contemporanea
LA DIFFICOLTÀ DI ESSER FIGLIE DI
CRIMINALI NAZISTI
GUDRUN, HEDDA E HILDE
di Francesco Cappellani
Si dice che le colpe dei padri non
devono ricadere sui figli, ma se i padri
sono personaggi come Hermann Göring,
luogotenente di Hitler, Heinrich
Himmler, comandante della polizia e
delle forze di sicurezza del terzo
Reich, Albert Speer, architetto e
ministro degli armamenti del Führer,
l’ombra macabra di questi genitori,
passati alla storia come criminali di
guerra, si abbatte implacabilmente sulla
famiglia.
Per i figli, nati tra i tardi anni Venti
e gli anni Quaranta del secolo scorso,
giudicare in modo corretto e imparziale
dei padri conosciuti spesso solo
nell’infanzia, diventa difficile perché
richiederebbe di astrarsi completamente
da ogni legame affettivo e di rifiutare
totalmente quella ideologia nazista che
era riuscita a soggiogare in particolare
proprio le giovani generazioni.
Nell’ambito familiare questi papà
“gerarchi” erano affettuosi e premurosi,
per cui alcuni figli restano attaccati
all’immagine di una persona
assolutamente normale, rispettabile se
non addirittura eroica, mentre altri
assumono una posizione critica senza
talvolta rinunciare a dimostrare una
certa stima per il genitore. Cioè «sentono
di non potere amare un “mostro” e
rimuovono il lato oscuro della figura
paterna per potere continuare a nutrire
nei suoi confronti un amore filiale
incondizionato» (Crasnianski, 2017).
D’altra parte, Hannah Arendt nel suo
celebre reportage sul processo Eichmann
a Gerusalemme nel 1961 (Arendt 1964), ha
mostrato che le persone che avevano
gestito e attuato la morte di milioni di
esseri umani non erano affatto degli
psicopatici folli, ma uomini comuni,
convinti di possedere un corretto senso
morale, e di avere agito legittimamente
obbedendo a degli ordini superiori,
spesso con l’alibi di non avere avuto
altra possibilità di scelta data la
situazione in cui si erano venuti a
trovare.
Solo in qualche caso, alcuni discendenti
di criminali nazisti hanno compiuto una
sorta di percorso di espiazione
convertendosi al cattolicesimo o
all’ebraismo per diventare sacerdoti o
rabbini. Secondo lo psicologo israeliano
Dan Bar-On, queste conversioni sono
dovute alla necessità di «sgravarsi
da una sofferta appartenenza al gruppo
dei criminali entrando a far parte della
comunità delle vittime» (Crasnianski
2017). Altri hanno voluto rimuovere
diversamente il peso di una eredità
parentale difficile, come la figlia del
figlio che Magda Goebbels ebbe dal primo
marito, l’industriale Gunter Quandt, che
si è convertita all’ebraismo a 24 anni e
i due pronipoti di Göring, Matthias e
Bettina, che a 30 anni decisero di farsi
sterilizzare per non avere discendenti e
chiudere definitivamente la possibilità
di “creare altri Göring”.
Katrin Himmler, pronipote di Heinrich,
nipote del fratello più giovane del
gerarca, si è trasferita in Israele e ha
sposato il figlio di un sopravvissuto ai
campi di sterminio. Come una forma,
forse involontaria, di autoterapia per
liberarsi dai fantasmi dell’Olocausto,
ha scritto il libro Die Brüder
Himmler: Einedeutsche Familien
geschichte (“I fratelli Himmler:
storia di una famiglia tedesca”)
pubblicato in Germania nel 2005.
Raccontando delle figlie di questi
gerarchi bisogna considerare che si sono
sentite adorate e vezzeggiate dai papà
nella loro infanzia per cui, come
vedremo, raramente riescono a giudicarli
per quello che sono stati realmente,
cioè degli spietati esecutori di una
assurda ideologia.
