
che
prima
si
appresero
solo
in
teoria
e
che
sono
utili
a
formare
bene
l’ufficiale»
e il
suo
mentore
suggerisce
al
padre
di
evitare
d’insistere
nella
volontà
che
rientri
a
casa,
poiché
se
«continuasse
la
guerra,
il
carissimo
Francesco
uscirebbe
dall’Accademia
già
ufficiale».
Il
padre
si
arrende
all’evidenza
e
permette
alla
figlia
di
continuare
la
farsa,
che
le
consente
di
superare
gli
esami
finali
e
conseguire,
il
16
febbraio
1797,
il
titolo
di
alfiere,
il
primo
gradino
nella
carriera
da
ufficiale.
La
prima
destinazione
è il
6°
Reggimento
di
Frontiera
San
Giorgio
Varadino,
nei
pressi
di
Magonza;
qui
si
distingue
perché
mantiene
una
condotta
esemplare
e
dei
modi
gentili,
divenendo,
ben
presto,
l’idolo
dei
suoi
sottoposti
e
ottenendo
il
rispetto
dei
colleghi
e
dei
superiori.
Il 9
dicembre
1797
il
suo
Reggimento
viene
inviato
in
Boemia
e in
Slesia,
per
svolgere
le
esercitazioni
invernali.
I
suoi
modi
e i
suoi
tratti
fanno
strage
di
cuori,
alcune
giovanette
invaghitesi
dell’aitante
ufficiale
decidono
di
abbandonare
il
tetto
paterno
per
seguirlo
nei
suoi
spostamenti,
ma
senza
alcun
risultato,
se
non
quello
di
ritornare
a
casa
scortate
dalla
polizia.
Qualche
dama
avanza
dei
dubbi
sulla
sua
virilità,
Francesca
non
si
fa
intimorire
e
risponde,
con
noncuranza,
che
se è
desiderosa
di
scoprirlo,
può
seguirla
nei
suoi
alloggi
e
accettarsene
di
persona.
Frase
che
provoca
il
risentimento
dei
mariti,
che
chiedono
soddisfazione,
ma
l’uso
provetto
delle
armi,
fa
uscire
la
nostra
eroina
vincitrice.
La
vita
monotona
della
guarnigione
non
si
confà
a
Francesca,
per
questo
motivo
si
offre
di
sostituire
un
collega,
padre
di
famiglia,
che
era
stato
trasferito
nell’esercito
da
campagna;
ottenuta
l’autorizzazione,
Francesca
si
mette
in
viaggio.
La
prima
destinazione
è
Brunn,
in
Boemia,
in
seguito
giunge,
nel
settembre
del
1798,
a
Lublino,
in
Polonia,
qui
rimane,
fino
ai
primi
di
dicembre,
quando
sopraggiunge
l’ordine
di
aggregazione
al
Reggimento
di
stanza
nel
Banato.
Ma
non
può
eseguire
l’ordine,
perché
s’ammala,
gravemente,
di
artrite,
per
questo
motivo
viene
trasferita
presso
l’ospedale
di
Lublino,
dove
rimase
allettata,
per
due
mesi.
Colpì
i
medici
militari
per
la
sua
determinazione
e
volontà
di
guarire
velocemente,
inoltre,
si
rese
disponibile
ad
aiutare
e
consolare
i
feriti
gravi,
soprattutto
quelli
che
avevano
perso
arti,
condannati
a
dover
abbandonare
la
divisa.
Non
appena
ristabilitosi,
si
rimette
in
viaggio
per
Pancsova,
una
cittadina
del
Banato
meridionale,
oggi
conosciuta
con
il
nome
Pančevo
(in
serbo
Панчево,
in
ungherese
Pancsova,
in
romeno
Panciova,
in
tedesco
Pantschowa)
dove
lo
attendeva
la
sua
compagnia.
Vi
giunge
il
10
aprile
1799
e
riprende
il
normale
servizio
di
guarnigione.
L’esperienza,
seppur
breve,
dell’esercito
da
campagna
le
aveva
confermato
la
sua
vera
predisposizione
e
per
questo
motivo
medita
sulla
possibilità
di
passare,
definitivamente,
nei
ranghi
dell’esercito
da
campagna.
