N. 50 - Febbraio 2012
(LXXXI)
fonti letterarie cavalleresche
xii-xiii
di Alessandro Scalone
Analizzare
la
letteratura
cavalleresca
medievale
in
qualità
di
fonte
storica
può
non
essere
semplice,
sia
perché
si
può
facilmente
incappare
nell'errore
di
considerare
ottimisticamente
le
opere
che
compongono
questo
specifico
ambito
come
riflesso
genuino
della
civiltà
medievale
sotto
ogni
aspetto,
sia
per
via
dello
scarso
numero
di
elementi
riguardanti
la
realtà
politica
o
sociale
della
cavalleria,
sebbene
il
numero
delle
opere
che
abbracciano
il
campo
cavalleresco
in
modo
più
ampio
e
generale,
sopratutto
sotto
un
punto
di
vista
filologico-letterario,
sia
enorme.
Per
essere
precisi,
tratterò
di
quel
genere
di
fonti
comprese
tra
il
XII
e il
XIII
secolo,
con
qualche
accenno
a
opere
letterarie
dei
secoli
precedenti
e
successivi,
in
modo
da
permettere
un
confronto
più
comprensibile
sullo
sviluppo
del
ceto
cavalleresco.
La
scelta
di
questo
arco
cronologico,
è
dovuta
per
lo
più
al
fatto
che
nel
corso
di
questi
secoli
si
ha
una
grande
produzione
letteraria,
dove
vedono
la
luce
le
opere
più
famose
e
più
importanti.
L'area
presa
in
esame
è
quella
di
alcune
zone
dell'occidente
europeo,
sebbene
all'interno
di
questo
spazio,
la
produzione
letteraria
medievale
fosse
variegata
e
differenziata
da
regione
a
regione.
Ai
fini
di
questo
genere
di
ricerca
inoltre,
ho
preferito
concentrarmi
su
quella
tipologia
di
fonti
letterarie
volte
al
cavaliere,
limitandomi
a
citare
qualche
scritto
che
può
riguardare
questa
figura
in
maniera
generale,
per
evitare
di
risultare
troppo
dispersivo.
Prima
di
tutto,
è di
primaria
importanza
comprendere
la
natura
di
questa
tipologia
di
fonti.
Paolo
Delogu,
nel
suo
libro
Introduzione
alla
storia
medievale,
connota
le
fonti
di
genere
letterario
come
quell'insieme
di
testi
scritti,
in
cui
il
fine
non
è
quello
documentario
o di
testimonianza
degli
eventi,
ma
che
contribuiscono
a
mettere
in
luce
i
fondamenti
della
civiltà
del
Medioevo,
per
quanto
essi
possano
accennare
a
personaggi,
luoghi
o
realtà
politiche
a
volte
realmente
esistite.
Queste
opere
ruotano
attorno
a
coloro
che,
avendo
ricevuto
l'«adoubement»,
sono
«milites»
e
pertanto
fanno
riferimento
a un
sistema
di
valori
cavallereschi,
i
quali
vengono
elaborati
in
un
periodo
contrassegnato
da
una
situazione
e un
contesto
politico
e
culturale
preciso:
nel
corso
della
riforma
ecclesiastica
del
XI
secolo,
personalità
quali
Ildebrando
di
Soana
(Gregorio
VII),
tentarono
di
dare
a
questa
aristocrazia
militare
un'etica
al
cui
centro
stava
la
difesa
della
Chiesa
e
degli
inermi
(inermes).
Si
cercò
inoltre
di
dirigere
la
violenza
delle
guerre
condotte
fra
aristocratici
verso
nemici
comuni
della
cristianità,
quali
i
Musulmani
in
Spagna
e in
Terrasanta,
provvedendo
a
formare
questo
ceto
guerriero
in
conformità
ai
valori
della
fede
cristiana;
si
assiste
a un
atteggiamento
molto
diverso
rispetto
a
quanto
avveniva
prima,
poiché
adesso
la
violenza
viene
nobilitata
dalle
virtù
relative
alla
«Pax
Dei».
Il
clero,
ritenendo
utile
la
valorizzazione
spirituale
della
cavalleria,
spinse
per
un
processo
che
prevedeva
la
sublimazione
sacrale
dei
rituali
cavallereschi
–
come
l'addobbamento
– e
delle
virtù
delle
quali
il
cavaliere
doveva
fregiarsi.
Figura
per
eccellenza
di
questo
processo
nella
letteratura
è il
«Roland»
a
cui
è
dedicata
l'omonima
Chanson
de
Geste,
le
cui
peculiarità
martirologiche
rimangono
proverbiali.
Sono
due
i
campi
letterari
principali
nei
quali
il
cavaliere
viene
collocato
al
centro
della
narrazione:
l'epica
e il
romanzo.
