N. 2 - Febbraio 2008
(XXXIII)
Federigo Fagnani e la Carboneria
IL COINVOLGIMENTO POLITICO
dai tumulti del 1814 al periodo fiorentino
di Leila Tavi
D’origine oscura e
quasi ignota è la setta dei Carbonari, i principi e le
azioni della quale si svolsero in modo efficace soltanto
verso la fine del secolo passato infingendo
sull’indirizzo europeo e principalmente sui destini
d’Italia.
(Celestino Bianchi,
Federico Confalonieri o i carbonari del 1821)
Dopo l’abdicazione di
Napoleone e la successiva rinuncia a qualsiasi diritto
di successione al Regno italico nell’aprile 1814, la
posizione del principe Eugène de Beauharnais come
Vicerè del Regno italico era divenuta critica, anche a
causa della sua capitolazione con il feldmaresciallo
Heinrich Johann, conte di Bellegarde.
Nonostante la sconfitta
militare subita e la convenzione di Schiarino-Rizzino
del 16 aprile 1814, che fu il lasciapassare per le
truppe austriache sul territorio lombardo, Eugenio era
ancora convinto di poter diventare sovrano del Regno
italico, forte dell’appoggio del suocero,
Massimiliano I, re di Baviera, ed eventualmente
dello zar Alessandro I.
Il suo esercito, formato
da circa 50.000 uomini, lo appoggiava, soprattutto gli
ufficiali francesi, tra cui il conte Étienne Méjean,
Segretario Generale del Vicerè dal 1805 al 1814, e il
barone Antoine Darnay de Nevers, suo segretario
personale e aiutante di campo, che rimasero fedeli al Vicerè fino a
quando questi firmò il 23 aprile 1814 la
convenzione di Mantova, con cui gli Austriaci
tornarono a occupare il Regno italico.
Tra gli italiani il Vicerè
godeva dei favori di quelli che erano soprannominati “marsine
ricamate”, gli alti funzionari italiani, ma non
lombardi, malvisti e disprezzati dai patrizi milanesi,
“che astiavano quanti non erano nati in Milano, e che
consideravano quali stranieri tutti coloro che
non erano oriundi dell’antica Lombardia austriaca”.
(Celestino Bianchi, Federico Confalonieri o i
carbonari del 1821. Parte prima. Le giornate d’aprile
(1814), Milano, presso Francesco Scorza, 1863, p.
27)
Una piccola fazione in
Senato parteggiava per il generale Domenico Pino
alla guida del Regno italico, mentre Gioacchino Murat
era supportato dal conte Giacomo Luini,
Consigliere di Stato e Direttore generale della Polizia,
da Luigi Mazzuchelli e Teodoro Lechi,
entrambi generali di brigata e cavalieri della Corona di
Ferro, e da qualche sostenitore tra le fila della
massoneria.
Vi era poi in Milano un
partito cosiddetto “austricante”, capeggiato dal
conte Ludovico Gamberana da Pavia e sostenuto dai
conti Alfonso Castiglioni, Ghislieri da
Bologna, Diego Guicciardi, cancelliere del Senato,
Giacomo Mellerio, Carlo Verri, cognato di
Francesco Melzi d’Eril, e dal marchese Maruzzi
di Venezia.
Era stato costituito,
infine, un partito detto degli “italici”, di cui
faceva parte anche Federico Confalonieri, e che
puntava all’indipendenza del Regno, affrancato dalla
dominazione straniera e senza il principe Eugenio come
sovrano.
Il marchese Federigo
Fagnani era sicuramente vicino ideologicamente alle
posizioni degli italici.
“Le satire in dialetto
milanese di Carlo Porta, ben dimostrano quanto fosse
intollerabile il chez nous francese, eterno e
caratteristico ritornello della boria di quella nazione
[la Francia ndr]”. (Celestino Bianchi, Federico
Confalonieri o i carbonari, cit., p. 47)
Melzi d’Eril si era
schierato dalla parte del Vicerè; era stato proprio
questi a convincere Eugenio che fosse necessario
convocare i tre Collegi elettorali, così da far
proclamare il Vicerè sovrano del Regno italico
indipendente, per poter successivamente convocare il
Senato e i Comuni, incaricati di ratificare l’atto.