Gudrun Himmler.
Il caso della figlia di Heinrich
Himmler, il maggiore artefice della
Shoah, è significativo di questo
atteggiamento mentale. Gudrun Margarete
Elfriede Emma Anna Himmler nasce l’8
agosto del 1929, figlia unica amatissima
dal papà che la chiama “püppi”
(bambolina). Heinrich si era sposato nel
1928 con Marga, una infermiera
divorziata più anziana di lui di sette
anni con la quale, forte dei suoi studi
di agronomia, impianta un allevamento di
pollame. Gli affari non vanno bene
perché Heinrich è sempre più assente
votato com’è alla politica dove inizia
una rapida carriera nel partito nazista,
e allora, chiusa l’azienda, la famiglia
si trasferisce a Monaco.
Nel 1936, Himmler è nominato
Reichsführer-SS, cioè capo di tutto
l’imponente apparato di polizia, e così
quest’uomo che Albert Speer aveva
definito «per metà maestro di scuola
e per metà uno strampalato»,
diventerà uno dei gerarchi più potenti e
influenti del terzo Reich. Da Monaco si
trasferiscono a Gmund, in alta Baviera,
dove acquistano casa. Dal 1938 Himmler
ha una relazione con la sua segretaria
da cui avrà due figli, ma resterà
legatissimo solo a Gudrun, la bimba
legittima; nel 1940 si separa dalla
moglie senza però divorziare per non
creare ansie alla figlia.
La porta spesso con sé nei suoi viaggi
tra i quali, nel 1933, a Dachau, a
visitare il primo campo di
concentramento da lui realizzato, e,
appena gli impegni sempre più crescenti
e vincolanti glielo permettono, torna a
casa per stare con la sua bambina. Nella
fitta agenda e nelle lettere di Himmler
appare evidente l’affetto verso la sua
famiglia nella quale, in qualità di
“zio”, entra anche Hitler che la bimba
idolatra. Il 3 maggio 1938 Marga Himmler
annota sul suo diario «Visita del
Führer. Püppi era tutta eccitata. È
stato meraviglioso ritrovarsi a tavola
con lui, nell’intimità» (Crasnianski
2017).
Durante i cinque anni della guerra
Gudrun vive nella casa di Gmund anche
quando la madre si sposta a Berlino dove
riprende a lavorare come infermiera. È
molto sola e lentamente comincia a
realizzare la drammaticità del conflitto
e teme per l’incolumità di suo padre.
Dopo lo sbarco degli alleati in
Normandia e l’avanzata inarrestabile
delle truppe sovietiche sul fronte a
est, Gudrun vuole credere ancora nella
vittoria finale e scrive nel suo diario:
«Credono tutti con tale fermezza
nella vittoria che, in quanto figlia di
quest’uomo ora particolarmente
prestigioso ed apprezzato sono costretta
a crederci anch’io, e ci credo in tutto
e per tutto”. Ma il 5 marzo 1945,
ormai quindicenne, realizza che la
situazione è disperata, e annota: «Non
dipendiamo più che da noi stessi. E da
noi ci sono talmente tanti tradimenti.
Gli ufficiali abbandonano semplicemente
il campo. Nessuno vuole più la guerra
[…] E tuttavia ci sono ancora tante
persone che potrebbero andare a
combattere e che restano qui a battere
la fiacca […] Papà ha proclamato il
Volkssturm [milizia popolare
costituita da uomini tra i 16 e i 60
anni] il 18 ottobre durante un
discorso magnifico […] L’atmosfera
generale è a zero […] Göring, quel
fanfarone, non fa nulla» (Himmler
2014).
Nell’aprile del 1945, Gudrun e la mamma,
all’avanzare delle truppe americane,
lasciano Gmund e fuggono in Alto Adige
dove vengono arrestate dagli alleati a
Selva di Val Gardena il 13 maggio 1945 e
tradotte prima a Verona e poi a Firenze
per subire un primo interrogatorio.
