N. 95 - Novembre 2015
(CXXVI)
CHI FERMERÀ LA MUSICA?
DALLA GIOIA AL DOLORE. UN FILO CONDUTTORE TRA BOLOGNA E PARIGI
di Andrea Bajocco
“Chi fermerà la musica?”. Era il maggio 1981 quando i Pooh pubblicavano un singolo che sarebbe con il tempo diventato un vero “inno”, nonché uno dei pezzi più conosciuti del repertorio del quartetto bolognese.
La
canzone,
nata
come
dedica
e in
nome
del
ricordo
di
John
Lennon,
ucciso
da
pochi
mesi,
si
intitolava
proprio
Chi
Fermerà
la
Musica?.
Ironia
della
sorte,
anni
prima,
lo
stesso
“ex
scarafaggio
di
Liverpool”
aveva
scritto
un
altro
inno,
una
delle
canzoni
più
famose,
più
riproposte
e
più
cantate
della
Storia
della
musica
mondiale:
Imagine,
attraverso
la
quale
ha
voluto
esprimere
la
sua
condanna
verso
tutte
le
guerre
e la
speranza
in
un
mondo
di
pace.
Quindi,
in
un
mondo
–
purtroppo
soltanto
utopico
– in
cui
la
pace
la
fa
da
padrone,
la
musica
(al
pari
di
ogni
altra
forma
d’arte)
sarebbe
il
fulcro
delle
giornate
di
tutti;
e in
un
mondo
così,
davvero,
Chi
fermerà
la
musica?
Nel
mondo
reale,
invece,
anche
nei
momenti
in
cui
la
pace
o
quello
strano
senso
di
“normalità”
sembra
essere
presente,
si è
costretti
a
vivere
con
la
sensazione
che
possa
sempre
succedere
qualcosa
di
assurdo,
qualcosa
di
allucinante,
qualcosa
al
di
fuori
dalla
grazia
del
Dio
di
qualsiasi
religione.
Ecco
perché
la
domanda
che
sorge
spontanea
è se
sia
il
caso
di
parlare
di
un
concerto
(fantastico)
quando,
a
poche
migliaia
di
chilometri,
durante
un
altro
concerto
(che
doveva
allo
stesso
modo
essere
divertimento,
festa,
gioia...)
succedeva
qualcosa
di
insensato,
di
impensabile.
Già,
perché
è
impensabile
che,
uscendo
di
casa
per
andare
a
vivere
l’emozione
che
solo
la
musica
sa
regalare,
e
salutando
i
propri
affetti
più
cari,
qualcuno
possa/debba
fermarsi
a
pensare
che
potrebbe
essere
l’ultima
volta
perché
ci
sono
“uomini”
che,
in
nome
di
non
si
sa
cosa
e
non
si
sa
chi,
hanno
deciso
che
quel
giorno
prenderanno
in
ostaggio
100
persone
che,
uno
a
uno,
verranno
uccise
con
una
freddezza
che
fa
impallidire
al
solo
pensiero.
E
allora,
nonostante
i
Pooh
intendessero
con
la
loro
canzone
che
nessuno
riuscirà
mai
a
bloccarla,
si
rischia
di
aver
trovato
una
risposta
alla
domanda
Chi
fermerà
la
musica?
Ma
non
ci
sta
chi
di
musica
vive
24
ore
al
giorno,
per
365
giorni
l’anno.
Non
si
arrende
chi
lega
ogni
persona
conosciuta,
ogni
affetto,
ogni
momento
passato
–
bello
o
brutto
che
sia
– a
una
canzone,
a
una
frase,
a un
accordo...
Ed è
per
questo
che
seppure
abbiano
provato
a
fermare
la
musica
nel
modo
più
atroce
possibile,
noi
siamo
qui
a
raccontare
agli
sfortunati
che
non
sono
riusciti
a
prendere
il
biglietto
il
concerto
che
i
Foo
Fighters
hanno
tenuto
a
Bologna.