Con il precipitare degli
eventi e il malcontento popolare fu deciso invece di
convocare direttamente il Senato in seduta straordinaria
per il giorno 17 aprile 1814.
La seduta durò per due
giorni e fu occasione di accesi dibattiti tra le varie
fazioni, che appoggiavano l’uno o l’altro candidato al
trono del Regno italico.
Dopo lunghe discussioni il
Senato deliberò di inviare una delegazione a Parigi per
discutere con le potenze vincitrice su Napoleone del
futuro assetto in Lombardia.
La deputazione era
composta da Luigi Castiglioni, Diego
Guicciardi e Carlo Testi, Ministro degli
affari esterni ininterrottamente dal 1803 al 1814. (Cfr.
PLAN, Archivi storici della Lombardia,
http://plain.lombardiastorica.it/index.php
Il ministro Testi declinò
da subito l’incarico, gli altri due furono inviati in
Francia “a chiedere la sospensione delle ostilità e
l’indipendenza del regno.” (Cesare Cantù, Storia
della città e della diocesi di Como, Firenze, Le
Monnier, 1856, p. 287)
L’invio della delegazione
scatenò la violenta reazione dei partiti contrari a
qualsiasi ingerenza di potenze straniere nel futuro del
Regno.
A casa del marchese
Freganeschi fu stilato un documento di protesta che
chiedeva la convocazione dei Collegi elettorali, che fu
sottoscritto, tra gli altri, anche da Federigo
Fagnani.
Ne dà notizia Antonio
Coppi in Annali d’Italia: “[…] Sottoscrissero
questa petizione molti ragguardevoli personaggi, e
furono tra i primi i conti Luigi Porro, Giacomo
Trivulzio, Federico Confalonieri, Federico Fagnani,
Gilberto Borromeo, ed il Generale Pino che fu sesto,
sebbene pel suo grado fu collocato il primo.” (Antonio
Coppi, Annali d’Italia dal 1750. Tomo VI: dal
1814-1819, Roma, tip. Salviucci, 1850, p. 69)
Oltre centocinquanta
esponenti politici e della nobiltà milanese firmarono la
richiesta tra il 18 e il 19 aprile 1814.
Bianchi trascrive il
testo della protesta firmata dai cittadini: “Milano, 19
aprile 1814. / Dopo l’adunanza del senato del giorno 16
del corrente mese, delle cui deliberazioni nulla fu
comunicato al pubblico, è opinione universale esservi
stato proposto, discusso e definito un affare della
maggiore importanza per il nostro regno. Se nelle
attuali straordinarie vicende, è necessario d’invocare straordinarii provvedimenti, credono i sottoscritti, in
coerenza dei principi della Costituzione, che siano
convocati i collegi elettorali, nei quali solamente
risiede la legittima rappresentanza della Nazione.”
(Celestino Bianchi, Federico Gonfalonieri o i
carbonari, cit., pp. 54-55)
Una delle cause che aveva
contribuito in larga parte a rendere impopolare Eugenio
tra i Milanesi fu la Campagna di Russia del 1812.
“Ma la spedizione di
Russia colmò la misura del malcontento al regno
italiano, avevano seguitata la fortuna dell’imperatore
in quelle lande coperte di eterna neve e ventisette mila
erano le famiglie che piangevano e si disperavano sulla
sorte dei figlio al giungere della verace novella della
sventurata campagna. Di ventisette mila partiti per la
Russia, mille soli ritornarono a casa. Sacrificati per
causa non propria, alla cieca ambizione di un uomo; è
naturale che le grida dovettero levarsi contro di lui
solo; e gli odii latenti tutti contro lui cominciarono a
rivolgersi apertamente. […] Che importava 26,000 soldati
morti non già per la difesa della patria, ma per un
uomo? Nulla. Questa freddezza di cuore del principe
Eugenio in sì luttuose circostanze, irritò grandemente
gli animi dei Lombardi, e li distaccò tutt’affatto da
lui.”(Celestino Bianchi, Federico Confalonieri o i
carbonari cit., pp. 47-48)
Il tentativo di
affrancarsi dal giogo straniero da parte dei Lombardi
era fortemente ostacolato dagli Asburgo che sarebbero
stati costretti, cedendo le terre lombarde, a limitare
il proprio confine all’Adige.
