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filosofia & religione


N. 121 - Gennaio 2018 (CLII)

il termine "filosofia"
la filosofia e il suo rapporto con le altre scienze

di Chiara Bellucci

 

Chi insegna filosofia, spesso e volentieri, si sarà sentito dire da parte degli studenti che il nome di Galileo – così come per esempio quelli di Cartesio ed Einstein appare tanto nei manuali di fisica quanto in quelli di filosofia. Per un pubblico giovane, naturalmente, trovarsi i nomi di grandi fisici e matematici anche nel manuale di filosofia, viene interpretato come un duplicare le informazioni e all’atto pratico, studiare due volte. Ciò succede perché noi uomini contemporanei siamo figli della scienza moderna che ha aperto alla settorializzazione, laddove la filosofia, madre della scienza moderna, era sempre riuscita, fin dai suoi esordi con la scuola di Mileto, a mantenere una visione complessiva del tutto.

 

La scienza nasce in realtà con Aristotele che fu il primo a catalogare le varie loghie moderne: biologia, antropologia, psicologia, biologia e così via di scorrendo, partendo dal presupposto che si possa predicare l’essere in vari modi e soprattutto, che la presenza di un ente primo, chiamiamolo Dio, non pregiudichi la validità ontologica di un ente “secondo” o essere degli enti.

 

Quindi, la filosofia prima secondo Aristotele, studierà l’essere privo delle sue determinazioni particolari, mentre le scienze studieranno “aspetti specifici” dell’essere. La fisica si interesserà all’essere come movimento, la matematica all’essere come numero, la psicologia all’essere come anima, tanto per dare un’idea.

 

È una vera fortuna, tra l’altro, che i potenti mezzi della tecnologia odierna, abbiamo permesso all’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, di poter caricare lezioni e incontri che il professor Antonio Gargano ha regolarmente tenuto con molti studenti, dedicando uno di questi interventi didattici proprio alla filosofia e al suo rapporto con le altre scienze.

 

Diogene Laerzio, il principale biografo dei filosofi antichi, a proposito di Talete, riporta l’esilarante scenetta della famigerata caduta di Talete nel pozzo che tanto suscitò il riso di una servetta trace. Talete, che era un naturalista, stava camminando con la testa rivolta per aria, intento a studiare gli astri e non aveva visto la presenza del pozzo. La servetta non perse occasione di ridicolizzarlo dal momento che Talete, grande sapiente, pretendeva di studiare il cielo quando, nella pratica, non era neanche in grado di vedere ciò che si trovava davanti al proprio naso.

 

Inutile ribadire che Talete fu un grande matematico, astronomo, meteorologo e soprattutto, un uomo dotato di forte senso pratico e fiuto negli affari. Pare infatti che in un’occasione avesse addirittura previsto un’annata particolarmente proficua per la raccolta delle olive, al punto tale che decise di prendere a nolo tutti i frantoi della regione e incassò dalla vendita dell’olio una discreta sommetta.

 

Dunque perché Diogene Laerzio lo presenta come un signore un po’ svampito, totalmente incurante di dove mette i piedi?

 

L’immagine di Talete che finisce nel pozzo è una metafora della figura del filosofo contrapposta all’uomo comune. L’uomo comune, il pozzo sa evitarlo. Il filosofo ha la testa per aria e prima e poi in qualche pozzo cade sempre. Il filosofo è insomma una figura strana e diciamo anche fastidiosa, perché pensa e opera in maniera contraria al normale senso comune.

 

Se solo pensiamo a come Aristofane trattò Socrate nelle Nuvole, con un attore sospeso nel bel mezzo della scena, all’interno di una cesta, allusiva al suo pensatoio, ecco di nuovo la chiara percezione che il filosofo dà fastidio.

 

Testa per aria, significa fannullone, perdigiorno, incapace di senso pratico, ma capacissimo di spendere ore e ore della giornata interrogandosi ad esempio su questioni banali tipo da dove si origini il ronzio delle mosche e simili. Insomma, la gente comune, del filosofo e della filosofa, ha davvero una cattiva opinione.

 

Per definire la filosofia è però essenziale definire prima il filosofo, prendendo le dovute distanze da chi associa il filosofo al fannullone o ancora peggio al rimbambito. Il filosofo non è né l’uno, né l’altro, ma è invece una persona che ha colto una verità a cui l’uomo comune non arriva: la manifestazione delle cose sensibili è solo la maschera di ciò che le cose sono nell’essenza.

 

Cerchiamo di capire meglio. In greco esiste il verbo fainomai che significa “apparire” e il verbo einai che vuol dire “essere”, “esistere”.

