[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 200 / AGOSTO 2024 (CCXXXI)


medievale

STORIA Di UNA MILIZIA
SULLA Felice societAS dei balestrieri e dei pavesaTI
di
Filippo Vedelago

Dopo la fuga del sommo pontefice Clemente V, successore al soglio di Pietro di Benedetto XI e ancor prima di papa Bonifacio VIII, a Roma si stabilì un potentato effettivo delle famiglie baronali romane che si spartirono il territorio di Roma non disdegnando aggressioni banditesche. Nel 1347 salì al potere Cola di Rienzo, personaggio carismatico e capace di innalzare le folle, il quale prima di tale atto riuscì a convincere non solo il popolo di Roma ma anche gran parte dell’entourage del pontefice su quanto Roma “Rettori non avea. Onne dìe se commatteva. Da onne parte se derobava. Dove era luoco, le vergine se vitoperavano. Non ce era reparo. Le piccole zitelle se furavano e menavanose a desonore. La moglie era toita allo marito nello proprio lietto. Li lavoratori, quanno ivano fòra a lavorare, erano derobati, dove? su nella porta de Roma. Li pellegrini, li quali viengo per merito delle loro anime alle sante ciesie, non erano defesi, ma erano scannati e derobati. Li prieti staievano per male fare. [...] Quello più avea rascione, lo quale più poteva colla spada. Non ce era aitra salvezza se non che ciascheuno se defennieva con parenti e con amici. Onne dìe se faceva adunanza de armati”. La tragedia innescata e messa in campo da Cola di Rienzo fece accumulare un vasto potere al condottiero di Roma che decise di ammutinarsi sull’Aventino e farsi proclamare tribunus plebis. Per far fronte alla lotta contro i baroni, lo stesso Cola si avvalse di una milizia cittadina dove ogni rione doveva dare del suo per il bene di Roma.

 

Riuscì a raggruppare “Per ciasche rione de Roma ordinao pedoni e cavalieri trenta, e deoli suollo. Ciasche cavalieri avea destrieri e ronzino, cavalli copertati, arme adornate nove. Bene pargo baroni. Anco ordinao li pedoni puro adorni, e deoli li confalloni, e divise li confalloni secunno li segnali delli rioni, e deoli suollo. E commannao che fussino priesti ad onne suono de campana e feceselli iurare fidelitate. Fuoro pedoni MCCC, li cavalieri CCCLX, elietti iovini, mastri de guerra, bene armati. Puoi che lo tribuno se vidde armato de così fatta milizia, allora se apparecchia de movere guerra a più potienti perzone...”. Il tentativo di Cola riuscì almeno in apparenza: infatti dopo la battaglia di Porta San Lorenzo (20 settembre 1347) dove sconfisse la maggior parte delle famiglie baronali, Cola cambiò indole abbandonandosi al lusso e nel 1353 fu prima fatto arrestare da papa Clemente VI, processato e in seguito liberato. Al ritorno provò a riprendere il potere ma nel 1354, dopo aver alzato le gabelle e dopo essere stato tradito da un suo capitano fu catturato dalla folla, linciato e arso al rogo davanti il Mausoleo di Augusto, territorio dei Colonna. Terminata l’esperienza di Cola, altamente destabilizzante per i baroni seguì il periodo del Senatore unico, favorito dal pontefice Innocenzo VI per debellare le lotte intestine di Roma. È da questa radice che nacque e si stabilì con poteri importanti la Felice Societas dei Balestrieri e Pavesati. Come dice il nome, la Felice Società dei Balestrieri e Pavesati è una milizia che si suddivideva in due schiere di soldati: la prima composta da 1500 uomini armati di balista ovvero di balestra arma che poteva scoccare dardi anche da distanze importanti e la seconda dai pavesati, armati di un grande scudo rettangolare portato da un soldato chiamato pavesaro o palvesaro, formati da 1500 soldati.