La strategia degli
Austriaci fu quella di sobillare gli animi dei cittadini
attraverso una rete capillare di agenti che incitavano
il popolo alla sommossa e alla destituzione del Vicerè,
così da avere campo libero per far rientrare, nella
confusione, l’esercito asburgico.
Quando il Senato votò il
decreto, nella sera del 17 aprile 1814, in cui si
confermava la fiducia a Eugenio, tra i senatori quelli
che elevarono le proteste più alte furono i liberali,
che“… accusarono di servilità al vicerè, e adirandosi si
abbandonarono a un irragionevole impeto, aiutati in ciò
dal conte Gamberana il quale, a quanto si disse, pagò
oziando la plebe del contado, onde venisse ad ingrossare
e a precipitare, come fece, quei movimenti. / In tal
guisa, per gli eccitamenti e le scaltre arti degli
austriaci, i liberali si posero alla testa d’un
movimento che doveva cominciare con una protesta, e
finire con una delle più vergognose sommosse.”
(Celestino Bianchi, Federico Confalonieri o i
carbonari cit., pp. 53-54)
La sommossa ebbe luogo il
20 aprile 1814 e vide i tumulti popolari culminare con
l’eccidio del Ministro delle finanze Giuseppe Prina,
di cui abbiamo parlato in un precedente articolo
pubblicato nel settembre 2007.
Le fonti scritte
dell’epoca confermano che non ci sia stato nessun
coinvolgimento diretto di Fagnani nell’omicidio di G.
Prina; il marchese risulta da più parti essere
firmatario della richiesta di convocazione dei Collegi
elettorali e vicino alle posizioni di Confalonieri,
ma estranei ai fatti di sangue del 20 aprile.
Carlo Botta include
il marchese tra i partecipanti alla protesta davanti al
Senato, ma non ne fa menzione riguardo al linciaggio del
ministro Prina: “ […] Era il venti aprile quando,
essendo il senato raccolto nelle sua solita sede, una
gran massa di gente, gridando a lui traeva: era il cielo
nuvoloso e scuro, un’apparenza tranquilla spaventava gli
spiriti tranquilli. I commossi non si ristavano. Eranvi
ogni genere di uomini, plebe, popolo, nobili, operaj,
benestanti, facoltosi. Notavansi principalmente fra
l’accolta moltitudine Federigo Gonfalonieri, i due
fratelli Cicogna, Iacopo Ciani, Federigo Fagnani,
Benigno Bossi, i conti Silva, Serbeloni, Durini e
Castiglioni […]” (Carlo Botta, Storia d’Italia dal
1789 al 1814, Italia, [s.n.], 1834, p. 564)
Anche dopo la
restaurazione del regime degli Asburgo nella città di
Milano non si era affatto perduta la speranza di potersi
affrancare dall’occupazione straniera e di costituire
un’Italia unita, come le gesta di Confalonieri e dei
suoi compagni carbonari dimostrarono.
Fagnani decise invece
di abbandonare la lotta politica e di ritirarsi a vita
privata nelle tenute di famiglia di Gerenzano e
Robecchetto dove, dal 1816 al 1820, si occupò di
economia campestre e di coltivazione di bachi da seta,
scrivendo alcuni trattati a riguardo.
Come è stato ampiamente
illustrato nel precedente articolo dedicato alla figura
del marchese Fagnani, i libri scritti in quegli anni da
Federigo, pur essendo trattati economici, sono la
testimonianza della volontà dell’autore di continuare a
perseguire la causa dell’unità d’Italia attraverso la
scrittura, come i vari riferimenti e le metafore
all’interno dei testi dimostrano.