Si
tenga
a
mente
però
che
entrambi
si
distinguono
tipologicamente,
e
fanno
capo
a
differenti
generi
di
letteratura
etico-esortativa,
oltre
che
seguire
differenti
gradi
di
sviluppo
che
spesso
contribuiscono
a
caratterizzarli
sul
piano
locale
(da
scritti
di
tipo
etico-teologici,
alle
«Fabliau»,
ai
sonetti,
ecc).
I
diversi
generi
di
Chansons
de
Geste
che
troviamo
nell'Europa
basso
medievale,
stanno
a
prova
del
fatto
che
questo
filone
letterario
non
si
atteneva
a
forme
prestabilite
che
dovevano
rispettare
dei
canoni
prefissati,
bensì
risentiva
della
realtà
socio-culturale
circostante,
delle
tradizioni,
dei
miti
e
dal
cotesto
politico.
Detto
ciò,
un
primo
aspetto
di
queste
opere
letterarie
appare
particolarmente
interessante,
cioè
il
legame
a
doppio
filo
che
le
collega
alla
società
all'interno
della
quale
sono
state
composte,
e da
cui
sono
state
influenzate
ma
che
hanno
influenzato
a
loro
volta.
Un
altro
elemento
importante
sottolineato
da
molti
studiosi,
riguarda
le
canzoni
come
canali
di
diffusione
di
lingue;
ciò
è
stato
interpretato
come
una
componente
di
grande
importanza
al
fine
di
costituire
un
identità
locale,
qualcosa
che
molti
storici
hanno
definito
come
«territorializzazione»,
cioè
la
costituzione
di
un
legame
nei
confronti
di
un
luogo
di
appartenenza.
Molti
studiosi
hanno
sempre
cercato
di
stabilire
una
correlazione
fra
le
epopee
e la
storia.
Nell'ottocento
ad
esempio,
nel
bel
mezzo
del
pensiero
positivista,
Gaston
Paris,
collegò
le
epopee
alla
storia
tramite
il
canale
dei
canti
composti
fra
l'ottavo
e il
decimo
secolo,
le
quali
sarebbero
state
riprese
da
parte
degli
autori
del
XI,
per
poi
essere
trasposte
ai
loro
contemporanei
in
qualità
di
fatti
storici
avvenuti
nei
secoli
scorsi.
Altri
hanno
visto
nella
composizione
di
queste
opere
un
rifarsi
da
parte
degli
autori
a
testi
risalenti
agli
avvenimenti
di
cui
trattano
le
loro
opere,
dandoli
così
una
sorta
di
verità
oggettiva.
Si
tenga
presente
che
all'interno
di
questo
genere
di
opere,
la
storia
riveste
un'importanza
molto
limitata,
poiché
il
lato
fondante
di
questi
scritti
è
sempre
la
poesia.
Ciò
sembra
evidente
anche
dal
fatto
che
furono
composti
a
distanza
di
tempo
dagli
avvenimenti
di
cui
trattano,
e
che
i
loro
autori
furono
quasi
del
tutto
indifferenti
alla
verità
storica,
benché
siano
presenti
elementi
riconducibili
alla
condizione
sociale,
religiosa
o
immaginativa
dei
secoli
che
li
ha
prodotti,
ma
non
di
periodi
precedenti.
Vi è
inoltre
il
dilemma
dell'appartenenza
dei
testi
epici
a un
autore:
dal
momento
che
la
maggior
parte
delle
chansons
de
geste
sono
anonime,
ciò
fa
sì
che
risulti
difficile
comprendere
affondo
la
loro
formazione.
Per
di
più,
la
loro
trasmissione
originariamente
avveniva
per
via
orale,
soggetta
pertanto
a
tutta
una
seria
di
modifiche
dipese
dall'esposizione
da
parte
dei
giullari,
i
quali
si
basavano
sulla
propria
memoria
per
esporli
al
loro
pubblico.
Si
possono
intendere
pertanto
le
epopee,
non
come
opere
scritte
e
dunque
cristallizzate
nelle
parole,
ma
come
componimenti
in
continuo
movimento.
Si
intendono
dunque
i
vari
autori
come
rielaboratoti
di
queste
canzoni,
le
quali
arrivano
infine
a
essere
concretizzarli
in
una
forma
scritta,
piuttosto
che
di
veri
e
propri
creatori.
Già,
ma a
che
tipo
di
pubblico
erano
rivolte
queste
opere?
Diversi
studiosi
in
passato
hanno
concordato
nell'affermare
che
chi
assisteva
alle
esibizioni
dei
giullari
era
per
lo
più
membro
del
popolo
minuto,
a
differenza
del
romanzo
che
era
dedicato
agli
ambienti
di
corte.