 

Da fainomai deriva in italiano “fenomeno” ovvero un evento che semplicemente accade sotto i nostri occhi, un’apparenza di qualcosa che secondo il pensiero greco classico, ha la sua ragione di essere oltre la stessa apparenza. Il filosofo, dunque, sa che la ragione d’essere delle cose è transeunte, e va al di là di ciò che i sensi restituiscono. Il filosofo capisce che la ragione d’essere “sta sotto”.

 

I Greci la chiamavano ousia dal participio del verbo einai, laddove il calco latino dal greco è più evocativo, ricorrendo al termine substantia o sostanza, sub stans = che sta sotto. Il filosofo perciò vuole conoscere, ama la conoscenza e definendo filosofo, la filosofia diventa amore per la conoscenza, che non significa solamente pensare, dal momento che pensare appartiene all’uomo comune.

 

Nella vita pratica, arrivando ad esempio alle 12.30, posso pensare a quando andare a pranzo e chi eventualmente invitare per compagnia se ne ho voglia. Il filosofo non pensa. Il filosofo ragiona e ragionare vuol dire argomentare, partendo da premesse, per arrivare a conclusioni, come sosteneva Aristotele.

 

Ragionare presuppone l’utilizzo dell’intelletto e non a caso Hegel disse che filosofare è come nuotare. Intus, da cui intelletto, significa “dentro”, “all’interno” e fare filosofia è tuffarsi dentro la realtà, perché senza tuffo, vale a dire prima di esercitare la filosofia, definirla è alquanto arduo.

 

Il professor Gargano ricordava in uno dei suoi interventi, come in passato aveva avuto l’onore e il piacere di conoscere e collaborare con Hans Georg Gadamer e come insieme erano soliti passeggiare contemplando il golfo di Napoli. Ogni volta che Gadamer guardava la bellezza del golfo diceva: «Che illusione perfetta!». L’amore per il sapere spinge il filosofo a tuffarsi nella realtà fenomenica, ad avere anzi quell’ardore di tuffarsi anche quando l’illusione è perfetta, perché l’illusione non spiega l’essere.

 

La filosofia è il risultato di questa indagine e ci si arriva solo nutrendosi di essere. Chi ha vissuto ogni singolo istante della sua vita, in piena coerenza con i suoi propositi personali e formativo-pedagogici nei confronti dei giovani, è stato Socrate, almeno fino a quando l’uomo comune ha deciso che dava fastidio e lo ha condannato, avanzando accuse così sciocche che davvero fanno capire quanto sia preferibile talvolta vivere sospeso su una cesta, piuttosto che in un mare di opinioni, dove ognuno fa prevalere la propria, come insegnavano i sofisti, e addio vaglio critico della ragione.

 

Socrate è stato il primo a teorizzare che la filosofia è ricerca della verità che coincide con il sommo bene che è per l’uomo la felicità. Socrate però ha aggiunto qualcosa di molto importante che lo differenzia dai presocratici e dai sofisti.

 

L’amore che ci spinge a ricercare e conoscere è tensione soggettiva verso l’oggetto del nostro desiderio. Quindi, ciò significa che, se la tensione viene meno, perché magari sono entrato in possesso dell’oggetto del mio desiderio, anche l’amore muore. Di conseguenza, perché ci sia ricerca, è necessario che la tensione non si esaurisca mai. Se sono consapevole di sapere è chiaro che poi non ricerco più.

 

Per Socrate la condizione necessaria per essere un filosofo è ricercare sempre. La filosofia diventa allora risposta a domande che non sono mai definitive, poiché solo le continue interrogazioni alimentano la ricerca. Socrate ci sta dicendo, senza esagerare troppo nell’interpretare cristianamente il suo pensiero, che quella verità di cui parla, non si può comunque mai raggiugere all’atto pratico, per il semplice fatto che la verità con la “V” maiuscola è quel tipo di sapienza appartenente solo a Dio.

 

La tentazione di associare Socrate a Gesù come si è già verificato, per quanto naturale, data la similitudine nell’aver entrambi scelto di non scrivere nulla, è nella sostanza non completamente corretta. Entrano in gioco parametri storici e culturali che, da una parte, oltre il tempo e lo spazio, nello spirito, associano questi due grandi esseri, ma dall’altra, li separano.

 

Però, aver parlato di Gesù, ci facilità l’introduzione del rapporto tra filosofia e religione. Se la filosofia cerca l’essere o la Verità, non si può certo affermare che la filosofia, in una tale ricerca, abbia la prerogativa.

