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N. 80 - Agosto 2014 (CXI)

Filippo II e l’evoluzione della falange

La nascita e lo sviluppo dell’esercito che conquistò il mondo
di Andrea Contorni

 

Un grande re per un grande esercito. Detta così sembrerebbe un spot pubblicitario. Ma è indubbio che il più potente esercito dell’antichità, prima dell’avvento della legione romana, fu quello macedone di Alessandro Magno. Ma se il figlio lo condusse ai confini del mondo, il padre lo plasmò con impegno e sagacia. Parliamo di Filippo II della dinastia argeade.


Filippo comparve in scena nel 359 a.C. quale reggente del trono di Macedonia e tutore del nipote ancora minorenne Aminta IV, il legittimo sovrano. Pochi anni dopo, nel 354 a.C. riuscì a spodestare il giovane parente facendosi nominare re dall’Assemblea del popolo macedone.

 

Prese così la guida di una nascente potenza politica e militare in un contesto decisamente complicato. Il mondo greco era da sempre pervaso da un coacervo di situazioni a rischio, riconducibili ai dissidi interni e esterni della tante poleis, quasi mai improntante a una qualsivoglia unità di intenti.

 

Le imprese eroiche delle Termopili e di Platea erano troppo lontane nel tempo; non costituivano più un elemento di coesione come in passato. I rapporti tra le città-stato erano andati deteriorandosi negli anni, oltremodo minati dalle solite controversie riguardanti rotte commerciali, influenze culturali e sovranità territoriali.

 

I Macedoni, seppur “cugini” dei greci, erano da questi considerati poco più che “barbari”. Questa parola deriva dal greco bàrbaros, letteralmente “balbuzienti” e si riferiva a coloro che non parlavano greco e dunque non condividevano la cultura greca, considerata l’espressione più alta della civiltà.

 

I nostri Macedoni, al contrario delle popolazioni stanziate ancora più a nord, si dimostrarono un “prodotto ibrido” in grado di assorbire come spugne gli elementi della tradizione greca e farli propri. A conferma di quanto detto, con Alessandro, ebbe inizio quello straordinario periodo storico-culturale chiamato Ellenismo che non si riferisce solo alle grandi conquiste militari del condottiero, ma anche e soprattutto alla diffusione della cultura greca in tutto il bacino del Mediterraneo, in Oriente e fino in India. Sta di fatto che i greci “originali” guardarono con crescente sospetto l’evolversi di questo regno e ne ebbero timore.

 

Figurarsi poi quando la crescente potenza di Filippo II, iniziò ad interferire con le vicende legate ai rapporti tra poleis. Questa prepotente intromissione comportò un notevole rimpasto degli equilibri politici con una serie di eventi di fondamentale importanza per quanto riguarda l’iter del sovrano macedone.

 

Egli sconfisse gli Illiri per poi conquistare Anfipoli (357 a.C.) e guadagnarsi lo sbocco al mare. Si impadronì del Monte Pangeo e delle sue importanti miniere d’oro.

 

Entrò in contrasto con Atene ma ciò non gli impedì di mettere il becco nella Terza Guerra Sacra terminata nel 346 a.C. rendendo ancor più forte la posizione della Macedonia tra gli Elleni.

 

Tre anni più tardi, firmò un trattato di alleanza con la Persia per poi annientare Tebe e Atene nella battaglia di Cheronea (338 a.C.). Padrone della penisola greca, promosse la Lega di Corinto per riunire sotto un’unica bandiera tutte le poleis a eccezione di Sparta.

 

Far alleare tale Lega al regno di Macedonia e farsi eleggere comandante in capo dell’esercito unitario, fu una mossa tale da essere considerata un vero e proprio capolavoro politico-strategico.

 

In tal modo Filippo avrebbe potuto disporre a suo piacimento di un esercito professionista (quello macedone) e di svariati contingenti (quelli greci), per mettere in campo una formidabile macchina da guerra. Nel 336 a.C. si ritenne in grado di coronare il suo più grande sogno: conquistare l’Asia persiana.

 

Per dar concretezza all’ambizioso progetto espansionistico, Filippo aveva compreso da tempo che l’esercito necessitava di una profonda riforma. A sua detta né il tradizionale esercito macedone né tanto meno quello oplitico greco, per quanto forti e numerosi, potevano alla lunga garantire il successo nelle imprese che si era prefissato.