A
rifarsi
a
questa
ipotesi
è
sopratutto
Gauntier,
critico
letterario
della
fine
del
XIX
secolo.
Secondo
il
parere
dello
studioso
di
letteratura
Köhler
invece,
il
pubblico
ideale
delle
canzoni
sarebbe
invece
stato
composto
sia
dalla
gente
comune
che
dai
cavalieri.
Probabilmente
l'ipotesi
più
plausibile
potrebbe
essere
quella
dello
studioso
Daniel
Poirion,
per
cui
il
destinatario
principale
di
queste
opere
era
l'aristocrazia
feudale,
benché
anche
alla
gente
comune
piacesse
partecipare
alle
recitazioni
dei
giullari
e
emozionarsi
nell'ascoltarle,
sopratutto
nelle
descrizioni
dei
combattimenti.
Il
comune
interesse
per
i
testi
epici,
sia
da
parte
nobile
che
della
popolazione
più
umile,
è
collegato
a un
altro
fattore
molto
interessante,
e
cioè
alla
comune
mentalità
che
traspare
dai
componimenti
e
che
poteva
influenzare
i
due
ceti,
fornendoci
informazioni
su
temi
che
spaziano
dalla
concezione
del
sistema
feudale
alla
guerra
contro
i
nemici
della
cristianità.
Non
è
raro
trovare
nelle
chanon
de
geste
riferimenti
all'assetto
politico
dei
secoli
in
cui
sono
state
composte.
Le
istituzioni
politiche
feudali
vengono
riproposte
molto
dettagliatamente,
con
descrizioni
che
vanno
dal
ruolo
del
Re,
visto
come
arbitro
nelle
contese
fra
nobili
e
figura
alla
quale
si
deve
la
lealtà
vassallatica,
oltre
che
come
personaggio
a
volte
contestato.
Né
mancano
riferimenti
al
ruolo
svolto
dalla
Chiesa,
dato
che
come
abbiamo
visto,
essa
ha
un
ascendente
di
grande
importanza
all'interno
del
mondo
cavalleresco.
In
definitiva,
quello
che
trapela
da
questo
tipo
di
scritti
è
una
ambiguità
nei
riguardi
del
clero
e
delle
sue
funzioni:
per
quanto
essi
siano
considerati
utili
per
la
società,
questo
non
impedisce
agli
autori
delle
opere
e al
loro
pubblico,
di
divertirsi
con
un
certo
anticlericalismo.
Pensiamo
ad
avvenimenti
come
quelli
della
quinta
crociata
(1217-1221),
nel
quale
il
vicario
papale,
Pelagio
di
Albano,
pretese
il
comando
dell'armata
cristiana
per
poi
non
riuscire
a
difendere
Damietta
dal
contrattacco
musulmano:
cominciarono
allora
a
circolare
canzoni
contro
preti
che
pretendevano
di
comandare
eserciti
invece
di
dir
messa.
Non
mancano
tuttavia
figure
come
il
vescovo
Turpino
nella
«Chanson
de
Roland»,
forse
emblema
della
componente
guerriera
nell'aristocrazia
feudale
e
emblema
del
binomio
monaco-guerriero.
Molti
elementi
rappresentativi
del
ceto
cavalleresco
hanno
una
grande
rilevanza
all'interno
dei
componimenti
epici:
genealogie,
che
si
richiamano
a
una
tradizione
di
fedeltà
vassallatica
nei
confronti
dei
sovrani,
modi
di
comportamento
o
riferimenti
precisi
all'addobbamento,
sono
peculiarità
tipiche
di
questo
corpo
sociale,
le
quali
aiutano
a
contraddistinguerlo
e ad
esaltarlo,
ponendolo
su
un
piano
di
superiorità
nella
realtà
feudale.
Vi è
anche
un
altro
aspetto
su
cui
i
molti
componitori
mettono
l'accento.
Portare
la
spada
veniva
considerata
la
più
alta
delle
funzioni,
in
quanto
era
ritenuto
ruolo
del
cavaliere
aiutare
il
re a
governare.
Questa
componente
è
presente
anche
nella
letteratura
cavalleresca,
soprattutto
in
relazione
all'influenza
ecclesiastica
sui
regnanti.
Nelle
opere
epiche,
così
come
in
molti
testi
politico-morali,
vengono
spesso
ammoniti
i
prìncipi
o i
re
di
non
scegliere
tra
i
propri
consiglieri
dei
chierici,
così
come
si
vede
nella
«Chanson
d'Aspremont»,
dove
l'arcivescovo
di
Reims
si
prende
gioco
di
un
abate
che
vorrebbe
dar
consigli
su
come
governare
a
Carlo
Magno.
