sedici vittime compreso il bravo pilota in lotta per il
titolo mondiale.
Si susseguirono
negli anni ’60 molti fortissimi piloti e altrettanti
purtroppo persero la vita. Phil Hill era americano,
veloce, vinse il suo unico titolo il giorno della
tragedia di Monza, scavalcando dopo l’ultima gara
proprio lo sfortunato compagno. I britannici Graham Hill,
omonimo ma per nulla apparentato con Phil, e John
Surtees, furono due piloti accomunati da una formazione
simile nel mondo delle due ruote. Il primo, Graham,
caratterizzato dai grossi baffoni, debuttò con la Lotus
nelle vesti di meccanico, fu poi promosso pilota nel
1958, ma è alla BRM che trovò fortuna e gloria, vinse i
mondiali del 1962 e quello del 1968 e terminò la
carriera dopo un brutto incidente, fortunatamente non
mortale. Sarà ricordato come specialista del
difficilissimo circuito di Montecarlo: tra le strade
cittadine della capitale del principato monegasco ebbe
un record di cinque affermazioni, che sarà eguagliato e
superato solo molti anni dopo dal magico Ayrton Senna.
John Surtees è invece un caso più unico che raro: sette
volte campione mondiale di motociclismo in sella ad una
MV Agusta, decise di passare alla Formula 1 e conquistò
l’iride con la Ferrari nel 1964.
Ma gli anni
Sessanta sono soprattutto gli anni di Jim Clark,
scozzese, tra i talenti più puri della storia. Vince la
prima gara nel 1962 grazie a una Lotus motorizzata
Climax concepita dalla più geniale mente che la Formula
1 ricordi: il progettista Colin Chapman. Jim comunque ci
mette del suo, con una vettura per la prima volta dotata
di una monoscocca, ossia di una componente unica
portante a tenere insieme tutta l’automobile, vince il
gran premio del Belgio e dà il via ad una serie di
vittorie impressionanti che lo porteranno 25 volte sul
gradino più alto del podio e 33 volte a partire davanti
a tutti sulla griglia di partenza. Nel 1965 addirittura
rinunciò a correre al GP di Monaco per poter partecipare
oltreoceano (vincendo) alla celeberrima 500 miglia di
Indianapolis. Al rientro riesce a conquistare il primo
posto nelle cinque successive corse: titolo mondiale,
neanche a dirlo. Nel settembre del 1967 è autore di una
delle più belle imprese della storia: parte in pole
position ma è costretto a fermarsi al tredicesimo giro
per cambiare gli pneumatici, riparte con un minuto e
mezzo di distacco dal primo e, giro dopo giro, inizia un
turbinio di sorpassi scatenando l’entusiasmo della
folla, riagguanta e supera tutti i piloti che lo
precedevano e torna al comando. Un problema di pescaggio
del carburante lo costringerà, a due giri dalla fine, a
rallentare, e ad accontentarsi del terzo posto.
Purtroppo anche Clark perderà la vita a causa della sua
passione per le corse. Alle ore 12.45 del 7 aprile 1968,
durante una gara di Formula 2, Jim si schianta contro un
albero nel bosco di Hockenheim.
Un anno prima,
nel campionato mondiale del 1967, vinse il suo primo ed
unico mondiale Denis Hulme, arrivato dalla Nuova Zelanda
per coronare il suo sogno. Dopo molta gavetta in Formula
2, guadagna un volante per la categoria superiore, ma si
dovrà accontentare di fare la comparsa e trova un posto
di meccanico nel team di Brabham. Jack lo fa comunque
correre ancora nella categoria inferiore, per poi
promuoverlo a suo compagno di squadra nel ’66. L’anno
successivo vince la sua prima gara nel triste giorno
della scomparsa di un altro ottimo pilota, Lorenzo
Bandini, e per tutto il mondiale metterà in difficoltà
il suo caposquadra soffiandogli alla fine il titolo.
Questo incrinerà i rapporti con Brabham e lo porterà ad
approdare alla McLaren, dove si batterà la stagione
successiva per difendere il titolo contro Graham Hill,
poi vincente, e lo scozzese: Jackie Stewart.