Portate a Roma, in un centro di
smistamento verranno trasferire in
Germania e internate nel campo femminile
di Ludwigsburg, per essere in seguito
sottoposte a interrogatorio a Norimberga
nel quadro del processo ai criminali
nazisti.
Quando Gudrun viene a sapere del
suicidio del padre, ritenendo che invece
sia stato assassinato dagli Alleati, ha
uno shock parossistico e delira per tre
settimane. Le due donne sono infine
rilasciate e trovano asilo presso un
convento-ospizio gestito da un pastore
protestante dove vengono registrate come
persone “afflitte da ritardi mentali”.
Negli anni Cinquanta, lasciato il
convento, Gudrun studia da sarta e
inizia a lavorare in un negozio di moda
a Monaco con molte difficoltà perché il
cognome, che mantiene con orgoglio e non
nasconde mai, suscita disagio e reazioni
negative nella gente. La Germania
dell’immediato dopoguerra non vuole più
sentire il nome Himmler, ma lei si
intestardisce nel culto acritico della
figura del padre e tenterà di
riabilitarne la memoria malgrado le
crescenti e inconfutabili prove storiche
sul totale coinvolgimento del gerarca
nella soppressione di milioni di vite
umane.
Nel 1955 partecipa a Londra a una festa
organizzata dal politico inglese di
estrema destra Oswald Mosley e dal
figlio dell’ex ministro degli esteri
nazista Von Ribbentrop. Il suo piccolo
appartamento a Monaco diventa un museo
di cimeli del nazismo; lei si rifiuta di
lasciare interviste e si lega sempre più
ai tanti reduci e nostalgici del terzo
Reich con un fanatismo e un impegno
difficili da giustificare. Nel 1951
entra, ne diventa dirigente e per
quarant’anni la colonna portante, nella
Stille Hilfe für Kriegs gefengene und
Internierte (“Assistenza silenziosa
per prigionieri di guerra e internati”),
una organizzazione nata clandestinamente
nel 1946 e poi ufficializzata nel 1951,
per nascondere e aiutare a sottrarsi
alla giustizia ex-membri delle SS o
gerarchi responsabili della Shoah. Tra
questi Josef Mengele e Adolf Eichmann
riparati in America Latina seguendo le
cosiddette “ratlines”, i canali
di fuga dall’Europa, grazie a coperture
di alti prelati tedeschi e della Croce
Rossa.
Gli assistiti dalla Stille Hilfe,
che lavora in stretto contatto con
l’analoga struttura ODESSA,
Organization Der Ehemeligen SS
Angehörigen (“Organizzazione degli
ex-appartenenti alle SS”), comprendono
decine di criminali che hanno potuto
vivere indisturbati, finanziati e
protetti anche sul piano legale in forza
della rete di amicizie e complicità
dell’organizzazione; nell’elenco
spiccano personaggi molto tardivamente
assicurati alla giustizia, come Klaus
Barbie, detto “il boia di Lione”, Erich
Priebke, tra i responsabili dell’eccidio
delle fosse Ardeatine, Franz Stangl,
capo del campo di sterminio di Treblinka
e il dittatore croato Ante Pavelic.
Gudrun si impegna per aiutare Anton
Malloth, uno dei direttori del lager di
Theresienstadt, condannato a morte in
contumacia da un tribunale Cecoslovacco,
che vive tranquillamente nascosto per
circa 40 anni a Merano e verrà infine
estradato in Germania nel 1988,
processato e condannato all’ergastolo
nel 2001, un anno prima di morire.
