N. 67 - Luglio 2013
(XCVIII)
Il FEMMINICIDIO, lo sgomento e lo sdegno
TANTE ANGOSCIANTI DOMANDE
di Giovanna D’Arbitrio
Dopo
l’efferata
uccisione
di
Fabiana
Luzzi,
è
stata
ratificata
anche
in
Italia
la
Convenzione
Istanbul
che
contrasta
ogni
forma
di
violenza
sulle
donne.
Sgomento
e
sdegno
per
tanti
delitti
commessi
nel
nostro
paese
e
nel
mondo:
124
donne
uccise
in
Italia
nel
2012
secondo
la
“Casa
delle
Donne”
di
Bologna
che
ogni
anno
l’8
marzo
aggiorna
la
lista
delle
vittime
della
violenza,
diverse
migliaia
in
tutto
il
mondo
secondo
un
recente
rapporto
ONU.
Tante
sono
le
angoscianti
domande
che
ci
poniamo
sulle
cause
di
tali
comportamenti,
soprattutto
noi
donne.
Anche
la
sottoscritta
nel
chiedersi
“PERCHÉ?”,
negli
ultimi
anni
ha
scritto
alcuni
articoli,
come
L’Altra
Metà
della
Cielo,
Donne
e
Bambine,
Donne
e
Danni,
Donne
e
violenza,
Donne
come
gamberi,Sakineh
e le
altre,
Malala
Day,
Amabili
resti
di
Donne,
Donne
che
amano
le
mimose,
La
perduta
identità.
Da
tali
scritti
cercherò
di
estrapolare
i
concetti
salienti
per
farne
una
sintesi.
In
effetti
nel
corso
della
mia
vita
spesso
mi
sono
chiesta
cosa
significhi
oggi
“essere
donna”,
quale
sia
il
valore
che
la
società
assegni
alla
nostra
esistenza
qui
sulla
Terra,
se
siamo
ancora
esseri
umani
di
serie
B
anche
nei
nostri
“civili”
paesi
dove
violenze
fisiche
e
psichiche
si
verificano
in
casa
e
fuori,
fino
ad
arrivare
alle
ultime
lettere
dell’alfabeto
in
tante
parti
del
mondo.
Là
per
una
bambina
è
perfino
difficile
essere
accettata
e,
appena
nata,
spesso
la
morte
soffoca
il
suo
primo
vagito
oppure,
se è
più
fortunata,
potrà
sopravvivere
per
essere
venduta
in
moglie
a
qualcuno
o
finirà
nel
racket
della
prostituzione,
non
avrà
comunque
diritto
all’istruzione,
come
Malala,
o
potrebbe
rischiare
di
essere
lapidata,
come
Sakineh
e
tante
altre.
Così
quando
ci
volgiamo
indietro
verso
il
passato
e
consideriamo
le
faticose
conquiste
delle
donne
attraverso
i
secoli,
malgrado
i
risultati
raggiunti
ci
rendiamo
conto
che
la
strada
verso
un
completo
rispetto
per
i
nostri
diritti
umani
è
ancora
lunga
ed
irta
di
difficoltà.
E
anche
se
in
molti
paesi
esistono
leggi
più
giuste
verso
“l’altra
metà
del
cielo”
(qui
sulla
Terra
lo
spazio
per
noi
a
quanto
pare
è
limitato!),
è
evidente
purtroppo
che
è
molto
difficile
sradicare
comportamenti
maschilisti,
mentalità
distorte,
pregiudizi
e
quant’altro
(Amabili
resti
di
Donna).
Ne
sono
una
prova
anche
proverbi,
detti,
motti
e
aforismi
sulle
donne,
come
“donna
buona,
bella
e
cara,
è
una
merce
molto
rara”
(merce
=
oggetto),
“la
donna
è
mobile
qual
piuma
al
vento,
muta
d’accento
e di
pensier”
(Rigoletto
di
Verdi),
“fragilità,
il
tuo
nome
è
donna”
(Shakespeare)
e
così
via,
potremmo
continuare
a
scrivere
pagine
su
pagine.
Uno
dei
peggiori
proverbi
forse
è
“chi
dice
donna,
dice
danno”:
tremendo,
soprattutto
se
si
considera
che
le
donne
in
genere
i
danni
li
subiscono.
Altri
sono
i
“fatti”,
poiché
la
realtà
è
ben
diversa.
Come
tutti
gli
anni
abbiamo
festeggiato
l’8
marzo
con
le
rituali
mimose,
ma
l’amarezza
è
tanta
nel
dover
costatare
il
numero
crescente
di
stupri
e
violenze,
perpetrati
perfino
in
pieno
giorno
nelle
nostre
caotiche
ed
affollate
città.
Le
storie
di
Sara,
Yara
e di
tante
altre
stanno
popolando
gli
incubi
delle
madri
che
ormai
non
sanno
più
come
proteggere
le
loro
figlie.
E
come
se
tutto
ciò
non
bastasse,
in
Tv a
tutte
le
ore
in
modo
martellante
si
discute
di
questi
orrendi
delitti,
quasi
come
le
puntate
di
un
serial.
Così,
dopo
l’iniziale
orrore
misto
ad
angoscia
e
rabbia,
di
solito
molte
persone
poi
si
distaccano
emotivamente
dalle
vittime
e si
appassionano
in
modo
morboso
ai
racconti,
trasformandosi
in
detective
alla
ricerca
dell’assassino.
