DELITTO D’ONORE E MATRIMONIO
RIPARATORE
SUL CORAGGIO DI FRANCA VIOLA
di Francesca Zamboni
Il matrimonio riparatore e il
delitto d’onore hanno rappresentato
per tanti anni nel panorama
giuridico italiano non solo una
contraddizione etimologica per
l’accostamento dei termini, ma
un’offesa per la donna resa oggetto
manipolabile da parte di una società
retaggio di un’epoca dittatoriale e
patriarcale, che desiderava la donna
sottomessa e angelo del focolare.
D’altronde riparare un matrimonio e
onorare un delitto più che norme
giuridiche sembrano rispettivamente
un fuori tema linguistico e un
ossimoro degni entrambi di un
romanzo distopico della Atwood. Il
matrimonio è unione, mantenendo
sempre la propria individualità, ma
non certo riparazione; e il delitto
non è sicuramente onore. Tuttavia
per avere un’idea della portata
della situazione è sufficiente
rileggere alcuni vecchi articoli del
Codice Penale Rocco (o Codice Rocco)
appartenente al periodo fascista.
L’articolo 544, poi abolito nel
1981, sosteneva per esempio che lo
stupro era un reato contro la
moralità e non contro la persona. A
essere tutelata dunque non era la
vittima ma il buon costume, violando
doppiamente la donna che non era
libera di scegliere e difendersi,
bensì obbligata a sposare il suo
stupratore per salvaguardare le
apparenze.
E spesso, aspetto ancora più
allucinante, gli artefici del
cosiddetto matrimonio riparatore
erano i genitori della stessa
ragazza a cui lo stupratore dava il
consenso solo per estinguere il
reato come previsto dall’articolo
530.
Un compromesso vicendevole tra due
famiglie per togliersi due macchie:
una penale e una agli occhi di una
società ipocrita e sessista. Senza
tener conto della macchia indelebile
che una scelta del genere avrebbe
lasciato sulla ragazza, vittima
della sua famiglia e di un intero
sistema supportato da un codice e
anche da una mentalità religiosa per
la quale una donna non può avere
rapporti sessuali prematrimoniali.
L’articolo 587, anch’esso abolito
nel 1981, sempre appartenente al
Codice Rocco prevedeva invece una
riduzione di pena per chi causasse
la morte del coniuge della figlia o
della sorella scoprendo
un’illegittima relazione carnale. Il
delitto per poter beneficiare delle
attenuanti doveva essere compiuto in
uno stato d’ira e la situazione per
la quale il delitto era scaturito
doveva aver recato offesa al suo
onore e a quello della sua famiglia.
La reclusione dai tre ai sette anni
faceva inoltre sottintendere quanto
il reato fosse a favore dell’uomo,
potenziando la figura patriarcale da
un lato e destrutturando quella
femminile dall’altro, vista come
l’incarnazione del disonore.
Anche se la norma non attribuisce
l’esclusiva del reato solo all’uomo,
un’attenta lettura della norma
mostra una discriminazione insita
nella stessa fattispecie, perché il
delitto d’onore ricorreva solo
quando il reato coinvolgeva coniuge
sorella o figlia, ma non fratello o
figlio. Quindi il padre che avesse
trovato la figlia o la sorella con
l’amante avrebbe potuto uccidere e
beneficiare delle attenuanti,
viceversa non avrebbe potuto fare la
stessa cosa se nella situazione
fosse stato coinvolto il figlio.
Ricapitolando, un matrimonio
riparatore per chi non fosse ancora
sposata e un delitto d’onore per chi
avesse contratto il matrimonio ma
avesse ceduto alla lussuria: due
norme conformiste che nulla avevano
a che vedere con l’amore e con il
rispetto, semmai con un retaggio
gerarchico dove ancora una volta la
figura femminile veniva
strumentalizzata e umiliata.
Questo scenario durò fino al 26
dicembre 1965, fino al rapimento di
Franca Viola, una giovane
adolescente del trapanese; un
rapimento durato un’infinità di
giorni amplificato dalle violenze
fisiche e psicologiche che la
giovane subì. L’aguzzino: un vecchio
fidanzato, il malavitoso Filippo
Melodia, ma Franca si ribellò e con
lei il padre Bernardo, che si
costituì parte civile.
Quindi niente matrimonio riparatore,
perché per Franca non c’era niente
da riparare agli occhi di una
società artefatta, semmai c’era una
ragazzina da tutelare, proteggere e
amare, denunciando i colpevoli,
mostrando non solo al paese locale,
ma all’Italia intera le ferite di
una mentalità sovrastata dai tabù,
dai ricatti e dalle minacce mafiose.
Agli occhi dell’opinione pubblica il
suo gesto apparve per la prima volta
un atto rivoluzionario contro un
sistema che cercava un vile
compromesso a cui Franca non
cedette. La violenze fisiche e
psicologiche inflitte da Filippo
Melodia, che la voleva sua sposa
come se fosse una sua proprietà, le
portarono via una parte di esistenza
da cui Franca seppe risollevarsi
come donna capace di apportare un
cambiamento mentale e giuridico
nella società italiana senza
precedenti.
Franca durante questo lungo ed
estenuante percorso ebbe al suo
fianco un uomo, il padre, il suo
punto di riferimento. Insieme non
cedettero, neanche quando in
tribunale Melodia tentò
ingiustamente di screditarla e
infangarla ulteriormente. E nel
frattempo Franca trovò anche il
grande amore, quello vero quello
senza tabù. Mentre Melodia fu
condannato con sentenza definitiva a
10 anni anni di pena detentiva.
Il 5 settembre 1981 poi la grande
svolta: l’abolizione del matrimonio
riparatore e del delitto d’onore con
la legge 442. Un grande conquista
raggiunta più col cuore che con un
iter legis classico.