N. 69 - Settembre 2013
(C)
LE femEn sbarcaNO a venezia
qualI differenzE tra IL femminisMO e LA prostituZIONE?
di Leila Tavi
Al festival di Venezia hanno partecipato, a
loro
modo,
le
attiviste
di
Femin,
probabilmente
il
gruppo
femminista
di
tutti
i
tempi
più
amato
e
seguito
dagli
uomini.
Corpi
sinuosi,
lunghi
capelli
ossigenati,
seni
al
vento,
pacchiani
French
alle
unghie,
ricordano
più
delle
pornostar
un
po’
vintage
che
le
femministe
del
’68,
alle
quali
le
ragazze
del
gruppo
ucraino
vorrebbero
ispirarsi.
Le loro manifestazioni sembrano degli spot pubblicitari
ben
architettati,
che
forniscono
loro
donazioni
e
supporto
da
uomini
da
varie
parti
del
mondo,
che
le
appartenenti
al
gruppo
sembrano
utilizzare
più
per
il
loro
look
che
per
le
cause
per
cui
dicono
di
battersi.
Quattro di loro sono state filmate e intervistate
in
un
monolocale
di
Kiev
dalla
giovane
film
maker
Kitty
Green,
che
ha
realizzato
un
documentario
dal
titolo
“Ukraine
in
not
a
Brothel”,
presentato
alla
70°
edizione
della
Mostra
del
cinema
di
Venezia.
Il documentario inizia con l’intervista alla
biondissima
“front
woman”
del
gruppo,
che
s’interroga
sulla
differenza
tra
una
femminista
e
una
prostituta.
La
ragazza,
che
somiglia
a
una
cheerleader,
è in
realtà
manipolata,
come
le
sue
compagne,
da
un
uomo,
che
ha
concepito
il
gruppo
e si
serve
delle
sprovvedute
ragazze
a
scopo
pubblicitario
e
per
fini
tutt’altro
che
umanitari;
il
suo
nome
è
Victor
Svyatski.
Victor considera le ragazze del gruppo “stupide
meretrici”,
bisognose
della
guida
di
un
“patriarca”
illuminato,
come
egli
stesso
si
definisce;
la
“cheerleader”
lo
considera
il
paradosso
del
gruppo:
un
gruppo
femminista
ideato
e
guidato
da
un
patriarca.
La ragazza sostiene che il gruppo incarni le
contraddizioni
dell’Ucraina
contemporanea,
dove
le
donne
sono
sottomesse
agli
uomini
e
confuse,
proprio
come
le
rappresentanti
di
Femin,
che
spesso
rispondono
nel
documentario
“non
lo
so”.
Un
qualunquismo
che
delle
attiviste
politiche
non
dovrebbero
permettersi.
Il loro motto è: “La nostra missione è la protesta,
le
armi
sono
i
nostri
seni
nudi”.
Quale
arma
migliore
per
destare
l’attenzione
del
pubblico,
ma
su
cosa?
Sui
loro
avvenenti
corpi?
Unico
requisito
per
entrare
nel
gruppo,
di
cui
fa
parte
addirittura
una
ballerina
di
lap
dance,
contraddizione
nella
contraddizione.
La regista australiana arriva addirittura alla
conclusione
che
Victor
abbia
architettato
Femin
solo
per
potersi
circondare
di
belle
donne
seminude.
Alla
sua
esplicita
domanda
l’uomo
non
risponde,
sorride.
Patetico è il racconto del loro sequestro, o
messa
in
scena,
da
parte
dei
servizi
segreti
bielorussi,
fuori
luogo
il
loro
intervento
a
sostegno
dei
gruppi
d’emancipazione
delle
donne
turche.
Mostrare il corpo femminile nudo ha rappresentato
nella
società
moralista
e
maschilista
occidentale
degli
anni
’60
del
XX
sec.
la
ribellione
all’ipocrisia
e
alla
repressione
dei
costumi.
Femin non rappresenta nulla, presenta il corpo
delle
loro
attiviste
che
si
denudano
per
la
notorietà,
per
guadagnarsi
un’opportunità
di
riscatto
che
non
è
per
le
donne
ucraine,
ma
personale,
come
dimostra
la
scelta
della
cheerleader
di
abbandonare
il
gruppo
per
trasferirsi
a
Parigi.
Auspichiamo che il documentario abbia un’ampia
distribuzione,
così
che
molti
possano
venire
a
conoscenza
di
cosa
effettivamente
Femin
sia
e di
quale
personalità
si
celi,
come
un’eminenza
grigia,
dietro
a
una
facciata
effimera
e di
cattivo
gusto.