 

L’aristocrazia macedone forniva i temibili contingenti di cavalleria pesante. Nei territori controllati dalla monarchia, soprattutto in Tracia si arruolavano fanterie leggere da schermaglia, molto valide nel combattimento alla distanza, ma per nulla efficaci nel corpo a corpo. Completavano il quadro i classici opliti pesantemente armati di lancia e scudo.

 

L’esercito macedone così costituito aveva ottenuto diverse vittorie ma presentava alcune lacune degne di nota. Il raggio d’azione dei cavalieri poteva essere limitato da avversarsi in grado di sfruttare al meglio gli spazi sul campo di battaglia.

 

Gli schermagliatori che temevano il confronto con fanterie maggiormente equipaggiate correvano il rischio di rimanere isolati e vittime loro stessi delle cavallerie antagoniste. Gli opliti sarebbero rimasti gli unici a tenere alto l’onore in campo, ma per quanto avrebbero potuto resistere senza un’adeguata coordinazione con le altre truppe?

 

Le poleis greche fornivano a loro volta gli opliti, organizzati in fortissimi contingenti di fanteria pesante. La loro grande pecca era quella di essere formazioni molto lente e con una bassa manovrabilità sullo scacchiere tattico. Inoltre l’oplita era di fiera estrazione cittadina e dunque piuttosto vincolato al territorio d’origine.

 

Possiamo definire le formazioni oplitiche come difensive con ridotta capacità di essere impiegate con efficacia in campagne militari al di fuori dei confini nazionali della polis di appartenenza. Filippo comprese come fosse necessario avere a disposizione un esercito professionista, fedele al re e non vincolato al territorio. I suoi soldati non sarebbero stati chiamati alle armi per difendere le proprie case ma per combattere guerre di conquista in territorio straniero, ricompensati con moneta sonante.

 

Filippo II si impegnava a rifornire gli uomini del migliore equipaggiamento possibile. Per la prima volta nel mondo greco, non era dunque il singolo individuo a doversi procurare la panoplia in base alla sua disponibilità economica.

 

Il sovrano macedone iniziò anche a riflettere su come creare un’armata dotata di tattiche e formazioni innovative in grado di coniugare resistenza, manovrabilità e profondità di azione. Un compito tutt’altro che facile.

 

A Cheronea si confrontò con la leggendaria falange Tebana, inventata decenni prima da Epaminonda, uno dei più valenti condottieri greci di tutti i tempi. Filippo ebbe modo di studiare quell’innovativa formazione negli anni di esilio in quel di Tebe (fino al 360 a.C.). Nel 338 a.C. mise in pratica per la prima volta quanto aveva elaborato a tavolino.

 

La dirompente tattica macedone che faceva della collaborazione combinata di cavalleria e fanteria il suo cavallo di battaglia, prese corpo in quel confronto, sulla carta sfavorevole ai macedoni. Tebani e Ateniesi rimasero annichiliti.

 

Il Battaglione Sacro, imbattuto da oltre trent’anni fu sterminato, battendosi con valore fino all’ultimo uomo. Fu il trionfo di Filippo II.

 

Analizziamo nel dettaglio la falange Tebana di Epaminonda. Questa era l’evoluzione della classica falange oplitica (dai 12 ai 25 ranghi di profondità). Prevedeva uno schieramento "obliquo" con una disposizione di uomini in 50 ranghi di profondità sul lato sinistro della falange (di solito il lato debole nello schieramento classico) e un assottigliamento dei restanti ranghi al centro e a destra.

 

In battaglia, la rinforzata sinistra comportava un inevitabile sfondamento del lato destro avversario. Il centro e la destra dai ranghi "assottigliati" resistevano o arretravano con ordine, assecondando la spinta avversaria fintanto che non fosse stato effettuato l’aggiramento da parte della sinistra vincitrice. A quel punto il centro e la destra prendevano a spingere in avanti, chiudendo il contingente nemico in una morsa mortale.

 

Filippo aveva sempre dimostrato ammirazione per il Battaglione Sacro Tebano che combatteva in tal modo. Ne imitò il modello, migliorandolo ulteriormente proprio in seguito alla vittoria di Cheronea. Egli voleva più mobilità e velocità d’esecuzione.

 

Per favorire questi fattori bisognava metter mano all’armamento dei soldati. La falange macedone fu organizzata introducendo la figura dei "pezeteri" (compagni a piedi della falange). Erano fanti dotati di una lunghissima picca (la sarissa, lunga oltre cinque metri) ed equipaggiati di corazze più leggere rispetto alle pesanti e costose panoplie oplitiche.