Stewart, vissuto
fino al ’68 all’ombra del compatriota Jim Clark, è il
terzo pilota, dopo Fangio e Brabham, a riuscire
nell’impresa di vincere almeno tre titoli mondiali: ci
riesce nel ’69 con una Matra motorizzata Ford, e nel
1971 e 1973 con una Tyrrell spinta dallo stesso
propulsore. Disputò 99 gran premi in Formula 1. Si fermò
proprio alla soglia della centesima partecipazione a
causa della morte, durante le prove, del suo compagno di
squadra Francois Cevert. Jackie viene ricordato ancora
oggi per la sua precisione e meticolosità nella messa a
punto delle vetture che guidava, una sorta di precursore
dei più grandi campioni odierni.
Ancora non è
tempo di sola gioia nella Formula 1. A cavallo tra gli
anni ’60 e ’70 perdono la vita in pista ancora tanti,
troppi piloti: Jo Schlesser nel ’68 a Rouen, grande
amico di Guy Ligier, pilota prima, costruttore poi, che
segnerà tutte le sue vetture con le iniziali dell’amico
scomparso; Gerhard Mitter in una prova nel 1969; Jochen
Rindt, austriaco, unico pilota ad aver vinto un titolo
mondiale “alla memoria”, non avendolo potuto festeggiare
a causa della prematura scomparsa nel 1970; Piers
Courage, scomparso sempre nel ’70 in un incidente in
prova sul circuito di Zandvoort, in Olanda; Williamson,
Koinigg, Cevert, Donohue, Pryce; senza contare gli
incedenti che hanno coinvolto il pubblico. Negli anni
’70 è forte il dibattito sulla sicurezza, soprattutto
dopo le angoscianti immagini apparse in tv di Roger
Williamson, giovane pilota che lotta per uscire dal suo
abitacolo in fiamme con tutti i piloti che continuarono
a correre come nulla fosse e senza commissari nelle
vicinanze. Il solo Purley si fermò tentando tra le
fiamme di ribaltare la vettura, ma vanamente. Le feroci
discussioni scatenatesi porteranno a degli indiscussi
risultati nei decenni a venire, non senza passare
indolori però per altre tragedie.
Tornando per un
attimo al ’68, alcune grandi novità debuttano in Formula
1. La prima nel GP di Spagna di quell’anno: le Lotus di
Colin Chapman si presentano al via per la prima volta
nella storia con una livrea di colore diverso dal
tradizionale verde: un’accoppiata cromatica rosso-oro
sulla quale campeggiava la scritta Gold Leaf. E’ la
prima sponsorizzazione su una vettura da corsa: non a
caso una marca di sigarette, prodotto che attraverso le
più svariate case monopolizzerà il mercato
sponsorizzando e finanziando la quasi totalità delle
vetture fino ai giorni nostri. La seconda importante
novità è tecnica e riguarda la comparsa, di un
rudimentale alettone, sulla Lotus progettata da Chapman,
con la funzione di aumentare l’aderenza della monoposto.
E’ del 1971 il
gran premio più tirato della storia. Se lo aggiudica in
volata Peter Gethin, semisconosciuto allora, su BRM, che
precede di un centesimo Ronnie Peterson su March e di
nove Francois Cevert su Tyrrell. Tradotto in distanze
vuol dire una manciata di centimetri tra il primo e il
terzo. In quel gran premio arrivò ottavo Emerson
Fittipaldi, brasiliano, che l’anno seguente si sarebbe
laureato per la prima volta campione del mondo. Primo
carioca a riuscirci, sarà il precursore della scuola
brasiliana che sfornerà altri grandissimi campioni.
Emerson lotta per il titolo anche l’anno successivo, ma
all’ultima gara il compagno di squadra Ronnie Peterson
riceve l’ordine dal boss della Lotus, Colin Chapman, di
non far passare Fittipaldi, cosa che gli avrebbe
permesso di confermare il titolo. Il mondiale lo vince
Stewart ed Emerson sbatte la porta stizzito vendicandosi
l’anno successivo al volante di una McLaren, regalando
il primo titolo della sua storia alla casa di Woking.
