FOLLIE E DELIRI A CORTE
FILIPPO V DI SPAGNA, IL RE CHE SI
CREDEVA UNA RANA
di Valeria La Donna
Nessuno ha mai affermato che essere
un buon re fosse sinonimo di
perfezione. Né un grande
professionista o un grande politico
si possono considerare tali perché
ineccepibili. E quella notte del 9
luglio del 1746, quando un ictus
pose fine alla vita di Filippo V,
moriva quello che, per certi versi,
era stato un grande sovrano, non un
essere perfetto.
Colui che verrà ricordato dal mondo
politico per essere stato il primo
re di Spagna della dinastia dei
Borbone nonché il sovrano più
longevo nella storia del paese – con
i suoi 45 anni di reggenza – si
scoprirà essere anche uno dei più
interessanti e peculiari dal punto
di vista della Psicostoria. Di
certo, fu quello più bizzarro e
“svitato” che la monarchia spagnola
abbia mai avuto in 12 secoli di
regno.
Nato nella caotica corte di
Versailles, figlio del Gran Delfino
francese e di Maria Anna Vittoria di
Baviera, nonché nipote di Maria
Teresa d’Austria e di Luigi XIV – il
famoso Re Sole – Filippo, duca
d’Angiò, crebbe come un’anima
spaurita all’ombra di tutti.
Innanzitutto, di suo nonno, un
personaggio che, per il prestigio
della carica che ricopriva e per il
suo carattere algido, gli sembrava
distante anni luce. In secondo
luogo, di suo padre, un edonista che
amava godere dei piaceri della
caccia e della carne e che rifuggiva
quelli di genitore. Infine, di sua
mamma, morta quando lui aveva appena
sei anni, devastata dalla
depressione.
In un ambiente familiare del genere,
il giovane Filippo doveva sentirsi
probabilmente invisibile. Ed
effettivamente lo era. Tutti
pensavano che non avrebbe mai
governato e divenne un orfano timido
e insicuro, quasi sottomesso,
abbandonato alle cure di
professionisti.
Malgrado ciò, seppe sfruttare bene
la sua educazione. Aveva una mente
intelligente e sensibile, rapida e
riflessiva, che coesisteva con una
personalità piuttosto imbronciata ma
tranquilla. Lo psichiatra Francisco
Alonso Fernández – che a Filippo V
dedicò un’intera biografia – scoprì
in lui un’autostima molto bassa.
Descrive la mente di quel bambino
come afflitta da sensi di colpa e
scrupoli eccessivi, in cui sessuale
e religioso si intrecciavano nei
suoi rimorsi. Non dovevano essere
facili da sopportare in una
Versailles dove le storie di letto
erano uno dei grandi divertimenti
della corte. In quell’ambiente
licenzioso e libertino, Filippo era
un uccello raro.
Nonostante tutto, in età adulta
ricordò sempre con nostalgia la
Francia, paese che dovette
abbandonare con dolore nel 1700,
quando, appena diciassettenne, venne
inaspettatamente nominato successore
di Carlo II di Spagna, fratello
della nonna Maria Teresa.
La scelta testamentaria dell’ultimo
sovrano degli Asburgo, dettata dalla
mancanza di eredi diretti, non solo
cambiò per sempre la vita di
Filippo, ma gettò anche nello
scompiglio buona parte degli Stati
europei, che ben avvertivano la
figura ingombrante di Luigi XIV
dietro quella del neoeletto sovrano.
La sibillina frase «i Pirenei non
esistono più» (Escribano
2011, p. 10), attribuita allo stesso
Luigi e pronunciata in seguito
all’incoronazione di Filippo come re
di Spagna, arrivò a confermare le
preoccupazioni di tutti. Consci
delle difficoltà che avrebbero avuto
nel fronteggiare l’unione dinastica
dei Regni di Spagna e Francia sotto
la figura di un unico monarca,
Austria, Inghilterra e Paesi Bassi,
seguite tra le altre dalla Prussia,
si allearono con gli Asburgo
d’Austria nella speranza di
spodestare Filippo a favore
dell’arciduca Carlo, anch’esso
pretendente al trono iberico.