Nel
frattempo,
il
13
luglio
1799
Francesca
presenta
formale
protesta
al
comandante
del
suo
reggimento
per
non
aver
ottenuto
la
promozione
a
tenente,
nonostante,
aver
maturato
l’anzianità
di
servizio
necessaria,
situazione
che
arreca
offesa,
non
solo,
a
lei
ma
«all’intiero
corpo
degli
ufficiali
non
avrà
più
alcuna
stima
di
me
per
la
mia
posizione
di
ufficiale
scavalcato
e
per
di
più
non
in
un
caso
per
la
promozione
occorressero
dei
meriti
speciali,
ma
in
quello
di
avanzamento
ordinario».
Il
comandante
di
reggimento
adduce
come
giustificazione
che
«a
cagione
di
un
ritardo
nell’invio
dei
documenti
degli
ufficiali
trasferiti
non
poteva
conoscersi
il
suo
rango,
però
deve
ritenersi
promosso
con
la
prossima
promozione».
Allo
stesso
tempo,
Francesca
chiede
il
trasferimento
definitivo
nei
ranghi
dell’esercito
da
campagna,
che
avviene,
nel
novembre
1799,
con
l’inserimento
nel
6°
Reggimento
Banato,
pochi
giorni
prima
del
suo
trasferimento
in
Italia,
per
riportare
l’ordine
a
Genova,
dove
le
armate
napoleoniche
avevano
portato
il
germe
della
libertà
e
fatto
nascere
la
Repubblica
Genovese.
In
breve
tempo,
Francesca
partecipa
a
tutte
le
operazioni
anti-napoleoniche
in
territorio
italico,
si
distingue
negli
scontri
relativi
alla
presa
del
forte
di
Barbagelata,
avvenuti
all’interno
della
battaglia
della
Trebbia,
meritando
la
promozione
a
primo
tenente.
Nel
frattempo,
i
genitori
informano
Francesca
che
due
fratelli
militano
nell’esercito
di
Napoleone,
cosa
che
preoccupa
la
giovane,
ma
non
la
determina
ad
abbandonare
la
divisa
del
Regio
Esercito
austro-ungarico.
Donna
De
Villata,
dinanzi
alla
resistenza
della
figlia
e
preoccupata
dello
stato
di
salute
di
costei,
soprattutto,
dopo
aver
appreso
che
la
figlia
si
trova,
spesso,
in
prima
linea,
decide
di
recarsi
all’accampamento
della
figlia,
dove
scopre
che
costei
s’era
prodotta
una
vasta
ecchimosi
al
seno,
perché
solita
comprimerlo
con
una
fascia
per
non
renderlo
visibile,
situazione
che
sconcerta
la
donna.
Inizia
a
insistere
per
farla
rientrare
a
casa,
la
minaccia,
la
prega,
glielo
ordina
come
madre,
ma
ogni
tentativo
fallisce,
al
termine
è
costretta
a
risalire
in
carrozza
e
riprendere
la
via
di
casa.
Appresa
la
situazione
Per
questa
ragione,
don
Giuseppe
Scanagatta,
il
padre,
prese
la
decisione
più
difficile
comunicare
ai
superiori
il
reale
sesso
della
figlia,
cosa
che
fa
nei
primi
giorni
del
maggio
1800.
Appresa
la
notizia
il
Generale
Melas
convoca
la
ragazza
presso
i
suoi
uffici,
ma
per
non
destare
sospetti,
le
dice
di
recarvisi
con
comodo,
Francesca,
si
presenta
dinanzi
al
superiore,
un
mese
dopo,
il
10
giugno,
il
Generale
Melas,
dopo
«averlo
trattato
con
ogni
riguardo,
altamente,
encomiando
il
suo
valore
gli
espresse
come
affari
pressanti
e di
grave
urgenza
lo
richiamassero
in
famiglia
e
come
fosse
spiacente
di
non
poter
conservare
all’esercito
un
così
bravo,
intelligente
e
prode
ufficiale
che
onorava
il
proprio
reggimento».
Per
non
creare
imbarazzo
e
scandalo,
si
sparge
la
voce
che
il
giovane
ufficiale
deve
tornare
a
casa,
per
motivi
familiari,
quindi
si
organizza
una
festa
di
commiato,
durante
la
quale
viene
trattato
come
un
maschio
e
riverito
dai
colleghi
e
omaggiato
dai
superiori.