Negli anni Sessanta sposa Wulf Dieter
Burwitz, scrittore e simpatizzante del
partito neonazista NPD
(Nationaldemokratische Partei) dal quale
avrà due figli; appoggia i movimenti di
estrema destra tedeschi e partecipa ai
raduni degli ex-combattenti e dei
veterani delle SS; verrà soprannominata
la “principessa nazista”. Nel
corso degli anni la sua coscienza morale
non riesce a mettere nella corretta
prospettiva storica l’ideologia che
sottintendeva le croci uncinate, anzi
Gudrun è sempre più caparbiamente
attaccata alle sue convinzioni; muore il
24 maggio 2018 a 88 anni. Forse, si
chiede la Crasnianski, il suo estremismo
fanatico fu «un modo per proteggere
il proprio Io dalla pressione di un
passato insostenibile» (Crasnianski
2017).
Edda Göring.
Figlia unica di un altissimo gerarca
nazista, considerato a lungo il braccio
destro di Hitler, è Edda Göring. Nasce
il 2 giugno 1938; la madre, Emmy
Sonnemann, seconda moglie di Hermann
Göring, è una attrice di provincia
sposata dal gerarca nel 1935, qualche
anno dopo la morte della prima
amatissima moglie Carin.
Hermann era stato colpito all’inguine
durante il fallito putsch di Hitler a
Monaco nel 1923, e inoltre la moglie
aveva 45 anni all’epoca del
concepimento, per cui la nascita della
bimba fu considerata quasi miracolosa,
si parlò di “immacolata concezione”
e anche di inseminazione artificiale.
Hermann scoppiò di felicità per il lieto
evento e lo festeggiò col suo
inarrivabile stile kitsch sorvolando
Berlino con una squadra di 500 aerei
della Luftwaffe, l’arma di cui era
comandante.
Edda racconterà che per la sua nascita i
genitori avevano ricevuto 628.000
telegrammi di congratulazioni. La bimba
è battezzata nella sfarzosa residenza di
caccia di Carinhall, in una foresta a
nord-est di Berlino; Hitler è il padrino
della bionda e bellissima Edda che
riceve un’infinità di regali, tra cui
una preziosa tela, una Madonna con
Bambino, di Lucas Cranach il Vecchio, da
parte della municipalità di Colonia.
Göring aveva fatto costruire Carinhall
negli anni Trenta in onore della
affascinante baronessa svedese Carin von
Kantzow che per lui aveva lasciato
figlio e marito. La salma di Carin,
morta di tisi nel 1931, era stata
trasferita in un mausoleo eretto nella
tenuta; la lussuosissima villa
accoglieva le moltissime opere d’arte
rubate o confiscate soprattutto durante
la guerra dalle SS: oltre mille quadri
di autori famosi, tra i quali Renoir,
Rembrandt, Van Dyck, Canaletto,
Veronese, circa 250 sculture e un
centinaio di preziosi arazzi.
Carinhall includeva anche una piscina
con sauna e palestra, una immensa sala
da ballo, bunker sotterranei e un
castello che riproduceva in scala
ridotta il palazzo di Federico il Grande
a Potsdam, regalo della Luftwaffe per i
giochi della piccola bimba, oltre a un
parco sterminato di migliaia di ettari.
In questo fiabesco paradiso terrestre
Edda trascorre i primi anni di vita,
adorata dalla famiglia e particolarmente
dal padre che nel prosieguo del
conflitto mondiale si allontanerà sempre
più dalla vita politica per stare con la
sua “Eddalein”, sfidando le critiche di
Hitler che finirà col definirlo “il
peggiore dei falliti”.
Le sorti del Reich tracollano, Göring fa
sgombrare i tesori d’arte stipati a
Carinhall e ordina alla Luftwaffe di
distruggere con la dinamite la fastosa
residenza. Il 31 gennaio 1945 Edda con
la mamma si rifugiano nella casa di
montagna sull’Obersalzberg, nelle Alpi
Bavaresi vicino a Berteschgaden dove si
trova la residenza estiva di Hitler, ed
è qui che il 21 maggio 1945 sono
catturate dalle truppe americane e
internate a Mondorf-les-Bains, in
Lussemburgo. Rilasciate, si stabiliscono
nell’aprile 1946 in una piccola casa a
Sackdilling a una trentina di chilometri
da Norimberga.