A vincere l’anno
successivo è il ventiseienne ferrarista Niki Lauda.
Austriaco, riporta il titolo a Maranello dopo un digiuno
di ben undici anni. Il tutto avviene durante uno storico
Gran Premio di Monza, in cui a vincere è il suo compagno
Clay Regazzoni nel tripudio del popolo rosso. L’anno
precedente il mondiale era stato regalato dalla Ferrari
agli avversari anche grazie ad un errore di gioventù di
questo ragazzo austriaco, tuttora considerato uno tra i
più meticolosi e intelligenti campioni della storia.
Niki, in testa sul circuito di Brands Hatch, ritarda di
molti giri il cambio di una gomma che si stava
sgonfiando. Al rientro dai box non riuscirà a tornare in
pista a causa dei tifosi che erano scesi sul tracciato
in vista dell’invasione finale del circuito, non
arriverà neanche a punti. L’anno seguente Niki non
riuscirà a ripetersi.
E’ il primo di
agosto del 1976. Sull’anacronistico tracciato del
Nurburgring, che mantiene ancora la sua lunghezza
originaria di quasi ventitre chilometri, Lauda ha il
titolo in tasca, ma durante il secondo giro la sua
vettura sbanda, urta le protezioni e si incendia. Niki
si salverà solo grazie al tempestivo intervento di altri
tre piloti, Merzario, Ertl e Edwards, che si fermeranno
e lo estrarranno dalla monoposto. Terrà il mondo col
fiato sospeso per quattro giorni dalla sala rianimazione
dell’ospedale, poi arriverà la notizia che è salvo.
Quaranta giorni dopo si presenta in pista visibilmente
segnato dall’incidente nel fisico e nel morale,
arrivando comunque quarto. All’ultima gara, sul
tracciato del Fuji in Giappone, si ritirerà dopo soli
due giri sotto il diluvio, considerando troppo
pericoloso correre in quelle condizioni, lasciando così
il titolo mondiale del 1976 nelle mani del pilota della
McLaren, James Hunt.
Il 1976 era
stato anche l’hanno del debutto della Tyrrell P34,
meglio conosciuta come la Tyrrell a sei ruote,
stravagante invenzione scaturita dalla matita del
progettista Derek Gardner, che però fu successivamente
vietata dai regolamenti. La monoposto lasciò il passo
dopo aver conquistato un successo nel Gran Premio di
Svezia. L’anno successivo debuttò vincendo un’altra
vettura, la Wolf guidata dal sudafricano Jody Scheckter,
ma quello del 1977 fu l’anno della riscossa di Niki
Lauda. Accusato di essere finito dopo l’episodio del
Fuji l’anno precedente, Niki dominerà il campionato,
ritrovandosi quell’anno come compagno di squadra in
Ferrari, colui che sarà ricordato come uno dei piloti
più amati di sempre, Gilles Villeneuve. Lauda dopo una
pausa di tre anni, sarà protagonista al rientro fino a
metà del decennio successivo, vincendo il suo ultimo
mondiale, il terzo, nel 1984.
Il 1978 sarà
ricordato per la tragica morte del bravissimo Ronnie
Peterson, nel rogo della sua Tyrrell, al via del Gran
Premio d’Italia, e per il primo e unico titolo
dell’italo-americano Mario Andretti, cognome storico
dell’automobilismo a stelle e strisce. Vincerà grazie
anche all’intuizione geniale di Colin Chapman, che si
inventerà l’“effetto suolo”: grazie a delle appendici
laterali poste tra le ruote, le cosiddette minigonne,
Chapman riuscirà a convogliare l’aria sotto la vettura.
Con una conformazione particolare del fondo della
monoposto creerà poi una variazione di pressione che
manterrà le sue Lotus incollate al terreno anche in
curva.