Quindi
viene
munita
di
regolare
permesso
di
viaggio
che
recita:
«il
signor
sottotenente
Scanagatta
di
questo
battaglione
avendo
ottenuto
il
permesso
di
visitare
i
genitori
a
Milano
in
seguito
a
ordine
del
comando
di
Corpo
d’Armata,
datato
Nizza
18
maggio
1800,
eseguirà
il
seguente
viaggio:
Recco-Rapallo-Sesri-
Materana-Risco-Sarzana-Pietrasanta-Lucca»,
in
realtà,
a
causa
della
guerra,
il
giro
fu
più
largo:
Chiavari,
Lucca,
Modena,
Ferrara,
Bologna,
Legnago,
Padova,
Dolo,
Mestre,
Verona.
In
questa
città
le
viene
impedito
continuare
il
viaggio
a
causa
degli
scontri
e
quindi
il
comandante
della
piazza
gli
ordina
di
recarsi
a
Venezia
«dove
attenderà
la
destinazione
definitiva».
Nel
frattempo,
la
notizia
era
trapelata,
per
questo
motivo,
gli
alti
comandi
dispongono
il
trasferimento
di
tutti
i
colleghi
di
Francesca,
per
le
varie
dell’Impero,
in
modo
da
non
poter
diffondere
la
notizia,
i
due
che
rimangono
sono
trattati
molto
severamente,
dal
nuovo
comandante,
quasi
a
volerli
punire
di
non
essersi
accorti
del
sesso
di
Francesca.
Il
padre
della
nostra
eroina
è
costretto
a
rassegnare
le
dimissioni
da
Intendente,
perché
ritenuto
colpevole
di
aver
taciuto
la
situazione
e
aver
collaborato
a
gettare
discredito
sull’Esercito
Imperiale,
la
conseguenza,
immediata,
è il
rimanere
senza
lavoro
e,
per
quanto
si
adoperi,
non
riesce
a
reperire
un
idoneo
incarico,
per
cui
si
vede
costretto
a
emigrare,
con
la
conseguenza
che
la
famiglia
inizia
a
versare
in
condizioni
economiche
a
cui
non
era
abituata.
Per
questa
ragione,
Francesca
scrive
all’Imperatore
la
seguente
supplica:
«Altezza
Reale:
il
Sottoscritto
ha
avuto
l’onore
di
dedicare
in
qualità
di
ufficiale
i
suoi
anni
migliori
al
servizio
del
suo
sovrano
e di
aver
adempiuto
i
suoi
doveri
di
onorato
e
fedele
ufficiale,
come
chiaramente
risulta
dai
ruoli
dell’onorevole
Wenzeel,
e
finalmente
da
quelli
dell’onorevole
reggimento
tedesco
del
Banato.
Ora
per
mezzo
di
una
nota
in
data
26
aprile
1801
del
comando
di
divisione
di
questa
città
pervenuta
alla
sua
famiglia
viene
a
sapere
di
essere
stato
congedato.
Come
se
non
bastasse
l’essere
costretto
a
lasciare
il
servizio
contro
la
sua
volontà,
la
famiglia
gli
fa
adesso
conoscere
che
non
è in
grado
di
mantenerlo
perché
in
questi
ultimi
tempi
molte
disgrazie
ha
dovuto
sopportare
e il
padre
del
sottoscritto
era
Intendente
a
Treviso,
nel
Veneto,
e a
Crema,
nel
Milanese,
ora
è
emigrato
e si
trova
lontano
senza
impiego.
In
tale
condizione
critica
e
angustiante
il
sottoscritto
si
sente
troppo
ardito
di
cercare
la
sua
protezione
in
S.A.R.
e di
pregare
umilissimamente
la
medesima
altezza
di
dare
uno
sguardo
benevolo
al
servizio
prestato
e di
ottenergli
dalla
ben
nota
bontà
di
S.M.
una
pensione
giacché
è
conosciuto
che
S.M.
l’imperatrice
Maria
Teresa
e
S.M.
Giuseppe
II,
di
venerata
memoria,
in
simili
circostanze
abbiano
fatto
la
grazia
sovrana.
Siccome
il
sottoscritto
non
ha
ancora
ricevuto
alcun
decreto
circa
il
suo
congedamento
così
si
lusinga
di
potersi
ancora
sottoscrivere
di
S.A.R.
umilissimo
servo
Tenente
Scanagatta
Francesco».
Il
23
maggio
1801,
Francesca
viene
raggiunta
dal
decreto
di
congedamento
e da
un
attestato,
firmato
dal
Generale
Di
Bellegarde,
che
recita
quanto
segue:
«In
seguito
a
una
lettera
del
Consiglio
Aulico
di
Guerra
in
data
11
giugno
s.a.
il
6°
Battaglione
del
Banato
ebbe
ordine
di
congedare
l’alfiere
Francesco
Scanagatta,
in
servizio
presso
il
medesimo
a
causa
del
suo
sesso
femminile.