 

La religione, ad esempio, si pone il medesimo fine, ma allo stesso tempo, differisce dalla filosofia riguardo al mezzo utilizzato per raggiungere la Verità, cioè la fede e il sentimento. La filosofia, invece raggiunge la Verità attraverso il ragionamento, aspetto quest’ultimo che la pone in totale distacco dalla religione che è un insieme di culti, credenze e miti, insomma, tutto ciò da cui la filosofia, nel suo atto costitutivo, ha deciso di separarsi.

 

Prima della filosofia, in Grecia c’era il mito o racconto verosimile con forte funzione eziologica e dunque esplicativa riguardo il perché delle cose. Nella Grecia preletteraria, il mito regnava sovrano ed era forte l’ascendenza di quel sapere di stampo orientaleggiante che faceva della natura un totale mistero che l’uomo non poteva penetrare e comprendere.

 

Poi, alla Grecia preletteraria, succede la Grecia letteraria. C’è infatti un uomo della letteratura greca, chiamato Edipo che, svelando l’enigma della Sfinge, simbolo orientale dell’insondabilità della natura, apre nuove prospettive per l’uomo greco.

 

La natura diventa conoscibile, perché l’uomo possiede una luce interiore che lo fa brillare come le stelle e tale luce è il logos. L’uomo greco, come ricorda Hegel è l’uomo luminoso del logos, della ragione che consente, appunto, di arrivare all’intellegibile e attraverso essa, orientarsi e comprendere il Tutto che risponde alla medesima ratio ordinatrice del cosmo, termine che etimologicamente è affine a kosmeo greco che significa “ordinare”.

 

Il significato è di importanza fondamentale, perché allude a un’intima affinità e omogeneità fra la logica delle cose e la logica della mente umana. La religione, tuttavia, pur essendo fede e sentimento, ad un certo punto – mi riferisco alla religione cristiana naturalmente – ha manifestato un certo interesse nei confronti della filosofia ed è rimasta profondamente affascinata dallo stesso lessico filosofico.

 

Per cristianizzare i pagani o gentili, Paolo di Tarso ha capito che, per far sì che quelle persone comprendessero il messaggio cristiano, era necessario tradurre le categorie concettuali del pensiero di Gesù nella lingua da loro parlata e nella fattispecie greco in accezione filosofica.

 

Non dobbiamo stupirci del fatto che Giovanni, nel suo Vangelo, utilizza nel prologo la parola stessa logos o ragione e ha addirittura l’ardore di associare il logos a un essere umano, Cristo.

 

Gesù è dunque il logos incarnato di Dio padre, l’Essere e rappresenta la Sapienza, la Ragione e la Verità.

 

Indipendentemente dal sincretismo cristianesimo/stoicismo/neoplatonismo, quello che conta è capire come la filosofia ha dato un metodo al cristianesimo delle origini. Qui ritorna Socrate in un certo senso, perché metodo a parte, la Verità ama davvero stare nascosta. Il metodo instrada, ma raggiungere la Verità è tensione soggettiva.

 

In definitiva il Cristianesimo ci ha lasciato una grande lezione filosofica. Se Cristo era il logos e incarnava la Sapienza, l’uomo si è allora trovato di fronte alla verità e cosa ha fatto?

 

Ha mandato Gesù sulla croce. Un bagno di sangue per farci capire che la Verità, pur avendola davanti agli occhi è invisibile per l’uomo. Prendiamo un’altra disciplina come l’arte. Anche l’arte aspira alla Verità e coglie l’universale, ma in forma sensibile: colori e sfumature nella pittura, note nella musica, la voce nella poesia. La filosofia invece coglie l’universale sotto forma di ragionamento.

 

Estremamente più interessante è il rapporto tra filosofia e scienza. Sono entrambe figlie della civiltà greca ed entrambe utilizzano la ragione. Abbiamo perciò una forma affine, ma un differente contenuto, perché la filosofia tende all’universale e la scienza al settoriale, cioè al particolare. La scienza nasce dalla filosofia e in greco viene infatti tradotta come episteme, laddove oggi, l’epistemologia è discorso critico sulla scienza.

 

Ad un certo punto, la scienza si è staccata dalla filosofia. Emanuele Severino parla del parto della filosofia che ha dallo alla luce la scienza. Tutti i parti non sono indolore e talvolta la madre muore, ma la creatura dalla madre generata è viva e in essa sopravvive la madre, perché il corredo genetico della figlia è quello della madre.

 

Ricorda Hegel come i principi delle singole scienze sono nella filosofia che è dunque scienza universale. In quanto madre, la filosofia non distrugge le sue creature, ma vuole rifondarne i principi e conferire a tali principi solidi fondamenti logici, metodologici e concettuali. Le scienze partono infatti da premesse che danno per scontentate, altrimenti non potrebbero costruire le rispettive conoscenze.

