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N. 82 - Ottobre 2014 (CXIII)

we are young. We are strong
lA PELLICOLA di Burhan Qurbani sulla "notte del fuoco" a Rostock nel 1992

di Leila Tavi

 

A meno di due anni dalla riunificazione tedesca la città di Rostock, nella Germania dell’Est, versava nel caos più totale, colpita da disoccupazione, che era stata foriera di disordini sociali e atteggiamenti xenofobi da parte degli abitanti della città nei confronti degli stranieri, stipati nei centri di accoglienza.

 

In particolar modo i residenti, fomentati dagli estremisti di destra convenuti a Rostock da ogni parte della Germania, sfogarono tra il 22 e il 25 agosto 1992 la loro rabbia sullo Zast (Zentrale Aufnahmestelle für Asylbewerber), il centro di accoglienza per rifugiati politici di Rostock, anche soprannominato Sonnenblumenhaus, per gli enormi girasoli che decorano ancora oggi una facciata laterale del palazzo costruito nel quartiere Lichtenhagen, nella zona nord-ovest della città.

 

Il centro di accoglienza poteva dare ospitalità allora a circa 250 persone, ma il quel periodo, anche a causa del crollo dell’Unione Sovietica e del conflitto jugoslavo, a Rostock, come in tante altre città della Germania dell’Est, arrivarono tra il 1991 e il 1992 migliaia di migranti e di rifugiati politici.

 

Nel Sonnenblumenhaus si trovava al momento dei disordini la comunità dei vietnamiti di Rostock; dagli inizi degli anni Ottanta del XX secolo molti partirono dal Vietnam per trovare lavoro come Gastarbeiter nella DDR. Il crollo dei regimi socialisti e la conseguente recessione economica avevano fatto sì che i lavoratori migranti fossero additati nella Germani dell’Est, all’indomani della riunificazione, come crumiri e approfittatori in un periodo di drammatica disoccupazione.

 

All’esterno del centro di accoglienza erano accampate famiglie rom e sinti, il cui flusso era in costante aumento giorno dopo giorno. Inizialmente le azioni violente furono indirizzate nei loro confronti; furono i primi ad essere sgombrati dalla polizia, per essere allontanati dalla zona dei tumulti. Non si pensò però all’incolumità dei vietnamiti che risiedevano nel Sonnenblumenhaus, non prevedendo che, una volta portati via i rom e i sinti, sarebbero stati presi come il capro espiatorio della drammatica situazione.

 

I primi disordini razziali iniziarono nella regione del Sachsen nel settembre del 1991, con una forte eco in tutto il Paese, sia a est che a ovest; nel 1992 nel Mecklenburg-Vorpommern ci furono duecento attacchi da parte dei neonazisti nei confronti di stranieri, dei veri e propri pogrom, che culminarono con quella che fu rinominata la “notte dei cristalli” di Rostock.

 

A Rostock il primo attacco avvenne sabato 22 agosto, quando circa trecento-quattrocento facinorosi gettarono le prime molotov conto le finestre dell’edificio, sotto lo sguardo compiaciuto di più di duemila osservatori. L’evento fu l’occasione per un ritrovo nazionale di naziskin, accampati lì dove, fino a un giorno prima si trovavano le tende di fortuna dei rom e dei sinti: banchetti di salsicce e birre rifocillavano gli estremisti e capannelli di giovani fanatici inveivano al grido di “Deutschland den Deutschen, Ausländer raus!”. Circa centosessanta poliziotti intervennero mal equipaggiati e inermi e, nonostante l’utilizzo degli idranti nel cuore della notte, la sommossa non fu sedata.

 

Il giorno successivo i tumulti e le proteste continuarono; a fomentare ancora più gli animi giunse il noto neonazista Christian Worch. In serata l’attacco all’edificio fu sferrato da ottocento-mille neonazi, fronteggiati da altrettanti poliziotti, coadiuvati dal BGS (Bundesgrenzschutz) di Amburgo, la polizia di frontiera. Tale intervento congiunto riuscì a stento a impedire ai facinorosi di entrare nel centro di accoglienza.