Questi problemi ereditari
propiziarono la Guerra di
Successione Spagnola, considerata da
molti come il primo conflitto
globale a carattere europeo, che si
protrasse per oltre dieci anni –
fino al 1714 – e che si concluse con
la mantenuta separazione dei due
rami dei Borbone e con il ridisegno
degli equilibri politici
internazionali. In seguito ad esso,
la Spagna perse buona parte dei
territori spagnoli europei ma evitò
il destino della frammentazione
territoriale in casa propria.
Inoltre, riuscì, a mantenere sul
trono il suo sovrano.
Paradossalmente, durante gli anni
della guerra, Filippo spiccò per
vitalità e entusiasmo. Stanco di
essere considerato un debole e
deciso a dimostrare le sue capacità
e il suo valore, partecipò
attivamente alle campagne e arrivò
persino a dirigere l’esercito – a
volte in maniera fin troppo
temeraria –, guadagnandosi il
soprannome di el Animoso, il
Coraggioso.
Ciò che Filippo stava manifestando
sul campo di battaglia, tuttavia,
non era un carattere animado
come molti pensavano, ma dei veri e
propri tratti ipomaniacali. Comuni
nelle persone con disturbo bipolare,
gli episodi ipomaniacali sono
momenti di grande eccitazione in cui
i soggetti sperimentano una certa
iperattività, perdendo anche il
bisogno di dormire. Come ci spiega
Alonso-Fernández, la guerra non fece
altro che catalizzare i disturbi già
presenti in Filippo, per poi far
tornare in scena l’adolescente
timido, abulico e insicuro dei tempi
di Versailles, una volta terminati
gli scontri.
Il suo incontrollato appetito
sessuale, puntualmente soddisfatto
dalla moglie Maria Luisa di Savoia,
era forse l’unica cosa che riusciva
a mantenere occupata la sua mente
annoiata. Fin da giovane il re aveva
avuto una sessualità sfrenata che,
per i suoi scrupoli religiosi, era
più un tormento che una benedizione,
motivo per cui decise di
imbrigliarla esclusivamente
all’interno del matrimonio.
Tuttavia, quando la regina morì di
tubercolosi nel 1714, all’età di 25
anni, i disturbi mentali che
gradualmente avrebbero consumato la
salute del sovrano cominciarono a
manifestarsi in maniera sempre più
evidente.
Il 1717 fu l’anno in cui la sua
malattia esplose in tutta la sua
gravità. La mattina del 4 ottobre,
mentre stava cavalcando
placidamente, Filippo ebbe un
attacco isterico: credeva che il
sole lo stesse aggredendo. Sebbene
il carattere del sovrano Borbone
avesse sempre oscillato con rapidità
dall’euforia alla depressione,
nessuno avrebbe potuto prevedere
l’assurdo comportamento di quel
giorno.
Da quel momento in poi, il lungo e
inesorabile viaggio di Filippo verso
l’estrema follia ebbe inizio. I suoi
attacchi di isteria in pubblico
divennero sempre più frequenti e
presto cominciarono a essere
affiancati da incubi notturni, tra
cui quello ricorrente in cui,
terrorizzato, cercava di infilzare
un fantasma con la spada. Incapace
ormai di separare la realtà dalla
depressione che stava prendendo il
sopravvento, la mente di Filippo si
ritrovò in balia di manie e pensieri
ossessivi, con pesanti ripercussioni
sulla sua vita sociale e personale.
Celebre è il suo assoluto rifiuto di
tagliarsi i capelli e le unghie
poiché, secondo il sovrano, avrebbe
comportato un peggioramento dei
disturbi fisici – quali mal di
testa, stanchezza cronica e problemi
gastrici – che lo affliggevano da
tempo. Così, a un certo punto, le
unghie dei piedi gli crebbero
talmente tanto da rendergli
difficoltoso anche soltanto
camminare.