Anche
a
cavallo
tra
il
Duecento
e il
Trecento,
nel
quale
assistiamo
al
consolidarsi
di
una
burocrazia
statale
dove
la
competizione
fra
gli
ambienti
ecclesiastici
e
quelli
nobiliari
per
la
gestione
del
potere
può
ritenersi
pressoché
sorpassata,
è
possibile
trovare
riferimenti
nella
letteratura,
per
cui
veniva
consigliato
al
re
di
mantenere
il
principio
di
una
società
tripartita,
nella
quale
non
era
ammissibile
che
un
chierico
combattesse,
ma
dove
si
rispettano
le
sue
doti
di
scrittura
e di
calcolo
finalizzate
al
buon
funzionamento
della
macchina
governativa.
La
componente
guerresca
è
una
peculiarità
di
enorme
importanza
per
il
ceto
cavalleresco,
in
quanto
attraverso
di
esso
il
cavaliere
trova
un
auto-definizione.
Non
solo
portare
la
spada
denota
uno
status,
ma
anche
il
suo
utilizzo
lo
è. I
riferimenti
a
tattiche
militari
in
battaglia
non
mancano
di
certo,
come
si
vede
nelle
descrizioni
nella
canzone
d'Antiochia,
dove
vengono
descritte
la
schiere
di
cavalieri
anonimi
che
affrontano
il
nemico
in
formazione,
o
come
i
duelli
nelle
giostre
nei
quali
si
trova
una
valorizzazione
dell'abilità
e
dello
spirito
guerriero
dei
personaggi.
I
richiami
alla
mentalità
in
questi
scritti,
ci
forniscono
informazioni
preziose
a
proposito
di
aspetti
riguardanti
il
contesto
della
crociata
oltre
che
sull'immaginario
che
riguardava
i
musulmani.
Nei
componimenti
come
la
«Chanson
d'Antioche»
o la
«Chanson
de
Jérusalem»,
di
Graindor
de
Douai,
scritti
nei
primi
decenni
del
XII
secolo,
vi
sono
descrizioni
riguardanti
la
controparte
cristiana,
dove
il
conflitto
fra
cristiani
e
musulmani
è
visto
attraverso
un'ottica
manichea,
o
come
le
descrizioni
sulla
loro
fede
ritenuta
di
stampo
pagano,
nel
cui
l'autore
annovera
come
divinità
di
un
«pantheon»
islamico
figure
quali
Apollo
o
Maometto.
La
nascita
del
genere
romanzesco
è
legata
a
una
nuova
fase
della
società
feudale,
avvenuta
nella
seconda
metà
del
XII
secolo
in
Francia,
al
quale
si
può
ricondurre
la
formazione
di
ceti
in
modo
molto
più
delineato
rispetto
a
quanto
non
era
avvenuto
prima.
Per
quel
che
riguarda
la
nobiltà,
la
distinzione
dagli
altri
ceti
sia
sul
piano
sociale
che
su
quello
militare,
viene
marcata
ulteriormente,
richiamandosi
per
questo
scopo
alla
ripresa
di
tradizioni
e
pratiche
precise
del
passato
cavalleresco.
Diversi
testi
appartenenti
a
questo
periodo,
fanno
riferimento
agli
elementi
che
contraddistinguono
il
cavaliere,
i
quali
sono
interpretati
non
solo
in
chiave
giustificativa
o
critica,
ma
anche
come
caratteristiche
proprie
dell'aristocrazia,
come
elementi
cioè
che
gli
consentano
di
non
confondersi
con
il
resto
della
popolazione.
In
Francia
il
romanzo
partecipa
alla
creazione
di
un'etica
per
quanto
concerne
il
comportamento
del
suo
pubblico
di
fronte
all'amore,
ai
combattimenti
o di
fronte
alla
morte.
Lo
storico
infatti
può
usufruire
di
questa
letteratura
per
ricavare
preziose
informazioni
a
proposito
della
vita
quotidiana
o
della
mentalità
del
periodo
pressi
cui
gli
autori
danno
alla
luce
i
loro
componimenti,
sebbene
le
descrizioni
riferite
alle
varie
realtà,
siano
meno
attendibili
delle
canzoni
di
gesta,
in
quanto
la
trama
risulta
essere
maggiormente
abbellita,
alterata
e
magnificata.
Facciamo
ad
esempio
il
caso
di
un
romanzo
inglese,
«King
Horn»,
un
romanzo
appartenente
alla
seconda
metà
del
tredicesimo
secolo
e
che
fu
composto
per
conto
di
una
famiglia
nobile,
con
lo
scopo
di
citare
le
sue
origini
leggendarie,
elencando
una
genealogia
che
comprende
personaggi
immaginari
e di
alto
valore.
