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N. 81 - Settembre 2014 (CXII)

L’impresa di Fiume
La Carta del Carnaro

di Francesco Marrara

 

Allo scoppio della Prima guerra mondiale, l’Italia era ancora legata agli Imperi centrali dalla Triplice alleanza. La formulazione del trattato lasciava però margini di manovra: aveva infatti un valore esclusivamente difensivo, tale cioè da far scattare la sua applicazione solo in caso di aggressione ai danni di uno dei suoi contraenti da parte di un altro Stato.

 

Nel momento in cui scoppiò la Grande guerra, l’Italia si proclamò neutrale, poi arrivò il clamoroso rovesciamento delle alleanze che la portò a schierarsi contro la Germania e l’Austria-Ungheria.

 

In neutralisti rappresentavano un vasto schieramento politico, in cui erano confluiti i liberali giolittiani, i socialisti riformisti e la maggioranza dei cattolici.

 

Sul fronte interventista, si ritrovavano gli interventisti di sinistra riuniti nel sindacalismo rivoluzionario, i futuristi, gli interventisti democratici, i repubblicani, i nazionalisti, i liberali di destra, gli irredentisti e il più importante quotidiano italiano, il “Corriere della Sera”.

 

Entrambe come possiamo ben notare erano coalizioni ideologicamente variegate. I neutralisti, avevano la maggioranza in Parlamento, ma gli interventisti erano in grado di accendere le passioni delle piazze. Le loro manifestazioni toccarono il culmine il 14 maggio 1915, con il discorso di Gabriele D’Annunzio al teatro Costanzo di Roma.

 

Dopo il lungo dibattito tra neutralisti e interventisti, si decise di entrare in guerra per liberare l’Italia dall’invasore austriaco. Decisiva per lo schieramento a fianco dell’Intesa fu l’iniziativa della monarchia e del governo Salandra.

 

Colloqui segreti portarono il 26 aprile 1915, alla firma del trattato di Londra, stipulato all’insaputa del Parlamento: l’Italia si impegnò a entrare in guerra entro un mese in cambio del Trentino e dell’Alto Adige, dell’Istria tranne Fiume che in verità nel Patto di Londra l’Italia aveva concesso alla Croazia con una imperdonabile leggerezza, della Dalmazia, di Valona in Albania e delle i sole del Dodecaneso.

 

Proprio i Croati, fin dal 1915, avevano costituito in Francia ed in Inghilterra i cosiddetti “Comitati jugoslavi”. Propagandando la liberazione delle “Nazionalità oppresse dall’Austria” svolsero un’abile azione presso le cancellerie di Londra e Parigi e in seguito a Washington, per convincere gli Alleati della necessità di creare quel futuro stato indipendente dei Serbi-Croati-Sloveni qualora l’Austria-Ungheria fosse stata sconfitta.

 

Nel nuovo Stato sarebbe stata compresa anche l’intera Dalmazia e ciò andava in contrasto con le aspettative dell’Italia, garantite dal Patto segreto di Londra. A Versailles nel 1919, fu quindi impossibile intervenire per l’Italia anche per la posizione filo-slava assunta dagli USA. Ma anche per la scarsa abilità della condotta italiana durante la Conferenza di Pace oltre che come ovvio il nostro paese fu sottoposto a continue pressioni diplomatiche.

  

L’insoddisfazione italiana relativa alla Conferenza di Parigi portò all’affermazione dell’idea della “vittoria mutilata”. La nostra delegazione, guidata da Vittoria Emanuele Orlando, s’impegnò nel tentativo di aggiungere alle conquiste territoriali la città di Fiume. I fiumani erano stati per secoli italiani, poiché avevano difeso la loro italianità contro tutti; nel 1530 l’imperatore Ferdinando I aveva concesso il Corpus Separatum, ossia Fiume venne in teoria assegnata all’Ungheria, ma rimaneva uno stato nello stato assolutamente indipendente.

 

Nonostante ciò l’Ungheria con i suoi tentativi imperialistici, volle assorbirla, ma essa rimase sempre italiana. Con la Conferenza di Parigi, la delegazione si diresse a chiedere Fiume in conformità a un voto liberamente espresso dalla popolazione fiumana, la quale chiedeva l’annessione alla madre patria appellandosi al primo dei quattordici punti di Wilson, ossia l’autodeterminazione dei popoli, ma i delegati iugoslavi si opposero, rivendicando non solo Fiume, ma anche la Dalmazia, Istria e Trieste.

 

 Il governo italiano non seppe reagire con forza e, Orlando fu sostituito da Nitti, il quale tornò alla Conferenza di Pace per rinunciare a Fiume, poiché l’Italia aveva bisogno degli aiuti internazionali per pagare i prestiti di guerra.

 

Il 12 settembre 1919 D’Annunzio e i suoi legionari marciarono su Fiume. Il governo Nitti fu informato dell’azione tramite il Giornale d’Italia, tant’è che si pensò a un accordo segreto tra Nitti e D’Annunzio, ma non fu così. Nitti, incaricò Badoglio di recarsi presso Fiume per riportare l’ordine. Badoglio, inoltre, evitò che venissero a mancare ai fiumani i viveri e la minima assistenza, in quanto egli era amico di D’Annunzio.

 

Nonostante ciò, Nitti sancì il blocco totale degli aiuti e così Fiume, nel mese di Marzo, sarebbe rimasta isolata. In questo senso D’Annunzio espresse da subito il rifiuto a qualsiasi negoziato con Nitti, soprannominato dal poeta-soldato “Cagoia”, in virtù della sua vigliaccheria.