 

Uno scudo circolare di piccole dimensioni legato all’avambraccio sinistro permetteva di tenere la sarissa a due mani. Veniva abbandonato il grande e ingombrante "oplon" classico. I pezeteri marciavano compatti e le prime file tenevano le picche abbassate rivolte al nemico. Le sarisse delle file retrostanti, tenute alte, impedivano che frecce e giavellotti avversari producessero eccessive perdite.

 

I pezeteri formavano un muro invalicabile in grado di travolgere fanti e cavalieri ma avevano dalla loro anche una maggiore manovrabilità, essendo l’armamento in dotazione di molto più leggero rispetto al passato.

 

La falange macedone presentava però un punto debole. La vulnerabilità del fianco destro, non protetto dagli scudi. Filippo II piazzò accanto ai pezeteri gli "ipaspisti" (letteralmente "portatori di scudo"). Erano questi, uomini coraggiosi e di valore che formavano una sorta di reparto mobile speciale.

 

Equipaggiati alla leggera ma dotati di grandi scudi da difesa, gli ipaspisti dovevano evitare che le falangi fossero aggirate o colpite li dove gli uomini non erano protetti dagli scudi. Reparti di fanti da schermaglia tra i quali arcieri (“toxotai”), lanciatori di giavellotti (“akontistai”) e peltasti (“peltastai”), completavano lo schieramento.

 

Agivano dinanzi alle falangi, ritirandosi dietro le stesse appena esaurite le munizioni. Nei casi di emergenza, armati di spade e mazze potevano intervenire nel corpo a corpo. Infine troviamo le cavallerie tra le quali eccellevano gli alleati Tessali e i famosi "hetairoi" (letteralmente "compagni").

 

Questi ultimi costituivano la temibile cavalleria pesante macedone, formata dal fior fiore dell’aristocrazia. Schierati a rombo in ali di 200 uomini (ad eccezione dello squadrone reale di 400 elementi), sul fianco destro della falange, gli hetairoi caricavano il nemico con l’ausilio di una lunga lancia in legno (xiston). Indossavano armature pesanti ma non portavano alcuno scudo a difesa.

 

Come ho accennato poc’anzi, questa tipologia di esercito, (o quantomeno qualcosa di molto simile), fu schierata da Filippo II in forma “embrionale” proprio a Cheronea.

 

Il meccanismo macedone dimostrò qualche incertezza nelle fasi iniziali dinanzi alla potenza degli opliti tebani e ateniesi che per di più erano attestati su un terreno favorevole con i fianchi protetti da una palude a destra e dalle pendici dell’acropoli a sinistra.

 

Il sovrano macedone simulò la ritirata della sua falange per attirare fuori posizione gli ateniesi e gli altri alleati che presi dall’impeto caddero nella trappola. Furono contenuti dai falangiti macedoni per poi essere attaccati sul loro fianco sinistro dagli ipaspisti. Si diedero ben presto alla fuga.

 

Il Battaglione Sacro, ben più esperto, non si era schiodato dalla sua ubicazione di partenza. Si trovò a contrastare sia le falangi macedoni che la cavalleria comandata da un giovanissimo Alessandro. Fu la sconfitta delle poleis greche.

 

Nel 336 a.C., Filippo inviò un contingente in Asia Minore, un primo corpo di spedizione che doveva preparare il terreno per un’invasione in grande stile dei possedimenti persiani. Un complotto ordito nelle stanze di palazzo portò alla sua uccisione per mano di un ufficiale della guardia di nome Pausania.

 

La morte di Filippo II portò Alessandro alla successione al trono di Macedonia. Egli ereditò dal padre uno stato forte e coeso, vera eccezione nel contesto greco del tempo, e un esercito trasformato in una eccezionale macchina da guerra.

 

Il talento strategico di Alessandro rese questo esercito letteralmente invincibile sui campi di battaglia tanto che le conquiste macedoni toccarono i confini del mondo conosciuto, spingendosi in Oriente fino in India.

 

Per l’Occidente era in essere un progetto di espansione che avrebbe portato Alessandro a diretto contatto con la nascente potenza romana. L’intento non ebbe un riscontro reale per via della sua improvvisa dipartita in quel di Babilonia.

 

Il talento, le intuizioni, i sogni del dimenticato Filippo II hanno contribuito a scrivere in modo indelebile nella Storia, la fantastica epopea del più grande condottiero di tutti i tempi... Alessandro Magno.



 

 

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