Non
ci
si
deve
attendere
pertanto
un
attento
riferimento
all'epoca
da
parte
degli
autori,
poiché
il
pubblico
di
queste
opere,
composto
quasi
esclusivamente
dall'aristocrazia,
probabilmente
non
si
attendeva
altro
che
sentire
parlare
in
modo
lusinghiero
e
esemplare
dei
modelli
di
comportamento
caratterizzanti
del
loro
ceto.
Penso
che
valga
la
pena
di
citare
anche
un
altro
aspetto
di
questi
componimenti,
e
cioè
quello
per
cui
si
possono
trovare
delle
allusioni
al
contesto
politico
in
cui
le
opere
sono
state
scritte:
esistono
trasposizioni
letterarie
di
realtà
politiche,
come
nel
caso
dei
romanzi
scritti
contro
la
società
ecclesiastica
–
soprattutto
in
area
occitanica
e
all'indomani
della
crociata
albigese
– o
come
nel
romanzo
di
Chrétien
de
Troyes,
«Cligès»,
nella
cui
trama,
a
parere
del
francese
Anthime
Fourrier,
autore
di
numerosi
saggi
sugli
sviluppi
della
letteratura
francese
medievale,
si
fa
un
esplicito
riferimento
al
progetto
di
far
sposare
il
figlio
di
Federico
Barbarossa,
il
futuro
Enrico
VI,
con
la
figlia
dell'imperatore
di
Bisanzio,
Manuele
Comneno.
Così
come
abbiamo
visto
nel
caso
delle
canzoni
di
gesta,
esistono
diversi
generi
di
romanzi
medievali
(dall'antico
al
bizantino,
dal
biografico
a
quello
realistico),
caratterizzati
per
componenti
quali
il
luogo
in
cui
il
romanzo
è
ambientato,
per
la
presenza
di
elementi
quali
combattimenti
o
tornei
cavallereschi.
A
differenza
del
romanzo
francese,
quello
inglese
tende
a
occuparsi
meno
di
elementi
tipici
come
l'amore
idillico,
dando
più
spazio
agli
atti
eroici
compiuti
dal
cavaliere.
Ciò
ha
vari
perché:
innanzitutto
il
romanzo
inglese
fiorisce
pienamente
fra
il
1280
e il
1380;
prima
di
tale
data
difatti,
questo
genere
scrittorio
non
venne
espresso
in
forma
vernacolare,
e
bisognerà
attendere
il
XV
secolo
per
avere
opere
in
prosa.
I
testi
francesi
sono
serviti
certamente
da
modelli
per
quelli
d'oltre
manica;
in
molti
di
loro
elementi
quali
le
avventure
di
un
singolo
cavaliere,
il
tema
dell'amore
o
l'ispirazione
per
le
donne
non
mancano
di
certo.
Tuttavia
se
li
confrontassimo
più
attentamente,
noteremo
delle
grandi
differenze
in
conformità
alle
circostanze
di
adattamento
dei
due
modelli,
oltre
che
per
via
del
background
culturale
del
pubblico
a
cui
i
due
generi
erano
rivolti.
Il
romanzo
inglese
infatti,
era
principalmente
rivolto
alla
gran
parte
della
popolazione
comune,
estranea
agli
ambienti
di
corte.
Ciò
fu
dipeso
anche
da
una
distinzione
fra
ceti
meno
marcata,
e da
un
minor
numero
di
aree
sottoposte
al
controllo
feudale.
Si
riscontra
per
di
più
molta
più
attenzione
per
tematiche
che
riguardavano
la
morale,
il
tutto
espresso
in
termini
meno
sofisticati
rispetto
ai
testi
francesi.
Gli
autori
di
queste
opere,
hanno
inoltre
meno
a
cuore
temi
legati
alla
sensibilità,
alla
introspezione
o
all'analisi
del
sentimento,
preferendo
trattare
di
condizioni
inerenti
alla
vita
comune,
come
appare
nel
«Havelok
the
Dane»
(forse
una
ripresa
di
un
poema
francese)
dove
il
protagonista
è
ritratto
in
scene
di
vita
semplice
in
cucina
o a
pesca.
Lo
scopo
di
questi
scritti
è di
quello
di
proporre
un
codice
di
condotta
che
ruota
attorno
ai
temi
della
concezione
del
perfetto
cavaliere:
benché
Havelok
sia
descritto
in
azioni
umili
infatti,
gli
avvenimenti
eroici
di
cui
è
protagonista
in
altre
parti
dell'opera
lo
descrivono
attorniato
da
un
aura
di
profonda
nobiltà.
Studi
sugli
scritti
romanzeschi
sono
concordi
nell'affermare
come
il
mondo
feudale
tra
il
XIII
e il
XIV
secolo
fosse
di
scarso
rilievo
anche
per
gli
autori
che
hanno
composto
opere
nell'Italia
del
Nord.