Anzi,
all’Unipol
Arena
di
Casalecchio
in
quel
13
novembre
2015
che
di
certo
non
passerà
alla
Storia
per
l’esibizione
della
band
statunitense.
Tornando
al
leitmotiv
delle
righe
precedenti,
chi
ha
compiuto
gli
atti
raccapriccianti
di
Parigi
durante
il
concerto
degli
Eagles
of
Death
Metal
di
Joshua
Homme
(già
cantante
dei
Queens
Of
The
Stone
Age
nonché,
per
una
curiosa
coincidenza,
amico
di
Dave
Grohl,
eclettico
frontman
proprio
dei
Foo
Fighters...)
è
riuscito
in
un
certo
senso
a
fermarla,
la
musica.
I
Foo
Fighters
– ma
anche
gli
stessi
Eagles
of
Death
Metal
–
hanno
infatti
deciso
di
concludere
il
proprio
tour
europeo
in
anticipo...
Ma
torneranno.
Perché
la
musica
è
vita.
Torneranno.
Perché
è
giusto
che
sia
così.
Facciamo
quindi
un
balzo
indietro
di
qualche
ora
fino
alle
20:30
del
13
novembre.
L’Unipol
Arena
è
gremita
in
ogni
ordine
di
posto.
Difficile
farsi
strada
nel
parterre,
gremito
all’inverosimile.
Le
luci
si
spengono
e da
dietro
a un
enorme
telone
nero
che
copriva
tutto
il
palco
con
disegnato
il
logo
dei
Foo
Fighters
inizia
la
musica.
“Hello,
I’ve
waited
here
for
you,
everlong...”
Parte
Dave
Grohl
e il
telone
viene
risucchiato
via.
Everlong
è la
prima
canzone
di
un
concerto
che
alla
fine
durerà
circa
due
ore
e
mezza.
Il
frontman,
ancora
relegato
sul
“trono
di
chitarre”
da
lui
stesso
disegnato
dopo
l’infortunio
subìto
mesi
fa a
Göteborg
quando
si
fratturò
il
perone
della
gamba
destra,
canta
e
suona
la
sua
chitarra
dispensando
la
solita,
infinita
energia,
anche
da
seduto.
Con
queste
premesse
vengono
suonate
Monkey
Wrench
e
Learn
to
Fly,
prontamente
dedicata
agli
ormai
famosi
“Mille
di
Cesena”
che,
attraverso
un
video
online
diventato
in
breve
tempo
virale,
hanno
“convinto”
l’ex
batterista
dei
Nirvana
e
soci
ad
aggiungere
una
data
prima
dell’inizio
del
tour
nella
cittadina
romagnola.
Il
concerto
continua
con
Something
From
Nothing
(prima
canzone
tratta
dall’ultimo
album,
Sonic
Highways)
e
The
Pretender,
sulla
quale
l’arena
letteralmente.
Si
prosegue
con
la
ballata
Big
Me,
Congregation
(seconda
delle
tre
canzoni
dell’ultimo
lavoro
del
gruppo
di
Seattle
che
a
fine
concerto
saranno
proposte)
e
Walk,
prima
che
il
gruppo
lasci
per
un
attimo
il
proprio
repertorio
per
approdare
in
un
medley
di
cover
composto
da
Eruption,
Ain't
Talkin'
'Bout
Love,
Tom
Sawyer
e
Roundabout,
salvo
poi
ricominciare,
in
chiusura
del
medley,
con
la
loro
Rope.
Cold
Day
in
the
Sun
precede
My
Hero,
urlata
con
tutta
la
voce
possibile
da
tutto
il
palazzetto,
e
Times
Like
These,
uno
dei
pezzi
più
amati
della
band,
uno
di
quei
pezzi
che,
musica
a
parte,
ha
dalla
sua
un
incredibile
coinvolgimento
emotivo
dovuto
al
testo.
“It’s
times
like
these
you
learn
to
live
again...”.
È in
“momenti
come
questi”
che
il
pubblico
“impara
nuovamente
a
vivere”.
