contemporanea
FERNANDA PIVANO
LA DONNA CHE HA PORTATO IL BEAT
AMERICANO IN ITALIA
di Carlo Desideri
Tra gli anni Cinquanta e gli anni
Sessanta si sviluppa, prima negli
Stati Uniti poi in tutta Europa,
un movimento passato alla storia come
beat generation, nato da un
gruppo di giovani scrittori
caratterizzati da un comune disdegno
verso le imposizioni sociali tanto
diffuse negli USA degli anni Cinquanta.
I maggiori esponenti di questo
movimento, che nel corso degli anni
Sessanta diventano dei veri e propri
punti di riferimento per tutti i giovani
che si autodefiniranno appartenenti alla
generazione beat, sono Jack Kerouac,
Allen Ginsberg, Thomas
Lawrence Ferlinghetti e Gregory
Corso, un gruppo di amici, compagni
di studio o di viaggio che decidono di
vivere dedicare la propria vita provando
quelle tipologie di esperienze che tanto
venivano criticate e denigrate dalla
morale comune americana dell’epoca, che
vanno dall’intraprendere lunghi viaggi
sulle strade statunitensi abbandonando
la sicurezza di una vita tranquilla e
conformista (come Jack Kerouac narra nel
suo libro On the road), al
testare vari tipi di esperienze
religiose orientali (come sempre Kerouac
racconta in The Dharma Bums).
Una generazione dedita
all’anticonformismo, alla provocazione,
al cercare esperienze continuamente
nuove da quelle proposte dalla società
dell’epoca, come descrive Allen Ginsberg
nel suo Howl.
Anche a causa della forte avversione
iniziale verso le figure di questi
autori, i loro testi iniziano a
circolare principalmente soltanto dal
1957 in poi, giungendo in Europa solo
nel decennio successivo. Una volta
affermatosi il movimento (in Italia il
movimento beat si afferma nella seconda
metà degli anni Sessanta), iniziarono a
nascere una serie di stampe autogestite
da giovani che condividevano gli ideali
di ribellioni e anticonformismo che
caratterizzavano il clima giovanile
degli anni Sessanta.
Nel primo numero della stampa
autogestita italiana “Mondo Beat”,
uscito il 15 Novembre 1966, si possono
trovare queste osservazioni: « el 1945
vi erano già i primi Beatniks che
vivevano come vagabondi, adoravano il
bop e il loro gergo era simile a quello
dei “negri”. In quel tempo essi erano
ancora pochi e sconosciuti, ma da allora
in poi il loro numero salì
progressivamente, e nel 1948
incominciarono a formarsi le prime
continuità e la loro fisionomia a
definirsi»
Originariamente “beat” significava
abbattuto, povero, vagabondo, triste,
uno che dorme nella “sotterranea”.
Quando invece Jack Kerouac pubblicò il
suo primo libro che divenne di grande
interesse per l’opinione pubblica, la
pubblicità si impossessò di questo
fenomeno, cambiandolo completamente agli
occhi della società e rendendolo più uno
slogan che un significato di hipster. Il
significato di Beat Generation, usato
per la prima volta da Kerouac per
descrivere i personaggi dei suoi libri,
fu ampliato in seguito a tutta la
rivoluzione sociale che iniziò, tra gli
anni Cinquanta e Sessanta, a sovvertire
il costume americano.
Dal 1954 fino al 1959 la pubblicità
cambiò tanto il significato di
beatnik da includere nella beat
generation anche i delinquenti
minorenni, esasperando talmente i veri
beat da costringerli a nascondersi dalla
loro sempre più crescente notorietà,
portandoli anche a viaggiare all’estero,
non solo in Europa, ma anche in Giappone
e in India.
Come spiegato precedentemente, le opere
di autori come come Kerouac e Ginsberg
hanno iniziato a diffondersi tra la
società giovanile italiana soprattutto
intorno alla metà degli anni Sessanta e
questo è stato possibile grazie al
lavoro di studio e traduzione di un
personaggio chiave del beat italiano
(benché non ne fosse un diretto
esponente): Fernanda Pivano.
La scrittrice e giornalista Fernanda
Pivano viene considerata un vero e
proprio elemento di collegamento tra il
beat americano e quello italiano. Fu una
delle prime principali traduttrici dei
più importanti testi degli autori beat
e, proprio grazie ai suoi lavori, tali
testi iniziarono a circolare anche in
Italia, così da non essere più materia
di interesse soltanto per un’élite
intellettuale.
Durante il suo lavoro come assistente di
Nicola Abbagnano – filosofo e accademico
italiano –, entra in contatto con un
gruppo di saggisti, giornalisti e
scrittori molto influenti all’epoca –
tra i quali Elio Vittorini e Cesare
Pavese –, ai quali viene riconosciuto di
aver tradotto e introdotto in Italia i
maggiori autori della letteratura
nordamericana. Cesare Pavese ad esempio
si laurea nel 1930 con una tesi su Walt
Whitman.