Ci
stiamo
abituando
a
tutto?
Alla
fine
perderemo
anche
la
pietà
per
le
vittime
e il
rispetto
verso
le
loro
famiglie?
Tutto
è
“show”?
(Donne
e
danni).
Ci
chiediamo,
allora,
con
stupore
come
mai
nel
nostro
civile
mondo
occidentale
gli
uomini
sentano
ancora
il
bisogno
di
violentare
una
donna,
spesso
anche
in
gruppo,
malgrado
ci
sia
tanta
libertà
sessuale
e le
opportunità
di
incontri
con
l’altro
sesso
siano
sicuramente
aumentate
rispetto
al
passato.
Sono
forse
atavici,
ancestrali
istinti
che
albergano
nell’inconscio
collettivo
maschile,
legati
all’indelebile
sequenza
“conquista-saccheggio-stupro”,
difficile
da
sradicare
ancor
oggi,
oppure
il
rapporto
uomo-donna
sta
attraversando
una
profonda
crisi?
Forse
entrambi
gli
aspetti
sono
presenti:
non
solo
stiamo
vivendo
sulla
nostra
pelle
una
nuova
Età
dei
Barbari,
ma
anche
una
disperata
solitudine,
un
dialogo
uomo-donna
sempre
più
ostacolato
dal
frastuono
del
mondo
esterno
che
distrae
e
distoglie
da
una
ricerca
dell’intimità
dei
sentimenti.
Anche
l’amore
è
entrato
nel
ciclo
consumistico
“usa
e
getta”?
Ma
dove
sono
i
genitori,
i
nonni,
gli
zii,
le
scuole,
gli
educatori,
gli
psicologi,
gli
assistenti
sociali
?
Chi
veglia
sui
giovani?
Chi
li
aiuta
a
“crescere”?
(Donne
e
bambine).
Umberto
Galimberti
nel
suo
libro
Vizi
capitali
e
nuovi
vizi
dedica
l’ultimo
capitolo,
intitolato
Il
Vuoto,
ai
giovani
di
oggi
per
i
quali
l’autore
prova
forse
pietà
poiché
rappresentano
il
prodotto
del
nostro
mondo,
un
mondo
non
creato
da
loro
ma
dagli
adulti.
Quando
sentiamo
parlare
di
efferati
delitti
che
li
mostrano
come
protagonisti,
inorridiamo
per
un
attimo
sorvolando
poi
sulle
cause
che
generano
tali
drammatici
effetti.
Galimberti
non
a
caso
parla
dei
giovani
alla
fine
del
suo
libro,
solo
dopo
aver
fatto
un’attenta
analisi
dell’attuale
società
e
dei
suoi
cambiamenti
rispetto
al
passato:
sotto
l’incalzare
della
società
consumistica
e
tecnologica,
che
con
la
ripetizione
meccanica
dei
fenomeni
spegne
fantasia
e
originalità,
anche
i
vecchi
vizi
si
stanno
omologando,
adeguandosi
ad
una
mentalità
nichilista
basata
sul
maniacale
possesso
di
danaro
e di
oggetti
che
garantiscono
benessere
materiale
ed
immagine
sociale,
oggi
l’unica
identità
che
conta
per
un
numero
crescente
di
persone.
Il
“rispetto”
che
Kant
indicava
come
fondamento
della
legge
morale,
non
è
funzionale
al
mondo
dell’economia
che
puntando
su
cose
sostituibili
con
modelli
sempre
più
nuovi,
produce
continuamente
“un
mondo
da
buttar
via”
e
pian
piano
il
concetto
passa
dagli
oggetti
a
piante,
animali,
ambiente
in
genere
ed
infine
all’uomo
che
diventa
pertanto
un
prodotto
“usa
e
getta”
con
“data
di
scadenza”.
A
questo
punto
cancellati
i
punti
di
riferimento,
le
molteplicità
di
false
opportunità
favoriscono
uno
sfarfallio
di
situazioni
scambiate
per
libertà
di
scelte
che
in
realtà
creano
caos
e
rendono
sempre
più
difficili
le
“vere”
scelte
derivanti
dall’anima
che
si
confonde
e
perde
la
proprio
identità
(La
perduta
identità).
Concludendo,
forse
in
un
mondo
come
il
nostro
solo
chi
ha
la
fortuna
di
nascere
in
una
famiglia
in
cui
ci
siano
chiari
obiettivi
e
precise
identità,
costante
dialogo
e
soprattutto
molto
amore,
riuscirà
a
crescere
in
modo
armonioso
ed
equilibrato
per
poter
poi
affrontare
gli
attacchi
esterni,
altrimenti
paure,
emozioni
e
sentimenti
stravolti,
ignorati
o
compressi
in
mille
modi,
creeranno
nella
psiche
dei
meno
fortunati
una
sorta
di
“ospite
sconosciuto”,
“un
mostro”
capace
di
orrende
azioni.
D.
Goleman
in
Emotional
Intelligence
indica
una
via
d’uscita
nella
positiva
gestione
delle
emozioni
attraverso
un’educazione
a
buoni
sentimenti,
empatia,
altruismo
e
soprattutto,
io
credo,
un
habitat
diverso
e
più
sano
che
aiuti
anche
gli
educatori.