Sotto
la
data
dell’8
aprile
di
quest’anno
il
comando
di
reggimento
del
Banato
di
cui
fa
parte
il
suddetto
battaglione
ha
provveduto
che
la
comunicazione
all’ufficiale
congedato
fosse
fatta
dal
battaglione
prima
della
riunione
di
questo
al
reggimento
essendo
stata
essa
per
di
più,
prima
dell’ordinato
congedamento
promossa
sottotenente.
Siccome
questa
donna
eccezionale
nelle
sue
qualità
di
ufficiale
ha
sempre
avuto
di
mira
il
dovere
e
s’è
anche
comportata
bene
in
difficili
occasioni
e
circostanze,
così
non
vogliamo
negare
alla
sua
energia
e
onestà
questo
giusto
attestato
e di
lasciarglielo
per
iscritto».
Nel
frattempo,
giunge
da
Vienna
la
missiva
dell’Imperatore
che
autorizza
Francesca
a
godere
di
una
pensione
annua
di
200
fiorini,
come
attestato
del
suo
comportamento
di
militare.
Tale
somma
permette
a
lei
e ai
suoi
cari
di
provvedere
alle
prime
necessità
e di
cercare
di
risollevarsi
dalla
triste
situazione
economica
in
cui
s’erano
venuti
a
trovare.
Ritornata
a
casa,
si
preoccupa
di
trasformare
i
beni
immobili,
di
proprietà
dei
suoi
genitori,
in
denaro,
per
evitare
la
crisi
completa.
Nel
frattempo,
i
suoi
ex
commilitoni
iniziano
a
inviarle
lettere
allo
scopo
di
attestarle
la
loro
stima
e di
rendersi
disponibili,
qualora
abbia
bisogno.
Il
15
gennaio
1804
Francesca
convola
a
giuste
nozze
con
il
Tenente
Selestino
Spini,
dell’esercito
Cisalpino,
strana
vendetta
del
destino,
due
ex
nemici
sul
campo
sono
divenuti
due
teneri
amanti
in
camera
da
letto.
Francesca
si
dedica
alla
famiglia
e
partorisce
quattro
figli.
Nel
1852
riceve
l’invito
da
parte
dell’Accademia
di
Neustadt,
come
tutti
gli
ex
allievi,
di
partecipare
ai
festeggiamenti
per
il
centenario
della
sua
fondazione.
Francesca,
nonostante
l’età
e la
vedovanza,
decide
d’intraprendere
il
viaggio
per
poter
partecipare
e
ricordare
i
tempi
della
sua
giovinezza
e ha
l’occasione
d’incontrare
suoi
ex
compagni
di
corso,
che
le
dimostrano
i
loro
più
affettuosi
segni
di
stima
e di
riconoscimento.
Muore,
nel
1864,
e
viene
seppellita,
a
Milano,
nel
cimitero
dei
Corpi
Santi
di
Porta
Venezia,
oggi
zona
via
Buenos
Aires.
A
celebrare
le
esequie
è il
figlio
sacerdote
don
Francesco
Spini,
che
la
ricorda,
con
le
parole
usate
dall’aiutante
del
Generale
Melas,
«uno
dei
più
risoluti
e
bravi
soldati
dell’esercito
austriaco».
Si
preoccupa
di
rispettare
la
volontà
della
madre
di
non
apporre
alcuna
lapide,
ma
una
semplice
croce
di
ferro.
Segno
di
grande
umiltà
e
semplicità,
le
medesime
virtù
che
l’avevano
contraddistinta
in
vita.
Riferimenti
bibliografici:
Vittorio
Adami,
La
signorina
Francesca
Scanagatta
milanese
ufficiale
nell’esercito
austriaco,
Tipografia
Varesina,
Varese
1925.
Spini
Celestino,
Cenni
biografici
sulla
avventurosa
vita
accademica
guerriera
privata
della
milanese
eroina
Francesca
Scanagatta,
Gattinoni,
Milano
1876.
Tina
Del
Ninno,
Franca
Feslikenian,
Francesca
Scanagatta.
Milanese,
ufficiale
(1776-1864).
La
storia
e
l’avventura,
Italia
Press,
Milano
2011.