Dopo
Breakout
(sulla
quale
si
scatena
anche
l’ottimo
Taylor
Hawkins
alla
batteria),
Arlandria
e
White
Limo,
Dave
Grohl
prende
la
parola
per
presentare
Wheels,
la
canzone
successiva.
Canzone
che,
secondo
lui,
“[...]
non
piace
a
quasi
nessuno,
ma
se
la
cantate
insieme
a me
giuro
che
torno
a
Bologna...”.
Detto
fatto,
caro
Dave,
devi
tornare,
ogni
promessa
è
debito!
Dopo
la
lenta
esibizione
di
Wheels
è il
momento
della
dura
All
My
Life,
sulla
quale
il
pubblico
si
scatena.
L’esecuzione
è
perfetta;
così
come
il
risultato
finale.
Neanche
il
tempo
di
rifiatare
(e
ce
ne
sarebbe
davvero
bisogno)
che
parte
These
Days,
seguita
da
The
Feast
and
the
Famine
(ultima
canzone
tratta
da
Sonic
Highways),
inaspettata
tanto
quanto
la
successiva,
la
bellissima
Skin
and
Bones.
Manca
poco.
This
is a
Call
precede
In
the
Flesh
(cover
dei
Pink
Floyd)
e il
concerto
sembra
terminare.
Dave
prende
nuovamente
la
parola
e
ringrazia
i
presenti
dichiarando
(e
non
sembra
mentire)
di
aver
appena
proposto
il
concerto
perfetto,
dove
il
pubblico
era
in
realtà
il
main
event
della
serata,
mentre
il
gruppo
non
era
altro
che
un
pubblico
che,
incantato,
seguiva
lo
show.
Manca
solo
l’ultimo,
piccolo,
capolavoro.
Con
Best
of
You,
come
al
solito
malinconica,
arrabbiata,
triste,
rancorosa
e
sottocutanea
il
concerto
finisce.
You
trust,
you
must
confess...
Si
urla
fino
a
che
le
luci
non
si
riaccendono
e
illuminano
migliaia
di
sorrisi.
Mentre
il
pubblico
inizia
a
defluire,
ci
si
rende
conto
di
aver
appena
preso
parte
a
qualcosa
di
quasi
epico.
I
commenti,
tutti
positivi,
si
sprecano.
Le
espressioni
e i
visi
sono
ancora
segnati
dall’emozione
e
dalla
felicità.
Ma
la
felicità,
anche
questa
volta,
come
sempre,
non
è
altro
che
uno
stato
mentale
effimero.
Le
notizie
di
ciò
che
era
successo
e
stava
succedendo
a
Parigi
iniziano
a
rincorrersi
e,
nello
sconforto
che
ne è
conseguito,
nel
nostro
piccolo
ci
siamo
diretti
verso
la
fredda
stazione
bolognese,
in
attesa
di
quel
treno
notturno
che
da
lì a
qualche
ora
ci
avrebbe
scomodamente
cullato
verso
casa,
verso
quegli
abbracci
familiari
che,
a
poche
migliaia
di
chilometri
da
noi,
mancheranno
per
sempre
a
chi
aveva
un
figlio,
un
amico
o un
compagno
“colpevoli”
soltanto
di
volersi
godere
un
gruppo
che
probabilmente,
in
vita,
li
aveva
resi
felici.
È
vero,
può
sembrare
brutto
parlare
e
scrivere
in
questo
momento
storico
di
un
concerto
con
tanta
euforia,
ma
la
musica
è
questo.
La
musica
è
vita
e
pace.
La
musica
è la
felicità
con
cui
riempie
le
nostre
giornate.
È il
sorriso
che
ti
strappa
anche
nelle
“giornate
no”.
Per
questo,
anche
oggi,
la
domanda
continua
a
essere
sempre
la
stessa:
Chi
fermerà
la
musica?
E a
pensarci
bene
avevano
ragione
i
Pooh,
la
risposta
è
semplice
e
non
accetta
contraddizioni:
nessuno.