Gilles
Villeneuve intanto cresce e apprende, vince il suo primo
gran premio in Canada e l’anno successivo è autore,
assieme alla Renault di Arnoux, del più bel duello di
sempre. Dietro al vincitore Jabouille, la battaglia tra
il ferrarista e il francese si dilunga senza esclusione
di colpi per un giro intero, tra sorpassi e
controsorpassi, tra spallate e ruotate, fumate e
staccate al limite, lasciando senza fiato per un minuto
e mezzo gli spettatori all’autodromo e in tv. Vince
Villeneuve ed entra per sempre nei cuori di tutti gli
appassionati. Il 1979 sarà l’anno del trionfo di Jody
Schechter, passato in Ferrari. Il suo titolo rimarrà un
incubo per i tifosi ferraristi per oltre 23 anni, tanti
ne passeranno per vedere ancora una Ferrari vincere un
mondiale.
All’inizio degli
anni ’80 sarà la volta di Alan Jones, australiano, che
porta in trionfo la neonata scuderia omonima di Frank
Williams, e sarà forse il peggior anno di sempre per la
Ferrari. Nel 1981 il giovane e esuberante brasiliano
Nelson Piquet, si ritrova tra le mani un mondiale
regalatogli dai bisticci interni dei due piloti della
Williams: Reutemann e Jones. Sarà il primo di tre titoli
iridati, vinti tra eccessi mondani e sorpassi da urlo,
come quello in Ungheria nel ‘86, all’esterno in
derapata, ai danni del connazionale Ayrton Senna. Gilles
Villeneuve vincerà alcune splendide gare come a
Montecarlo o ancor più a Jarama, in Spagna, dove con una
macchina nettamente più lenta di quella dei rivali,
rimane sessantasei giri al comando con, a meno di un
secondo, quattro vetture alle calcagna. Finisce con
Villeneuve, Laffite, Watson, Reutemann e De Angelis
racchiusi in un secondo e ventiquattro centesimi. In
Canada, poi, piega l’alettone sotto la pioggia e pur di
non fermarsi ai box, continua per diversi giri fin
quando l’appendice non si stacca da sola. Riuscirà ad
agguantare il terzo posto sguazzando senza più aderenza,
ma con maestria, in un catino.
L’anno
successivo purtroppo sarà quello della scomparsa di
Gilles. Durante le prove del GP del Belgio a Zolder, in
piena corsa per il mondiale, non si avvede della lenta
March di Mass davanti a lui e la tampona. La Ferrari
volteggia in area disintegrandosi e scagliando il corpo
esanime di Villeneuve contro un palo. Durante il gran
premio del Canada successivo perde la vita alla partenza
anche l’italiano Riccardo Paletti, che non riesce ad
evitare l’auto ferma sulla griglia di Didier Pironi. Lo
stesso Pironi, in lizza per il mondiale, termina la
carriera dopo un terribile incidente con la Renault di
Prost. La stagione più triste del mondiale andrà in
archivio con la vittoria della Williams del finlandese
Keke Rosberg.
Gli anni ’80
saranno quelli dei motori turbo. Macchine superpotenti,
ma finalmente più sicure. Verranno introdotte importanti
novità tecniche, volte a rallentare le monoposto e a
garantire la sicurezza dei piloti, come ad esempio il
fondo piatto sotto le vetture, le sospensioni attive e,
sul finire del decennio, il cambio al volante, sulla
Ferrari del 1989. Saranno gli anni della invincibile
McLaren motorizzata Mugen-Honda e delle grandi sfide tra
i campionissimi Piquet, Lauda, Prost e Senna.
Alain Prost,
detto il Professore, riccioluto e dal naso pronunciato,
debutta a inizio anni ’80 e, migliorando di campionato
in campionato, arriva all’iride nel 1985 e nel 1986,
dopo che si era battuto fino all’ultima gara perdendo
contro Piquet e Lauda le due stagioni precedenti. Nel
1984 addirittura di solo mezzo punto. Alain non si
rassegna all’etichetta di “secondo” che gli si stava
incollando addosso e domina il mondiale 1985. Nel 1986
però, è un baffuto inglese, tutto birra e motori, che
sembra predestinato al titolo: Nigel Mansell. Il leone
di sua maestà si presenta all’ultima gara con sette
punti da difendere su Prost, basterebbe il terzo posto.