Göring, espulso dal partito nazista ed
esautorato dal Führer che lo reputa un
traditore, è arrestato dagli alleati,
processato a Norimberga e condannato a
morte per crimini di guerra e contro
l’umanità. Si suiciderà il 15 ottobre
1946 con una capsula di cianuro evitando
l’esecuzione per impiccagione. Edda vede
il papà in carcere per l’ultima volta il
30 settembre 1946, Göring è ammanettato
e, nei ricordi della moglie Emmy, dice
loro: «Vi benedico, te e nostra
figlia, benedico la nostra cara patria e
benedico chiunque vi farà del bene»
(Crasnianski 2017).
Nel 1948 Edda inizia a frequentare il
collegio femminile St. Anna di
Sulzbach-Rosenberg in Baviera dove,
dieci anni dopo, consegue la maturità.
Studia all’Università di Monaco
laureandosi in giurisprudenza, ma non
seguirà la carriera legale lavorando
prima come segretaria e poi in una
clinica di riabilitazione a Wiesbaden.
Sia lei che la madre devono affrontare
una serie di denunce per appropriazione
indebita di beni ottenuti grazie al
regime nazista. La madre viene
condannata a un anno di lavori forzati.
Nel 1949 anche Edda è coinvolta in una
disputa legale relativa ai doni che
aveva ricevuto dai tanti amici di suo
padre, che la mamma reputa siano di
proprietà esclusiva della figlia e che
quindi le andrebbero restituiti. Motivo
del contendere è anche la nota tela di
Lucas Cranach il Vecchio, ma il
tribunale bavarese respinge la richiesta
stabilendo che quei beni erano stati
donati da persone col solo scopo di
ingraziarsi il potente gerarca.
Come la figlia di Himmler, Edda ha un
culto ossessivo per la figura del padre.
Questa donna molto bella e di grande
classe, come testimonia il filmato
televisivo del 1986 di una delle rare
interviste da lei rilasciate disponibile
su youtube, sostiene che suo padre non
abbia avuto nulla a che fare con la
Shoah e che tutte le colpe siano da
addossare al Führer. È orgogliosa del
suo cognome e afferma che non le causa
nessun problema nelle relazioni
personali, anzi si sente maggiormente
rispettata. Per lei Hermann era un
genitore buono e gioioso, non un
fanatico e tantomeno un mostro,
dimenticando che fu proprio Göring, per
conto di Hitler, a ordinare a Reinhardt
Heydrich, braccio destro di Himmler,
l’attuazione della Soluzione Finale,
cioè la deportazione e lo sterminio
degli ebrei in Europa, già nel luglio
del 1941 e poi alla conferenza di
Wannsee del gennaio 1942.
Grazie alle conoscenze della madre, Edda
resta in contatto con molti membri dei
circoli nazisti che gravitavano attorno
a Hitler e con i rappresentanti
dell’estrema destra tedesca. È amica di
Winifred Wagner, nuora di Richard Wagner
e amica di Hitler, e di Oswald Mosley,
il leader fascista inglese. Resterà
nubile, di lei si conosce solo una
“liaison”, avvenuta dopo la morte della
mamma, con Gerd Heidemann, un
giornalista della rivista Stern
nostalgico del nazismo, che aveva
acquistato nel 1970 il Carin II, lo
splendido yacht regalato a Göring nel
1937 dai magnati dell’industria
automobilistica tedesca, sul quale nella
sua infanzia dorata Edda aveva trascorso
momenti felici.
Sul ritrovato Carin II si incontrano,
oltre a Edda, alti gerarchi ex-nazisti
come il generale Karl Wolff,
plenipotenziario di Himmler in Italia
dal 1943, e il generale Wilhelm Mohnke,
l’ultimo comandante del Reichstag.