 

Le due formazioni erano complementari in quanto la prima schiera appariva come una formazione offensiva e la seconda difensiva. Non bisogna però sintetizzare questa formazione militare per il nome altisonante, bisogna invece soffermarci sulla Societas e analizzare questo nome. La societas, in diritto romano, era un contratto consensuale, ovvero un tipo di obbligazione consensu contractae che veniva siglato bilateralmente o plurilateralmente, in cui i contraenti, sulla base della buona fede, si obbligavano a compiere una data attività o a conferire dei beni in codominio al fine di raggiungere un interesse comune, dividendo in seguito guadagni e perdite. I Balestrieri e i Pavesati ricevettero il loro armamento dalla Societas che provvedeva a pagarli tramite un indennizzo. L’appartenenza alla milizia cittadina non era obbligatoria ma si riferiva perlopiù ad un atto volontario; combattere per l’esercito del comune doveva segnare l’attaccamento al proprio contesto comunale più che ricoprire un obbligo amministrativo. A comandare la Societas vi erano due Banderesi, due ufficiali superiori che comandavano le due schiere dei balestrieri e dei pavesati.

 

Nel 1370 il papato impose alla Societas di affiancare ai due Banderesi quattro Anteposti o Antepositi con la sana intenzione di coadiuvare i comandanti a due a due; l’intento, non celato, di Urbano V, nell’ultimo atto della sua esistenza terrena era però di limitare il potere dei comandanti evitando eccessi di potenza. Risulta singolare come tutto questo sia taciuto dallo Statuto di Roma del 1363, pur essendo una milizia di in dubita importanza il silenzio dello statuto fa un rumore assordante.

 

La penuria delle fonti, causata dall’incendio che distrusse l’archivio capitolino sembra chiudere in un silenzio assordante la possibile esistenza di un regolamento interno. Non è insensato pensare però che la Felice Societas non solo disponesse di un notaio proprio ma che avesse un proprio statuto interno con un giuramento di fedeltà che legasse gli adepti tra loro. Se così fosse, senza uno statuto, senza informazioni, come possiamo ricostruire l’asse fulcrale della Felice Societas? Una notizia è certa che la Societas così come impostata mal era digerita dal papato perché ne accresceva il potere che andava a cozzare contro un tentativo di ripristino del potentato da parte della Santa Sede. Questa volontà di attaccare la Societas da parte del papato dimostrava di come, questo potere fosse forte e condiviso, rendendo questa un’interlocutrice scomoda e che poteva mettere bocca in tutte le decisioni più importanti del comune.

 

Questo dominio ha dei suoi presupposti; nel 1379 a causa dell’incremento del banditismo nel distretto di Roma il comune dovette chiedere alla Societas l’intervento, contravvenendo alle misure prese da Cola di Rienzo su una milizia prettamente comunale, di un esercito di professione potente e ben armato. Tutti questi interventi vennero pagati dal comune, tanto che la stessa Felice Societas cominciò ad avere un proprio tesoro che venne arricchito da una tassa, lo ius balestariorum et pavesatorum, che tutto il distretto doveva pagare alla Societas per la propria sicurezza, questa tassa trovò riscontro solo in un caso, i 350 soldi di Velletri, ma le scarse fonti non tolgono l’idea di una sua esistenza.

 

Nei distretti la battaglia anti-baronale fu molto difficile: a Roma, come detto, il potere baronale era altamente limitato ma nei territori distrettuali, dove vi era l’influenza di un potere consolidato e forte, la lotta divenne molto ardua. Il Villani, invece, attribuì la creazione della milizia proprio per l’esigenza di contrapporsi proprio a “li possenti e grandi cittadini che male facessono, o ffossono inobedienti a reggimento di Roma o dessono alcuno ricetto ai malifattori i lloro fortezze o tenute”. Ma perché furono così potenti a Roma? Come possiamo dedurlo? Nella seconda parte proveremo a rispondere a questa domanda analizzando i documenti arrivati a noi provando a tirar fuori il massimo dal poco che ci è pervenuto.


Riferimenti bibliografici:

Anonimo romano, Cronica a cura di Giuseppe Porta, Adelphi, Milano 1979
Lovato A., Puliatti S. e Solidoro Maruotti L., Diritto privato romano, G. Giappichelli Editore, Torino 2014
Maire Vigueur, J.C., La Felice Societas dei balestrieri e dei pavesati a Roma: una società popolare e i suoi ufficiali in Scritti per Isa. Raccolta di studi offerti a Isa Lori Sanfilippo, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, Roma 2008
Mendoza R., La Roma nel Trecento. Gli Statuti del Comune di Roma del 1363, con prefazione di Mario Ascheri, Aracne, Genzano di Roma 2022
Villani M., Cronica. Con la continuazione di Filippo Villani, Edizione critica a cura di Giuseppe Porta, Milano 1995

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]