Così sembra andare, ma mentre naviga tranquillamente in
terza posizione a diciannove giri dal termine, in pieno
rettilineo scoppia una gomma alla sua Williams. Rapporto
difficile quello con le ruote per Nigel, sempre schietto
e veloce durante la sua carriera, perderà un altro
mondiale a causa di un bullone male avvitato durante un
cambio gomme. Riuscirà poi a coronare il suo sogno nel
1992, lasciando le briciole ai rivali, al volante di una
Williams in quella stagione nettamente superiore a
qualsiasi altra monoposto.
Sul finire degli
anni Ottanta, a parte il terzo acuto di Piquet nel 1987,
sarà la rivalità tra l’astro nascente Ayrton Senna e il
professore Alain Prost a tenere banco in Formula 1.
Fratelli coltelli al volante della McLaren nell’88, si
daranno battaglia nei due anni successivi con Prost
passato alla Ferrari e con epiloghi al limite del
regolamento. Ayrton e Alain si erano incrociati per la
prima volta nel 1984, durante il Gran Premio di Monaco,
dove sotto il diluvio il giovanissimo brasiliano, al
volante di una poco competitiva Toleman, riuscì a
raggiungere il professore in testa e ad infastidirlo,
poco prima che la gara fosse sospesa. Inizio niente male
per un campione che già in quell’anno conquisterà tre
podi. Nel 1985, con la Lotus, arriverà la prima delle
sue 65 pole position, record insuperabile se messo a
confronto con il numero di gare disputate da Ayrton. Lo
batterà Schumacher disputando però ottanta gran premi
più del brasiliano.
Senna era un
tipo schivo e riservato, che amava passare le serate in
compagnia di meccanici e parlando solamente di tecnica e
dettagli. Provenendo dal mondo dei kart era un
perfezionista, metteva a punto la vettura come nessun
altro e la guidava altrettanto bene. Fece molta gavetta
e vinse in tutte le categorie minori cui partecipò.
Nell’88, dopo sei vittorie e tredici pole in tre anni
con una scuderia minore, tale diventata era la Lotus
dopo la scomparsa di Colin Chapman, approdò alla McLaren.
Vinse subito il mondiale con il record di pole (tredici)
e vittorie (otto) in un campionato. L’anno seguente, in
un altro campionato targato McLaren, l’epilogo più
celebre. Appaiati in classifica alla vigilia della
penultima gara, Prost e Senna si danno battaglia sul
circuito giapponese di Suzuka. Alla 47° tornata il
brasiliano prova il sorpasso alla chicane, Prost lo
urta, i due finiscono sulla ghiaia Questo vuol dire
titolo mondiale per il francese. Ma Ayrton non ci sta,
fa spingere la sua monoposto dai commissari e va a
vincere. A fine Gran Premio verrà squalificato a causa
di questo illecito aiuto e le polemiche si sprecheranno.
Giappone, un
anno dopo: il giorno della vendetta. Prost tenta di
riportare il titolo alla sua nuova scuderia, la Ferrari,
dopo dieci anni di astinenza. Ayrton si presenta in
griglia però con un buon vantaggio in classifica. Alla
prima curva Prost tenta il sorpasso e Senna, in
posizione interna, non fa nulla per evitare il contatto.
Il mondiale finisce nella sabbia, stavolta è il
brasiliano a festeggiare. L’anno seguente non ci sarà
rivincita, si chiuderà con il terzo titolo mondiale di
Senna, contrastato dal solo Nigel Mansell, e con Prost
che viene messo alla porta dalla Ferrari dopo aver
dichiarato che era impossibile vincere guidando un
camion.