Heidemann nel 1983 incorre in un grave
scandalo legato alla pubblicazione dei
diari di Hitler, riconosciuti opera di
un falsario dopo un’attenta perizia, e
ciò gli costerà una condanna a 4,5 anni
di carcere per frode. Nel 2014 Edda
tenta, senza successo, di rientrare in
possesso di parte dei beni confiscati a
suo padre con un ennesimo ricorso alle
autorità bavaresi. Muore a 80 anni il 21
dicembre 2018 a Monaco dove si era
ritirata a vivere da molti anni in un
appartamento pieno di “mirabilia” su suo
padre e il nazismo.
Hilde Speer.
Diverso e molto interessante sul piano
umano e morale rispetto ai casi
precedenti, è la vicenda di Hilde, la
seconda dei sei figli di Albert Speer,
nominato da Hitler nel 1934, a 29 anni,
capo-architetto del partito nazista e,
nel 1942, ministro degli armamenti e
della produzione bellica. A lui si deve
la progettazione e il maestoso
allestimento dello stadio per il raduno
del partito nazista a Norimberga nel
1933, che incantò il Führer e fu
celebrato dal famoso film di propaganda
di Leni Riefenstahl Triumph des
Willens (“Il trionfo della
volontà”). L’intesa con Hitler è subito
totale, il giovanissimo Speer ne diventa
il pupillo e resta ammaliato da questo
rapporto privilegiato col capo del Reich
al punto da dichiarare «[…] la
semplicità affascinante con la quale
affrontava i nostri problemi, tutto ciò
mi stordiva e avvinceva. Del suo
programma politico non sapevo quasi
nulla: egli mi avevo “preso” prima che
avessi compreso» (Speer 1976).
Hilde nasce nel 1936; nel 1938 la
famiglia Speer si trasferisce
sull’Obersalzberg, vicino al Berghof, la
dimora montana di Hitler intorno alla
quale si trovano anche le residenze
estive di Göring e di Martin Bormann, il
potente segretario personale del Führer,
con i suoi dieci figli. Fino all’inizio
del 1945 Hilde vive serena con i
genitori, i quattro fratelli e la
sorella Margret nella grande villa,
lontana da ogni preoccupazione e
privazione per la guerra in corso, e
frequenta le elementari a Berteschgaden.
Nell’aprile del 1945 il crollo del Reich
è oramai imminente; Speer sposta la
famiglia verso il nord della Germania
per raggiungere Flensburg dove
l’ammiraglio Dönitz, succeduto a Hitler
suicidatosi il 30 aprile 1945, aveva
installato il governo provvisorio per
trattare la resa con gli alleati. Speer
è arrestato il 15 maggio 1945, recluso
nel carcere di Mondorf-les-Bains e poi a
Norimberga in attesa del processo. La
sua famiglia si accasa a Heidelberg,
presso i genitori di Speer. Col padre
accusato di crimini di guerra (sarà
condannato a 20 anni di reclusione) i
suoi figli «imboccano un lungo
cammino destinato a risolversi in una
rottura radicale con la figura paterna.
Avranno tutti difficoltà a comunicare
con lui, perfino Albert jr che ha scelto
lo stesso mestiere» (Crasnianski
2017).
Hilde studia in un collegio femminile di
Heidelberg, dove l’insegnante di storia,
di famiglia ebrea, avrà un profondo
impatto nella sua formazione
intellettuale e lei la ricorderà sempre
con grande stima e affetto. Speer si
rifiuta di vedere i figli per otto anni,
le prime visite avvengono nel 1953 ma il
rapporto con loro è gelido e formale e
resterà così per sempre. Hilde si
impegna per tenere i contatti col padre
e per anticiparne senza successo la
scarcerazione, scrivendo al Presidente
della Germania con l’appoggio di De
Gaulle e Willy Brandt, allora
borgomastro di Berlino. Nel 1953 cerca
di capire le ragioni che hanno portato
suo padre a sposare l’ideologia nazista
e le conseguenti atrocità interrogandolo
in uno scambio di lettere che si
prolunga per gli anni di detenzione del
genitore, ma non ottiene una risposta
credibile.