Come poteva, un uomo in questo
stato, dirigere un intero paese? Per
delega. Con il peggioramento delle
sue condizioni, il peso del governo
cominciò a ricadere su persone di
sua fiducia. Soprattutto, su
Elisabetta Farnese, l’italiana che
Filippo sposò in seconde nozze
appena sette mesi dopo la morte di
Maria Luisa.
Complice il suo carattere ferreo e
autoritario, la donna divenne, fin
dai primi istanti di matrimonio, il
polo attrattivo della vita di
Filippo, che sviluppò una vera e
propria dipendenza sessuale e
affettiva nei suoi confronti. Questo
fece sì che Elisabetta ottenesse
sempre più potere, al punto di
firmare spesso i documenti ufficiali
con “il Re e io”.
Di contro, la donna dovette subire
la fase più critica della malattia
del marito, che toccò il suo apice
dopo la morte del figlio Luigi I –
avuto da Maria Luisa –, a favore del
quale Filippo era riuscito ad
abdicare nel 1724, all’età di 40
anni. All’epoca, molti pensarono che
lo avesse fatto con la speranza di
ottenere il trono di Francia di
fronte a una possibile dipartita di
Luigi XV, ma ciò che desiderava in
realtà era soltanto ritirarsi dalla
vita pubblica.
Come spiega Marina Alonso Mola –
docente di Storia Moderna –, Filippo
era molto responsabile, ma sentiva
un’insicurezza assoluta che lo
paralizzava e che lo induceva a
pensare di sbagliare costantemente
nelle sue decisioni. Il monarca fu
sopraffatto da pressioni per le
quali nessuno in Francia lo aveva
preparato e non sognava altro che
abdicare in favore del figlio per
ritirarsi presso La Granja de San
Ildenfonso, “la piccola Versailles”
che aveva fatto costruire nel 1721 a
due passi da Segovia. «Sarebbe
stato felice di essere un nobile
senza ambizioni politiche»,
riconosce Mola (Navas
2021).
Dopo essere finalmente riuscito a
ritirarsi dalla corona per vivere il
suo sogno, fu brusco il suo
risveglio quando seppe che, a
distanza di soli otto mesi dalla sua
abdicazione, Luigi era morto di
vaiolo. Addolorato per la perdita e
amareggiato perché costretto a
rivestire nuovamente gli odiati
panni di sovrano, Filippo perse del
tutto la sanità mentale. Fu allora
che si cominciarono a scrivere le
pagine più tristi della sua
biografia.
A partire dal 1731, una volta
trasferitosi nell’Alcazar di
Siviglia, divenne un fantasma che la
maggior parte dei cortigiani non
rivide mai più. Dai corridoi del
palazzo si sentivano solo le sue
urla in lontananza, dietro le porte
che sua moglie aveva ordinato di
sorvegliare per impedirgli di
scappare. A quel tempo il suo
disturbo era grave e si era
completamente staccato dalla realtà.
Com’è tipico dei pazienti affetti
dalla Sindrome di Cotard, negava di
avere braccia e gambe, o di essere
ancora in vita, o di preservare la
sua identità umana.
Come ci spiega la scrittrice storica
Sara Navas, «Tra gli episodi
grotteschi di cui fu protagonista
nella reggia, spicca quello in cui
una mattina volle cavalcare uno dei
cavalli disegnati sugli arazzi che
adornavano la sua residenza perché
li credeva reali come lui. Arrivò
anche a trascorrere 15 giorni nel
suo letto senza smettere di urlare
di essere morto. In un’altra
occasione, Filippo ebbe
allucinazioni tali da credersi una
rana e come tale si comportò,
gracchiando e saltando per il
palazzo negando la sua condizione
umana, poiché era certo di non avere
braccia e gambe» (Navas
2021).