La sicurezza
intanto fa passi da gigante. Qualche anno prima, nel
1989, Gerhard Berger, pilota austriaco della Ferrari, fu
vittima di un pauroso incidente a 260 all’ora contro la
curva del Tamburello sul circuito di Imola. In quindici
secondi gli addetti ai soccorsi erano sulla monoposto a
spegnere le fiamme ed estrarre sano e salvo il pilota.
Il 1992 è finalmente l’anno del finora sfortunatissimo
Nigel Mansell, al volante di una macchina perfetta, la
Williams FW14B, motorizzata Renault. Domina in lungo e
largo il campionato davanti al suo compagno di squadra,
Riccardo Patrese, e vince il suo primo ed unico
mondiale, prima di attraversare l’oceano per andare a
vincere anche il campionato americano di formula Indy.
L’anno seguente
è quello del rientro alle gare di Alain Prost, che
sostituisce proprio Mansell al volante della casa
inglese. In quegli anni Senna, nulla può contro lo
strapotere delle monoposto di Frank Williams, ma si
ritaglierà il suo spazio rendendosi protagonista di un
gran premio memorabile. A Donington nel giorno di
Pasqua, sotto il diluvio, condisce un primo giro da urlo
con quattro sorpassi meravigliosi. Vincerà quella gara
con un minuto e mezzo di vantaggio nonostante l’essersi
fermato ben cinque volte ai box, roba da fuoriclasse.
Alla fine il mondiale finirà ad Alain Prost, che si
ritirerà cedendo il posto in squadra proprio al
brasiliano.
Imola, 1 Maggio
1994. Si è da un giorno riaperta la polemica sulla
sicurezza delle vetture. Ventiquattro ore prima, in
prova, il giovane austriaco Roland Ratzenberger, uno che
aveva i soldi per disputare solo sei Gran Premi, perde
la vita dopo un urto terrificante contro un muretto. Il
giorno precedente il pilota della Jordan, Rubens
Barrichello, era letteralmente decollato sul cordolo
alla curva del Tamburello, uscendone miracolosamente
indenne. La domenica della gara accade la tragedia. A
dodici anni di distanza dalla scomparsa di Gilles
Villeneuve, la Formula 1 perde il suo campione più
amato. Ayrton Senna muore in un drammatico incidente
sempre alla curva del Tamburello. Il mondo assiste
attonito e rimane incollato davanti ai televisori per
tutta la giornata ad ascoltare i bollettini medici
diramati di ora in ora dall’ospedale di Bologna, ma per
Ayrton non c’è più nulla da fare. Con lui si chiude un
ciclo. Durante l’ultimo gran premio dell’anno precedente
c’era stato sul podio un commovente abbraccio tra gli
eterni rivali Senna e Prost, che aveva praticamente
sancito la pace tra i due. Durante il giro di
ricognizione del fatidico gran premio di Imola, poco
prima di andarsene, furono pronunciate da Ayrton delle
parole via radio che ancora risuonano nelle orecchie di
Frank Williams. Le semplici parole di un campione
rimasto orfano del suo miglior nemico “Alain, mi
manchi”.
La vittoria in
quella funesta gara, così come il titolo di quell’anno,
andò a un giovane pilota tedesco: Michael Schumacher su
Benetton, che si era fatto notare già qualche anno prima
litigando dopo un doppiaggio con sua maestà Senna. La
vittoria del primo mondiale arriverà all’ultima gara, in
quel di Adelaide, ai danni di Damon Hill su Williams,
figlio di Graham. I due si toccheranno al 36° giro,
Schumacher davanti in classifica, deve solo sperare che
Hill non riesca a ripartire dopo l’urto. Così sarà.
L’anno dopo è il
dominio. Michael, che ha contribuito a far diventare
invincibile una buona macchina, come era la Benetton,
vince in lungo e in largo, decidendo a fine anno di dare
vita al matrimonio della sua vita motoristica: quello
con la Ferrari. L’obiettivo era far tornare in auge una
squadra, la Ferrari, che nella stagione 1996 aveva
ottenuto una sola vittoria, tra l’altro dopo anni di
digiuno, col francese Jean Alesi in Canada. La Ferrari,
grazie al suo presidente Luca Cordero di Montezemolo, si
attrezzerà in questi anni nel migliore dei modi, creando
attorno a Michael un team di grandi professionisti e
affiancandolo a piloti servili e mai in grado di
impensierire la prima guida rossa. Il progettista Ross
Brawn, il team manager Jean Todt, lo stratega Rory Byrne,
sono solo alcuni dei nomi che hanno contribuito a far
vivere alla rossa di Maranello gli anni più vincenti
della sua storia.