Avendo anche lei interessi verso gli
autori americani, inizia la sua carriera
letteraria sotto la guida proprio di
Pavese, curando l’Antologia di
Spoon River di Masters e
continua traducendo testi di Faulkner,
Hemingway, Anderson, Fitzgerald e
Gertrude Stein.
Il suo lavoro non riguarda solo il ruolo
di traduttrice, è infatti anche autrice
di numerosi saggi critici, tra cui:
La Balena Bianca e altri miti (
1961), L’altra America negli anni
sessanta (1971), Beat Hippy
Yippie (1972), C’era una volta un
beat (1976), Hemingway (1985)
e i due romanzi Cos’è la virtù
(1986) e La mia Kasbah (1988).
Il suo interesse per la letteratura
americana è in costante sviluppo; negli
anni Ottanta scopre e studia Jay
Mclnerney, mentre negli anni Novanta si
interessa a William Gibson. Molti di
questi eventi, gli incontri con gli
autori e le varie stagioni culturali che
si susseguono – dagli anni Cinquanta,
caratterizzati da un soffocante
perbenismo, passando poi per
l’esperienza beat e la successiva
stagione degli hippies, fino a giungere
alle sofisticate atmosfere della
Manhattan degli anni Ottanta – sono
narrati in Amici Scrittori (1995) e
Album Americano (1997).
La Pivano scopre Ginsberg nel 1956,
sentendone il nome a Portorico da
William Carlos Williams, il quale le
racconta di star scrivendo la prefazione
ai testi di questo giovane poeta che
avrebbe presto fatto parlare di sé. Lo
incontra poi di persona a Parigi, quasi
per caso, sotto la casa di Alice B.
Toklas, nel 1961. In quel periodo iniziò
quello che Maria Lima definisce un
“lungo sodalizio letterario”.
Con Ginsberg e i poeti presenti nella
sua cerchia si instaura un rapporto di
amicizia, di reciproco rispetto e
collaborazione costante. Nel 1965 esce
la raccolta Jukebox all’idrogeno,
con la traduzione di Howl, dalla
quale deriva appunto il successo
dell’autore in Italia. In questa
raccolta è presente un saggio
introduttivo di Fernanda Pivano,
dal titolo Un poeta, non soltanto un
minestrone beat, nel quale la
traduttrice ringrazia del prezioso aiuto
ricevuto per il suo lavoro i poeti
Gregory Corso, Mike McClure, Lawrence
Ferlinghetti, Harold Norse e Peter
Orlovsky, dedicando un ringraziamento a
parte per Allen Ginsberg per i titoli da
lui suggeriti e le sue lettere.
Con Ginsberg si mantiene in contatto
anche negli anni successivi,
incontrandolo più volte anche a vari
eventi letterari ma, oltre a lui,
Fernanda Pivano ha occasione di
intervistare anche altri importanti
autori, tra cui proprio Jack Kerouac,
nel 1966. I suoi saggi si ritrovano
infatti spesso all’interno di molte
edizioni dei testi di Kerouac, come in
alcune edizioni di On the Road o
di The Dharma Bums.
L’importanza del personaggio di Fernanda
Pivano è indubbiamente legata al fatto
di essere stata un vero collegamento tra
l’originaria generazione beat americana
e quella italiana degli anni Sessanta,
proprio per questo viene ricordata come
“la donna che ha portato l’America in
Italia”.
Nel corso della sua lunga carriera di
saggista, traduttrice, scrittrice e
giornalista, ha raccolto e conservato un
importante patrimonio di libri,
documenti e immagini, costruendo,
nell’arco della sua vita professionale,
una biblioteca e un archivio, che nel
loro insieme costituiscono un centro di
documentazione, la sua personale
officina dotata di tutti gli strumenti
necessari al suo lavoro quotidiano, un
insieme di materiali che si offre a
storici e studiosi per percorsi di
ricerca di alto livello e
specializzazione.
Alla fine degli anni Novanta la
Fondazione Betton Studi Ricerche ha
condiviso il grande sogno della Pivano
di mettere a disposizione di tutti il
sapere e la cultura che ha custodito e
salvaguardato per molti anni,
inaugurando la Biblioteca Riccardo e
Fernanda Pivano a Milano, dove è
conservato il patrimonio letterario e
culturale donato dalla giornalista.
Riferimenti bibliografici:
De Martino G., Crispigni M., I
Capelloni: Mondo Beat, 1966-1967.
Storia, immagini, documenti,
Castelvecchi, Roma 1997.
Ghersetti F., Tramma F., Il Fondo
Fernanda Pivano, in A Life:
Lawrence Ferlinghetti. Beat Generation,
Ribellione e Poesia, Silvana
Editoriale, Brescia 2018.
Ginsberg A., Urlo & Kaddish, Il
Saggiatore, Milano 2010.
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