Il
corso
degli
eventi
in
quest'area
si
presenta
legato
in
misura
maggiore
alla
realtà
delle
città
comunali.
In
molte
città
settentrionali
della
penisola
infatti,
la
presenza
affianco
a
un'aristocrazia
cittadina
che
ricopriva
alte
cariche
istituzionali
di
altri
ceti
del
popolo
- i
quali
erano
raggruppati
in
società
di
mestiere
o
rionali
-,
che
spingevano
per
avere
diritto
di
parola
nelle
decisioni
che
riguardavano
l'amministrazione
cittadina,
comportò
un
maggiore
interesse
da
parte
dell'aristocrazia
a
sottolineare
la
sua
posizione
di
preminenza,
oltre
che
a
separarla
dagli
altri
ceti
all'interno
della
mura
cittadine,
in
particolare
dall'emergente
ceto
borghese.
Anche
in
Italia
lo
sviluppo
e la
diffusione
di
una
propria
letteratura
romanza
ebbe
un
grosso
ritardo.
Sebbene
siano
riscontrabili
elementi
che
si
richiamano
all'immaginario
arturiano
(come
nel
caso
della
cattedrale
di
Modena,
dove
degli
elementi
iconografici
del
XII
secolo
raffigurati
in
un
archivolto
riportano
le
storia
di
re
Artù),
bisognerà
attendere
diverso
tempo
perché
si
arrivi
alla
produzione
di
un
romanzo
come
quelli
d'oltralpe.
Una
grande
apertura
verso
questo
genere
letterario
avviene
verso
la
fine
de
XIIIesimo
secolo,
ma
l'influenza
francese
è
tale
da
condizionare
la
lingua
e i
temi,
come
si
vede
nell'opera
di
Rusticiano
da
Pisa,
il «Livre
de
merveilles»,
scritto
in
francese,
dove
è
presente
una
vasta
compilazione
arturiana
e di
personaggi
della
corte
del
mitico
sovrano.
Data
la
presenza
e
l'importanza
di
grandi
città,
oltre
che
dell'amministrazione
spesso
gestita
dal
ceto
borghese,si
è
pensato
a
lungo
che
i
romanzi
fossero
più
indirizzati
alla
borghesia,
che
ai
nobili.
Inoltre
nella
penisola
sono
maggiormente
presenti
elementi
che
si
richiamano
all'antichità
di
Roma,
facendone
un
luogo
di
elezione
per
il
genere
classico.
Da
una
buona
parte
dei
brani
che
trattano
la
cavalleria
e
che
ho
citato
sopra,
si
possono
ricavare
un
nutrito
elenco
di
attività
e
qualità
che
contribuiscono
a
delineare
un
modello
aristocratico
piuttosto
preciso.
Elementi
di
questo
genere
aiutano
a
identificare
il
cavaliere,
soprattutto
distinguendolo
all'interno
della
realtà
sociale
dal
resto
della
popolazione,
o
dal
ceto
della
borghesia,
contro
la
quale
entrerà
in
contrasto
negli
ultimi
secoli
del
Medioevo.
Le
peculiarità
cavalleresche
a
cui
farò
riferimento
riguardano
la
caccia,
il
gioco,
la
guerra,
e
l'amore.
È
innegabile
che
la
caccia
rappresenti
una
componente
essenziale
del
mondo
aristocratico,
non
solo
nel
medioevo,
ma
anche
oggigiorno
(si
pensi
alla
caccia
alla
volpe
fatta
dai
nobili
inglesi).
In
un
opera
letteraria
di
origine
Britannica
del
Trecento
del
genere
arturiano,
il «Gawain
and
the
Green
Knight»,
le
avventure
che
riguardano
il
protagonista
si
svolgono
in
un
castello,
dove
in
un
arco
di
tre
giorni
vengono
tenute
battute
di
caccia
dettagliatamente
narrate,
i
cui
rituali
svolti
–
l'utilizzo
del
coltello
per
scuoiare
la
preda
o i
cani
che
attendono
la
loro
parte
–
fanno
ben
intendere
l'importanza
identitaria
che
ricopriva
quest'attività
per
l'aristocrazia.
A
questo
proposito,
un
altro
aspetto
da
sottolineare
è
anche
la
presenza
di
animali
quali
cani
o
cavalli,
animali
nobili
tipici
del
ceto
cavalleresco.
A
queste
bestie
se
ne
somma
anche
un'altra:
il
falcone.
Questo
infatti
non
è
solo
un
lusso
economico
straordinariamente
costoso
–
tale
che
solo
i
nobili
potevano
permettersi
-,
ma è
anche
la
prova
dell'educazione
ricevuta
nel
suo
impiego,
e
quindi
dello
status
di
appartenenza.