Gli inizi non
furono facili, ma promettenti. Il mondiale 1996 vide la
rivincita di Damon Hill, che vinse il mondiale davanti
al suo compagno di squadra, Jacques Villeneuve, figlio
del compianto Gilles. In quell’anno Schumacher vinse tre
Gran Premi e si preparava il terreno per l’anno
successivo. Il mondiale 1997 fu memorabile. Tirato fino
all’ultima gara, un duello continuo tra Williams e
Ferrari, tra Michael Schumacher e Jacques Villeneuve,
sfida che coinvolge più degli altri gli appassionati
italiani, divisi tra l’amore per la rossa e il tifo per
il figlio del loro vecchio idolo. Il tutto termina nel
peggiore dei modi. All’ultimo gran premio l’equazione è
facile: vittoria in gara uguale a titolo piloti, per
tutti e due i contendenti. Le prove del giorno dopo
hanno dell’incredibile. Tre piloti, Schumacher,
Villeneuve ed Heinz Harald Frentzen, ottengono il primo
tempo ex-aequo al millesimo di secondo: 1’21”072.
Partirà davanti Villeneuve che per primo aveva ottenuto
questo crono. Schumacher scatta subito in testa e prende
qualche secondo di margine sul canadese, ma dopo la
prima sosta la sua Ferrari inizia a perdere terreno
rispetto all’arrembante Jacques. Schumacher non ci sta
ad essere superato e prova a speronare platealmente il
rivale, risultato: Schumacher rompe la sospensione
anteriore destra ed è costretto a fermarsi, Villeneuve
arriva fino in fondo al terzo posto e conquista quel
titolo mai vinto dal padre. Sarà l’unica caduta di stile
dell’asso tedesco in una carriera decisamente brillante.
L’anno seguente
non è ancora quello buono per le rosse, mentre
rinascono, dopo qualche stagione di anonimato, le
McLaren. Ciò avviene grazie soprattutto a tre fattori:
da un lato l’esperto Mika Hakkinen, velocissimo
finlandese cresciuto negli ultimi anni all’interno del
team e con una notevole esperienza alle spalle,
dall’altro la nuova motorizzazione Mercedes armonizzata
con le linee di una vettura velocissima progettata dal
genio di Adrian Newey. Il finlandese, seguito ai box in
ogni gara dagli occhi di ghiaccio di sua moglie Erja, ha
a disposizione la monoposto migliore, e in due anni
centra l’en plein, sempre sconfiggendo una Ferrari: nel
1998 quella di Schumacher, nel 1999 quella del suo
scudiero Irvine, promosso prima guida dopo il terribile
incidente di Michael a Silverstone, dove si ruppe
entrambe le gambe e fu costretto a saltare mezza
stagione. Il campione tedesco rientra comunque per le
ultime due gare, giusto in tempo per contribuire
pesantemente al successo della rossa nel mondiale per
costruttori.
Non poteva
andare avanti così a lungo e prima o poi il digiuno
della casa di Maranello doveva essere interrotto:
accadde nel 2000, con l’inizio del nuovo millennio la
Ferrari tornò ad essere il punto di riferimento per il
mondiale, forte tanto e forse di più forte che negli
anni del debutto. I due alfieri erano naturalmente
Schumacher e il brasiliano Rubens Barrichello. I numeri
delle successive cinque stagioni di Formula 1 non
ammettono repliche. Cinque mondiali costruttori, cinque
mondiali piloti, innumerevoli vittorie, giri veloci e
pole position. Schumacher lascerà la rossa sfiorando un
altro mondiale nel 2006, e lasciando dopo novantuno
vittorie in carriera e sette titoli mondiali, guidando
classifiche assolute di qualsiasi genere. I tifosi
Ferrari si abituarono in quegli anni a domini mai visti,
a gare noiose dall’esito scontato, la federazione fece
di tutto per “arginare” la valanga rossa, introducendo
persino un nuovo criterio di assegnazione dei punteggi.