Speer dice che non ne sapeva nulla,
mentendo in quanto più tardi, nel 1971,
alle stesse domande rivoltegli da un
giornalista replicherà: «Se non ho
visto niente è stato perché non volevo
vedere». Quando Speer esce dal
carcere di Spandau non c’è nessuno dei
figli ad attenderlo, solo la moglie gli
va incontro. Il ritorno a casa non
riesce a ravvivare con la famiglia un
legame irrimediabilmente perduto, anche
il rapporto con la moglie si spegne.
Speer muore a Londra nel 1981 dove si
era recato con la sua amante per
concedere un’intervista alla BBC.
Hilde si laurea in sociologia, diventa
educatrice e partecipa attivamente alla
campagna politica dei Verdi divenendo
una leader del partito. È eletta membro
della Camera dei Rappresentanti a
Berlino e ricopre la carica di
vicepresidente nel biennio 1989-1990.
Non cercherà mai di giustificare il
nazismo e i suoi artefici, compreso suo
padre, ma anzi da quei tragici
avvenimenti ha tratto la convinzione e
la forza per prodigarsi con grande
determinazione in attività sociali come
le recenti crisi umanitarie vissute da
rifugiati e migranti. Ad esempio, nel
2015 accoglie nella sua casa per
parecchi mesi due esuli siriani. Per il
suo impegno le viene assegnato nel 2004
il premio istituito dalla fondazione
Mendelssohn in onore del filosofo ebreo
Moses Mendelssohn per la tolleranza e la
riconciliazione tra i popoli.
Hilde aveva ereditato dal padre tre
quadri di grande valore provenienti
forse da espropriazioni o confische di
beni ebrei negli anni del nazismo;
decide di venderli dopo avere tentato
invano di rintracciarne i proprietari, e
col denaro dà inizio nel 1994 alla
fondazione Zurückgeben (“Ridare
indietro”) che a oggi ha finanziato 150
progetti, ponendosi tra le poche, se non
l’unica, fondazione dedicata a sostenere
nel dopoguerra la cultura ebraica in
Germania. Lo scopo è raccogliere
donazioni da chi ritiene di avere goduto
di guadagni ingiusti a seguito delle
razzie esercitate dalla Germania nazista
ai danni dei cittadini ebrei, cioè
stimolare la consapevolezza nella
società tedesca che le opere rubate dal
regime vanno restituite. Questa sua
attività è stata premiata a Berlino nel
2019 col “German Jewish History Award”
da parte della Obermayer Foundation
creata da un filantropo americano per
premiare i tedeschi non ebrei che
contribuiscono a preservare la memoria
degli ebrei tedeschi in Europa, con le
parole: «Contrariamente a molti di
quella generazione non ha taciuto la
difficile eredità paterna nel
nazionalsocialismo, ma ha
consapevolmente deciso di ridare
qualcosa indietro».
Hilde ha ripetutamente dichiarato: «Provo
vergogna per ciò che è accaduto nel
passato, e naturalmente provo vergogna
per il fatto che è successo accanto a
me, nella mia stessa famiglia».
Gitta Sereny, nella sua biografia su
Albert Speer (Sereny 1995), ha definito
Hilde «Maybe the most moral person I
evermet» (“Forse la persona di più
alto livello morale mai incontrata”).
Riferimenti bibliografici:
T. Crasnianski, I figli dei nazisti,
Bompiani, Milano 2017.
H. Arendt, La banalità del male.
Eichmann a Gerusalemme, Feltrinelli,
Milano 1964.
H. Himmler, Il diario segreto, a
cura di Katrin Himmler e Michael Wildt,
Newton Compton, Roma 2014.
A. Speer, Memorie del Terzo Reich,
Mondadori, Milano 1976.
G. Sereny, Albert Speer. His Battle
with Truth, Macmillan, London 1995. |