Nel
«Decameron»
di
Giovanni
Bocaccaccio
ad
esempio,
si
vede
il
nobile
Federigo
degli
Alberighi
che,
dopo
essere
caduto
in
disgrazia,
conserva
il
suo
falcone
come
ultimo
ricordo
della
sua
passata
condizione
da
nobile.
Sebbene
nella
società
medievale
tutti
giocassero,
per
la
realtà
aristocratica
quest'attività
veniva
intesa
sia
come
un
modo
per
stare
in
società,
sia
come
un
elemento
che
evidenziava
l'appartenenza
a un
ceto
sociale.
Se
tutti
giocano
a
dadi,
nobiltà
compresa,
solo
quest'ultimi
sapevano
giocare
a
scacchi.
Questo
divertimento
infatti,
importato
in
Europa
dagli
Arabi
attraverso
la
Spagna
tra
il
IX e
il X
secolo,
veniva
visto
come
un'utile
modo
per
l'aristocrazia
di
apprendere
le
strategie
per
la
loro
vocazione
originaria:
la
guerra.
Affinché
il
cavaliere
imparasse
anche
gli
aspetti
della
vita
di
cui
faceva
parte,
il
gioco
comprendeva
caratteri
significativi
della
realtà
in
cui
egli
viveva.
Questo
è il
caso
del
torneo,
ma
anche
del
gioco
di
società
o di
quello
amoroso:
se
un
cavaliere
giocava
a
scacchi
con
una
dama,
ad
esempio,
era
considerato
buon
gusto
farla
vincere.
Per
quanto
riguarda
la
guerra,
in
essa
erano
presenti
due
componenti:
quella
ludica
e
quella
bellica.
Le
peculiarità
di
questi
due
aspetti
si
riscontrano
sia
nell'uno
che
nell'altro
ambito:
così
come
i
combattimenti
che
avvenivano
nelle
giostre
sono
trasposti
in
qualche
misura
sui
campi
di
battaglia,
allo
stesso
modo
l'esito
degli
scontri
che
si
svolgevano
in
guerra
erano
dettati
dalla
esperienza
guadagnata
nei
tornei
fra
cavalieri.
Come
si
può
vedere
in
una
cronaca
risalente
alla
prima
decade
del
XIV
secolo
di
Dino
Compagni,
in
occasione
della
guerra
condotta
fra
Firenze
e
Arezzo,
gli
aristocratici
si
distinsero
dai
villani
sul
campo
di
battaglia
in
quanto
amavano
e
sapevano
come
fare
la
guerra,
e
ciò
dipendeva
anche
dall'allenamento
ricevuto
presso
giostre
e
tornei.
Inoltre,
l'appartenenza
a
questa
realtà
sociale
aveva
dei
risvolti
persino
nel
possesso
delle
armi,
fungendo
da
differenziazione
nel
momento
in
cui
nuovi
ceti
cittadini,
come
la
borghesia,
entrarono
in
piena
fase
di
ascesa
sociale.
Il
saper
maneggiare
le
armi
in
battaglia,
ma
in
particolare
riportare
delle
vittorie
nelle
giostre,
portava
l'ammirazione
da
parte
delle
donne
che
assistevano
a
questi
eventi.
Per
quanto
riguarda
il
gioco
del
cortigiano,
il
nobile
si
identifica
proprio
perché
sa
in
che
modo
comportarsi
nei
confronti
delle
donne,
senza
escluderne
una
componente
erotica.
Geoffrey
de
Charny,
un
cavaliere
e
uno
scrittore
francese
della
prima
metà
del
XIV
secolo,
asserisce
che
l'onore
si
acquisisce
con
i
fatti
d'arme,
di
cui
il
premio
più
gradito
è di
certo
il
successo
presso
il
pubblico
femminile.
Per
quel
riguarda
altri
aspetti
caratterizzanti
della
società
cavalleresca,
di
indubbia
importanza
possono
risultare
gli
studi
del
sociologo
Elias,
raccolti
nell'opera
«Prozess
der
Zivilisation»,
pubblicati
nel
1969,
e
riguardanti
le
buone
maniere
presso
le
società
di
corte
nel
corso
della
storia.
Benché
la
sua
ricerca
si
fondi
sui
testi
di
natura
normativa,
pertanto
diversi
da
quelli
che
ho
scelto
di
prendere
in
esame,
Elias
denota
il
comportamento
da
parte
dei
ceti
nobiliari
come
un
elemento
che
contribuisce
a
formare
un'immagine
netta
di
questo
gruppo
sociale,
in
modo
da
autodefinirsi
e
escludendo
allo
stesso
tempo
tutti
gli
appartenenti
ai
ceti
inferiori.