Ma i trionfi non durano per sempre e ad interrompere
l’egemonia rossa ci pensa un giovanissimo asturiano:
Fernando Alonso.
Siamo ormai a
storia dell’altro ieri. Fernando è il nuovo che scalpita
e chiede spazio, vince due mondiali con la Renault, allo
stesso modo del giovane Schumacher della Benetton.
Contribuendo al miglioramento della macchina e con una
pulizia di guida mai vista prima. Aiutato talvolta dalla
dea bendata, si guadagna la fama di pilota bravo e
fortunato. Nel 2007 decide l’avventura in McLaren ma si
ritrova il pericolo più ostico proprio in casa. Il
giovanissimo ventenne Lewis Hamilton, cresciuto e
svezzato nella scuderia inglese dalla tenera età di 13
anni. Al debutto mostra subito potenzialità da fenomeno,
ma come avviene nelle migliori tradizioni, tra i due
litiganti il terzo gode.
Il terzo in
questo caso è un altro finlandese, Kimi Raikkonen, si
guadagna la fama di pilota freddo, che non ride mai. In
realtà è solo molto schivo e riservato. Chiamato alla
Ferrari al difficile compito di sostituire sua maestà
Schumacher propria dalla rivale McLaren, affiancherà
l’arrembante Felipe Massa, a Maranello da diversi anni e
già pilota titolare Ferrari nel 2006. Il mondiale 2007
si ricorderà come uno dei più combattuti degli ultimi
anni, con i quattro piloti rosso-argento a darsi
battaglia. Passerà alla storia purtroppo anche come il
mondiale della spy-story, quello in cui il rancore di un
ex progettista della Ferrari, Nigel Stepney, portò
l’inglese a passare sottomano del materiale scottante al
suo amico alla McLaren, Mike Coughlan. Il tutto venne
scoperto, la soluzione fu quella di punire la monoposto
inglese, rea di non aver denunciato il fatto e di aver
approfittato della situazione, dal campionato
costruttori, ma lasciare i due piloti in lizza per il
mondiale. Come nelle migliori favole però la giustizia
trionfa, e negli ultimi due rocamboleschi Gran Premi,
una situazione che sembrava ormai compromessa per la
Ferrari, si ribaltò clamorosamente, consegnando a
Raikkonen, e alla casa di Maranello uno dei titoli
mondiali più appassionanti di sempre.
Siamo ai giorni
d’oggi. La sicurezza ha fatto passi da gigante, le auto
raramente si infiammano, l’abitacolo del pilota è,
grazie alla tecnologia, sempre più sicuro: basta
ricordare un incidente tra i più impressionanti della
storia dal punto di vista scenico, avvenuto in Canada
nel 2007 a Robert Kubica, giovane pilota polacco. Un
volo che ha disintegrato la sua vettura ma che ha
procurato al pilota soltanto un fastidio alla schiena.
Il grande circo
riparte, come ogni anno, con le sue aspettative, il suo
carico di adrenalina. Le sigarette hanno lentamente
lasciato il posto ad altrettanti sponsor milionari. Il
mondiale è diventato “mondiale” nel vero senso del
termine aprendosi ad est e sbarcando in paesi dalla
giovane tradizione motoristica ma dal grande bacino di
pubblico potenziale, come Cina, Malaysia, Bahrain, e
prossimamente India e Singapore. Il business è sempre il
business e governerà questo mondo per gli anni avvenire.
A noi profani spettatori non resta che estrapolare il
meglio da questo mondo, e restare attoniti a venerare
questi dei moderni, che spingono i nostri sogni a
viaggiare oltre la soglia dei 300 chilometri all’ora.