 

Si pensi agli assiomi a partire dai quali, in geometria, si dimostrano i teoremi. Gli assiomi, in epistemologia, sono premesse generali considerate valide perché non hanno bisogno di logiche esplicative in quanto evidenti a tutti. Gli assiomi non a caso sono ciò che in matematica si chiamano postulati non-logici in quanto auto-evidenti. La filosofia invece, passa tutto al vaglio critico della ragione e a differenza delle scienze, non è descrittiva. È perciò in sede filosofica che vengono discusse le categorie di uso comune nelle scienze settoriali ed è sempre in filosofia che viene analizzata la validità di un metodo.

 

Un’ulteriore distinzione tra scienza e filosofia riguarda il rapporto tra soggetto conoscente e oggetto conosciuto. Lo scienziato propende per un distacco freddo, mentre il filosofo per un’accorata compenetrazione tra soggetto e oggetto, non potendo essere diversamente, dato che la filosofia aspira alla totalità. Il filosofo, come disse Socrate e come del resto traspare nel Simposio platonico, rivela la natura dell’uomo come “essere a metà”, un essere in cammino, che non è totalmente ignorante, né perfettamente onnisciente, ma collocato nel mezzo e spinto dall’amore del sapere a incamminarsi verso la Verità, pur consapevole dei suoi limiti costitutivi che non sono un freno, ma una molla che sprona l’uomo ad allargare tale limiti.

 

Questo peculiare carattere della filosofia è perfettamente espresso da Niccolò Cusano che paragona la Verità a una circonferenza in cui è iscritto un poligono, che, per quanto possa espandere, aumentando il numero dei lati, non potrà mai farsi cerchio e toccare in ogni punto la circonferenza.

 

Nel mondo in cui viviamo, l’esigenza di recuperare la filosofia per contrapporla all’opinione mi sembra fondamentale. Ogni giorno delle nostre vite è calato in un mare di opinioni. Un tempo c’erano solo i mass media. Oggi con la digitalizzazione e i social, questa prevalenza dell’opinione sulla ragione sta diventando davvero tossica.

 

L’opinione regna sovrana su tutto. Basta l’opinione per fare politica, pensando che per fare politica sia sufficiente gestire alla meno peggio un blog e basta l’opinione, addirittura, per farsi una diagnosi medica che ora si può tranquillamente ritrovare on-line sul forum del tal dei tali.

 

È la mancanza del vaglio critico della ragione che rende l’uomo una marionetta in balia di qualche burattinaio che monopolizza chi, senza la ragione, perde ogni orientamento nel reale ed è la mancanza di un approccio olistico che ci porta a vedere la realtà a compartimenti stagni, quando tutto è uno. E del resto, i grandi geni non lo sono forse perché, indipendentemente dal loro campo di specializzazione, hanno compreso che in fondo tutto è uno?

 

Albert Einstein, il più grande genio nella storia della fisica di tutti i tempi, per arrivare alla relatività, aveva perfettamente compreso che tutto è uno. Il genio non è infatti colui che scopre, se la scoperta poi rimane fine a se stessa. Il genio è colui che sintetizza e che mette insieme le teorie altrui per orchestrare la sinfonia.

 

Einstein non ha scoperto la relatività. Einstein ha sintetizzato e dunque è pervenuto alla relatività ricomponendo tutta una lunga serie di scoperte che vanno da Lavoisier a Faraday, passando per Leibniz e Maxwell che gli hanno permesso di affermare che lo spazio non esiste senza tempo e il raccordo è la luce.

 

In pochi sanno che Einstein commentò Spinoza, come in pochi sanno che Einstein conosceva i presocratici, lontanissimi parenti dei fisici, tanto che tali li chiamava Aristotele. La genialità sintetica di Einstein e il suo dono di visione olistica portarono addirittura Karl Popper a chiamarlo “Parmenide” e il grande fisico tedesco non sembrò affatto dispiaciuto del complimento.

 

Possiamo dunque chiederci ancora perché il nome di Albert Einstein figura tanto nei manuali di fisica quanto in quelli di filosofia? In un mondo in totale decadenza intellettiva, se il nome di Einstein sparisse anche solo da uno di questi manuali, allora l’uomo avrebbe davvero perso ogni speranza di riscatto.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

A. Gargano: “Il termine filosofia” da F. Albergamo, A. Gargano, Il pensiero filosofico e scientifico nell’antichità e nel medioevo, la Città del Sole Editore, Napoli 2005.

N. Abbagnano, G. Fornero, Figure della Filosofia, Volumi A,B,C,D, Paravia editore, Milano 1999.

E. Severino, La Filosofia dai Greci al nostro tempo, Volumi, 1,2,3, Bur Saggi, Milano 2015.



 

 

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