A
loro
volta,
l'immagine
che
si
forma
di
quest'ultimi
deriverebbe
dall'imitazione
del
modello
aristocratico.
Il
suo
studio
ha
inizio
dalle
società
del
XII
secolo,
ma
tuttavia
il
punto
di
partenza
è da
collocare
nel
Cinquecento,
poiché
Elias
si
richiama
principalmente
all'opera
di
Erasmo
da
Rotterdam
«De
civilitate
morum
puerilium».
Ciò
perché
il
libro
di
Erasmo,
è
letto
in
modo
tale
che
risulti
tornante
su
un
arco
cronologico
che
si
ricollega
automaticamente
agli
aspetti
del
passato,
consentendo
così,
quasi
in
un'ottica
evoluzionistica,
di
tracciare
un
filo
conduttore
attraverso
le
abitudini
che
Elias
prende
per
la
sua
ricerca.
Tuttavia
anche
altri
autori
vengono
annoverati
fra
le
fonti
a
questo
studiose
fa
riferimento,
come
Baldassare
de
Castiglione
o
Monsignor
della
Casa.
Un
testo
in
particolare,
che
penso
valga
la
pena
di
menzionare,
sono
i
«Sonetti
per
l'armamento
di
un
cavaliere»
di
Giacomo
di
Michele,
detto
«Folgore»,
da
San
Gimignano
(località
nei
pressi
di
Siena),
collocabili
fra
il
1295
e il
1308.
Costui
era
un
guelfo
vissuto
a
cavallo
tra
il
XIII
e il
XIV
secolo,
sensibile
alla
realtà
cavalleresca
a
cui
dedica
questi
cinque
sonetti
che
ne
sottolineano
i
tratti
morali
e
materiali.
Il
motivo
di
questo
è
anche
il
fatto
che
Folgore
fa
parte
dell'ambiente
cavalleresco
della
sua
città:
in
un
paio
di
documenti
risalenti
al
1332
(data
della
sua
morte)
conservati
nell'archivio
di
San
Gimignano,
troviamo
dei
riferimenti
proprio
a
questo
personaggio,
ad
esempio
«heredes
Domini
Folgoris»
e «Nicolus
gener
Domini
Folgoris».
Il
termine
«Dominus»
si
riferisce
allo
status
cavalleresco
di
Folgore,
inserendolo
anche
nell'ambiente
della
nobiltà
cittadina.
In
questi
sonetti
si
precisano
le
virtù
del
cavaliere,
cioè
la
prodezza,
l'umiltà,
la
discrezione
e
l'allegrezza.
Folgore
presenta
nella
sua
opera
queste
qualità,
richiamandosi
al
passato
della
cavalleria
e
legandosi
allo
stesso
tempo
alla
realtà
urbana
in
cui
vive.
Essere
nominati
cavalieri
in
questo
ambiente
assume
altri
tratti
rispetto
a
quelle
presenti
in
una
società
feudale,
in
quanto
fattori
come
il
gioco,
o
eventi
ludici
divengono
caratterizzazioni
del
ceto
cavalleresco,
il
quale
manterrà
gesti,
rituali
e
mode
del
passato
a
scopo
identificativo.
In
sintesi,
ho
cercato
di
dimostrare
la
rilevanza
della
letteratura
cavalleresca
in
qualità
di
fonti
storiche
e
come
esse
permettano
di
comprendere
meglio
le
virtù
o le
componenti
che
hanno
caratterizzato
maggiormente
il
ceto
cavalleresco
sia
nella
società
feudale
che
in
quella
cittadina.
Gli
elementi
che
traspaiono
dagli
scritti
che
ho
citato,
sottolineano
i
tratti
che
aiutano
a
comporre
un
idea
identificativa
della
cavalleria,
sopratutto
in
conformità
ai
ceti
emergenti
del
XII
e
del
XIII
secolo
in
ambiente
urbano.
Oltre
a
ciò,
esse
permettono
di
avere
informazioni
sulla
civiltà
medievale
per
quanto
riguarda
argomenti
come
l'immaginario,
il
metodo
di
comportamento
ideale,
sino
anche
le
considerazioni
concernenti
altri
popoli.
Riferimenti
bibliografici:
AA.
VV.
A.
Barbero,
Chiesa
e
società
feudale
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secoli
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Brepols,
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Turnhout;
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A.
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J.
Flori,
L'épopée,
Brepols,
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L'avventura
cavalleresca,
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Krauss,
Epica
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per
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Carlomagno
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Picone
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Il
giuoco
della
vita
bella
di
Folgore
di
San
Gimignano;
studi
e
testi,
quaderni
della
biblioteca,
8,
Comune
di
San
Giminiano,
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Zaganelli
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