 

D’Annunzio capì, dunque, che Fiume doveva trasformarsi da stato di fatto a stato di diritto, in modo tale da poterne rivendicare la sovranità. La sera del 30 agosto, i cittadini furono convocati al teatro “La Fenice”, per leggere il nuovo statuto sul quale sarebbe stato fondato il nuovo stato: nasceva la Reggenza Italiana del Carnaro. Il nuovo governo varò tra l’altro una nuova costituzione incredibilmente avanzata e moderna: “La Carta del Carnaro”.

 

La Carta del Carnaro promulgata l’8 settembre 1920, fu elaborata dal sindacalista rivoluzionario Alceste De Ambris e curata nello stile da Gabriele D’Annunzio. Essa si presenta come un testo emblematico delle inquietudini sociali dei fenomeni politici dell’Europa di quel tempo, che si fondava sui principi più vivi della Democrazia moderna, in quanto aveva per fondamento la potenza del lavoro produttivo e, per ordinamento le forme più varie e più larghe dell’autonomia gloriosa degli antichi comuni italici, così disse D’Annunzio.

 

Profondamente originale nelle soluzioni proposte nei 65 articoli divisi in venti capitoli, molto difficili da riassumere ovviamente, la Carta stabiliva: un salario minimo, l’assistenza nell’infermità, nella disoccupazione, nella vecchiaia, il risarcimento del danno in caso di errore giudiziario o di abuso di potere, libertà di pensiero, di stampa, di associazione, libertà per ogni culto, purché non fosse usato come alibi per non compiere i doveri della cittadinanza.

 

L’art.9 riconosceva la proprietà privata, solo se fondata sul lavoro e quindi volta all’utilità sociale. Il diritto di voto era garantito a tutti, sia uomini sia donne che avessero compiuto vent’anni e, inoltre, era previsto per entrambi i sessi, il servizio militare dai 17 ai 52 anni.

 

Fu istituito un collegio degli edili, scelto tra gli uomini di puro gusto, i quali avevano il compito di presiedere le costruzioni, la loro bellezza, la loro decenza e sanità. Esso aveva inoltre il compito di studiare nuovi materiali quali il ferro, il vetro e le applicazioni artistiche nell’edilizia. L’istruzione e l’educazione del popolo rappresentavano il dovere più alto della Repubblica.

 

L’istruzione primaria era completamente gratuita e obbligatoria, la scienza e l’arte potevano essere accessibili a tutti coloro che dimostravano capacità d’intenderle e, seguaci e non delle confessioni religiose potevano frequentare le scuole senza alcun pregiudizio.

 

La Carta Costituzionale, poteva essere riformata in ogni momento se richiesto da 1/3 dei cittadini aventi diritto al voto e tutte le leggi del Parlamento potevano essere sottoposte a Referendum.

 

Insomma una Carta per certi versi molto più avanzata della nostra, perché come sappiamo in Italia oggi, il Referendum non può essere invocato per leggi di carattere fiscale e per mettere in discussione la forma istituzionale della Repubblica. Infine, non bisogna dimenticare che a Fiume prese forma una Lega per rappresentare i popoli oppressi e per dar voce alle nazioni coloniali più deboli.

 

Quelle, insomma, che non venivano mai prese in considerazione dalle grandi potenze. Fu quindi uno dei primi esempi di solidarietà internazionale, perché all’interno della città, durante l’occupazione, convivevano gli stessi popoli che al di là di quel confine erano ostili fra loro.

 

Il 12 novembre 1920, fu sottoscritto il Trattato di Rapallo, in cui Fiume si dichiarava stato libero. La Dalmazia, tranne Zara, fu ceduta agli slavi. D’Annunzio non accettò il trattato e, il 26 dicembre Fiume fu attaccata dall’esercito italiano. Il 27 fu dato l’ultimatum ovvero che se D’Annunzio e i suoi legionari non avessero accettato il trattato, la città sarebbe stata bombardata a tappeto. Di fronte a questa situazione il poeta-soldato dovette rinunciare al suo progetto e si dimise il 28 dicembre. Il “Natale di sangue” come lo definì D’Annunzio, provocò la morte di 22 legionari, 25 soldati dell’esercito italiano e 7 civili. Fiume sarà annessa all’Italia solo nel 1924 e, rimarrà italiana fino al 1947.

 

Al di là della breve puntualizzazione storica descritta nelle righe precedenti, l’esperienza fiumana rappresentò un grande laboratorio politico, ossia quel momento di massima confluenza e sintesi della oramai superata prassi ideologica e dogmatica “destra-sinistra” che attanaglia tuttora la nostra società.

 

L’attuale momento, dovrebbe farci capire che la Globalizzazione/Mondializzazione sta facendo emergere tutti i propri limiti; il “turbo-capitalismo” risulta essere incapace di dare risposte alle problematiche sociali che ingabbiano da troppo tempo il sistema. Potrebbe essere quindi Fiume il punto da cui ripartire?

 

L’urlo del futuro è stato lanciato già molto tempo fa da Dannunzio e i suoi legionari: tutti coloro che vogliono andare verso la vita, la solidarietà, la giustizia, non devono fare altro che accogliere senza pregiudizio il messaggio: tradizione e innovazione, costituiscono la base della nuova sintesi della civiltà presente e futura.



 

 

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