Trascorse 30 anni assicurando a
tutti coloro che avevano la pazienza
di ascoltare le sue farneticazioni
che sarebbe morto presto: «È
triste non essere creduto, ma non
tarderò a morire e si vedrà che
avevo ragione» (Navas
2021) ripeteva spesso al cardinale
Alberoni. «Il re è sempre triste»
– scrisse invece il marchese di
Louville, amico e confidente di
Filippo V, in una lettera destinata
al cancelliere Torcy – «Dice che
pensa sempre di essere sul punto di
morire, che la sua testa è vuota e
che sta per cadere. […] Vorrebbe
stare sempre rinchiuso e non vedere
nessuno se non le pochissime persone
a cui è abituato. Ogni tanto mi
manda a chiamare padre Daubenton o
il suo dottore, perché dice che
questo gli dà sollievo» (Navas
2021).
A un certo punto, Filippo si
ossessionò con l’idea che i suoi
indumenti e quelli di Elisabetta
irradiassero una luce magica.
Credendo che fosse opera del
diavolo, fece confezionare nuovi
abiti alle monache e, per timore che
qualcuno volesse avvelenarne i
tessuti, prese l’abitudine di
indossarli solo dopo averli fatti
provare alla moglie, evitando poi di
cambiarsi per mesi interi.
Morì a 60 anni tra alienazioni,
deliri e una mancanza di igiene tale
che, quando dovettero vestirlo per
la sepoltura, non riuscirono a
staccare gli indumenti che indossava
– e che per tanto tempo si era
rifiutato di togliere – se non
levandogli via anche tutta la pelle.
«Dovettero mummificarlo. È
l’unico re mummificato di Spagna, ma
era impossibile agire in altra
maniera con lui» (Navas
2021) riconosce lo scrittore e
storico Eduardo Juárez.
Secondo Juárez, la cosa più
sorprendente del caso di Filippo V è
che “la sua follia” sia rimasta
totalmente sconosciuta alla storia
ufficiale, contrariamente a ciò che
accadde, e con minore ragione, con
Giovanna I di Castiglia,
popolarmente conosciuta come
Giovanna la Pazza. «Per ragioni
politiche e dinastiche, nel caso di
Giovanna, era necessario che venisse
presa per matta. Con Filippo,
invece, non conveniva» afferma
Juárez. «Si dice a malapena che
Filippo fosse pazzo – continua –,
così come nessuno sottolinea il
fatto che nel Trattato di Utrecht
perse tutti i territori spagnoli
europei» (Navas
2021).
Essendo, infatti, Filippo in prima
linea in un processo di riforma
borbonica, era assolutamente
impensabile diffondere tra il popolo
e ai posteri l’immagine di un
sovrano debole e squilibrato. Da
qui, la tendenza a ricordare el
Animoso come un sovrano
illuminista, riformatore dello Stato
spagnolo, sotto il cui regno vennero
rinnovati la Marina e l’Esercito e
vennero promosse le Arti e le
Scienze.
Ma questa è solo la facciata
ufficiale. Il vero Filippo altri non
era che un uomo malato, incapace di
governare, probabilmente incompreso,
che la medicina del suo tempo non
seppe aiutare.
Riferimenti bibliografici:
F. Alonso-Fernández, Felipe V. El
rey fantasma, Editorial
Almuzara, 2020.
C. Cervera, La melancolía de «El
Rey Loco»: Felipe V sufría un
trastorno bipolar, ABC España,
2015.
H. Kamen, El rey loco y otros
misterios de la España imperial,
La Esfera de los Libros, 2012.
I. Martín Escribano, La plaga de
los Borbones, Vision Libros,
2011.
S. Navas, La monarquía al
desnudo: Del rey que nació en un
retrete al soberano playboy, Los
Libros de la Catarata, 2021.
S. Navas, Felipe V “se creía
rana” y “apenas se aseaba”: cómo el
rey español más trastornado pasó a
la historia como un gran monarca,
El País, 2021.
F.J. Urbiola, Felipe V, el primer
Borbón en España: reformista,
escrupuloso, extravagante y ‘loco’
por abdicar, Vanitatis, 2021.
X. Vilaltella-Ortiz, Las locuras
de Felipe V, el rey que se creía
rana, La Vanguardia, 2022.