 

Subito dopo la riunificazione a Rostock erano in servizio solo poliziotti senza specifiche competenze nel Mecklenburg, mentre i dirigenti provenivano tutti dall’ex Germania dell’Ovest, principalmente impiegati o dirigenti dei Länder partner come Schleswig-Holstein, Amburgo o Brema, così i più alti dirigenti della città di solito trascorrevano il fine settimana fuori da Rostock, nelle loro città natali nella parte occidentale del Paese. Nessuno di loro, tranne l’inesperto Jürgen Deckert, a capo delle operazioni antisommossa, rientrarono a Rostock nel weekend di terrore.

 

Nella giornata di lunedì gli scontri tra manifestanti e polizia continuarono, mentre oltre tremila convenuti incitavano con slogan razzisti alla violenza. Il centro di accoglienza fu ancora una volta attaccato con molotov e pietre; alle 21.30 Deckert diede il comando ai poliziotti di ritirarsi fino a nuovo ordine. I naziskin non persero tempo a sferrare l’attacco finale, entrando nell’edificio, dando fuoco e distruggendo tutto quello che incontrarono; fortunatamente i centotrenta vietnamiti, insieme al personale tedesco del centro e a una troupe televisiva, si erano assemblati sul tetto del palazzo, in attesa dei soccorsi.

 

L’unica unità di vigili del fuoco intervenuta fu ostacolata dai facinorosi e dalla folla, così le operazioni per lo spegnimento del fuoco iniziarono con quasi due ore di ritardo. Solo alla mezzanotte arrivarono i poliziotti con i blindati per portare via i Gastarbeiter del Sommenblumenhaus.

 

Faceva parte della troupe televisiva che si trovava all’interno dell’edificio Jochen Schmidt, che stava raccogliendo materiale per un servizio che sarebbe dovuto andare in onda all’interno del programma televisivo Kennzeichen D, trasmesso dallo ZDF, il secondo canale nazionale tedesco. Dieci anni dopo i fatti di Rostock Schmidt scrisse un libro come testimonianza dal titolo Politische Brandstiftung, in cui è messa in evidenza l’inettitudine dei dirigenti che non furono in grado di gestire la crisi di Rostock e lasciarono per un fine settimana intero la città nelle mani degli estremisti di destra.
 

Non solo l’incapacità di Deckert è sottolineata dalla monografia di Schmidt, ma l’imperdonabile assenza di Siegfried Kordus, il capo della polizia di Rostock, che nella notte del 25 sparì per oltre tre ore con la scusa di doversi cambiare la camicia. Alcune dichiarazioni di politici dell’allora governo giustificarono i comportamenti xenofobi dei cittadini di Rostock: Lothar Kupfer (CDU), ministro dell’interno del Mecklenburg-Vorpommerns, ritenne che non ci fossero i presupposti per considerare un semplice sfogo come reale pericolo. Il presidente del Lander Berndt Seite dichiarò inoltre che i residenti della città si sentivano minacciati dall’ondata di migranti in continuo aumento.

 

I pogrom di Lichtenhagen furono il pretesto per drastici cambiamenti alla legge sull’asilo politico, varati dal governo Kohl nel 1993, con il consenso del SPD all’opposizione. Le richieste di asilo politico furono da quel momento in poi fortemente limitate.

 

L’ opera seconda del giovane regista tedesco di origine afghana ricostruisce con precisione storica e oggettività i fatti dell’agosto 1992; nelle note di regia spiega che per il titolo del film si è ispirato alla celebre frasi dei Quaderni del carcere di Antonio Gramsci “Il vecchio muore e il nuovo non può nascere”, attraverso cui il politico italiano voleva mettere in guardia dalle aberrazioni politiche e sociali che la fine della Prima Guerra Mondiale avrebbe portato.



 

 

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