Il marchese tornò a
ricoprire solo nel 1831 un incarico politico, allorché
divenne segretario particolare di Franz Josef,
conte di Saurau, ambasciatore austriaco a Firenze
presso la Corte di Toscana, una sorta di protettorato
degli Asburgo.
Il conte di Saurau, già
governatore di Milano dal 21 aprile 1815, sostituì dal
21 aprile 1816, in via temporanea, fino alla nomina
dell’arciduca Ranieri d’Asburgo (Rainer Joseph
Johann Michael Franz Hieronymus von Habsburg), che
fu Vicerè del Regno Lombardo-Veneto dal 1818 al 1848.
Durante il suo governo in
Lombardia il conte Saurau fu, più degli altri
rappresentanti inviati dalla famiglia Asburgo, la
personificazione di un irreversibile processo di
restaurazione indicato dagli occupanti austriaci come
naturale ordine.
Saurau è ricordato
anche per un episodio accaduto al Teatro della Scala nel
1816, in occasione della visita dell’imperatore
Francesco I d’Austria nella capitale del Regno
Lombardo-Veneto, citato ne Il viaggio d’un gentiluomo
milanese nell’Italia centrale all’indomani dei moti del
1831 di Giuseppe Gallavresi e in cui fu
coinvolto un ospite della sorella di F. Fagnani, la
contessa Antonietta Arese Fagnani.
[…] “Quando il sig. Conte
di Saurau era Governatore in Milano, venne in questa
città una volta, S. M. l'Imperatore Francesco I. Una
sera S. M. intervenne al Teatro della Scala: la sala era
tutta illuminata, ed il concorso delle persone immenso;
v'era vera folla. L'etichetta portava che non potevasi
tenere il cappello in testa da nessuno: non tutti
potevano adempire a questo dovere per la gran calca, ed
alcuni dopo averlo cavato lo rimettevano sulla testa.
Avevano bel fare gli agenti di polizia, a fare eseguire,
alle persone, l'ordine di tenerlo levato: era un
continuo obbedire e disobbedire. Il Conte di Saurau,
scorgendo un individuo in platea, appoggiato sotto il
palco della contessa Arese
in prima fila alla sinistra entrando, che non si curava
in alcun modo di tener abbasso il cappello, preso da
subito dispetto, scende e lascia il proprio palchetto,
s'incammina frettoloso verso quello della sig. contessa
Arese (nata Marchesa Fagnani), vi entra, senza parole
s'avanza al parapetto del palco, e con uno scopazzone
governatoriale fa saltare il cappello al sottoposto
individuo. In quei tempi non si potevano fare proteste
intorno a simili provvedimenti: però il pubblico si
vendicò, dicendo, quando alcuno amava dare uno
scapellotto che intendeva dare un Saurau. Il popolo pure
diceva: guarda che ti dò un Saurau! […]. (Giuseppe
Gallavresi, Il viaggio d’un gentiluomo milanese
nell’Italia centrale all’indomani dei moti del 1831,
Milano, tip. A. Cordani, 1929. AVIREL – Archivio
viaggiatori italiani a Roma e nel Lazio. Università La
Tuscia. Centro interdipartimentale di ricerca sul
viaggio:
http://avirel.unitus.it/bd/autori/de_mojana/brevi_annotazioni_viaggio/viaggio_gentiluomo.html)
Ne Il viaggio Gallavarese descrive il conte di Saurau nel novembre del
1831, come un uomo vecchio e malato: “[…]Trovai S. E.
alquanto attempato e sofferente di una insistente tosse
salzosa. Egli è uomo alto di persona, non grasso, occhio
vivissimo, colore del viso rosso salzoso, movimenti
vivaci, simpatico ne' suoi modi senza ostentazione ed
importanza. […] (Giuseppe Gallavresi, Il viaggio d’un
gentiluomo cit.)
Saurau morì a
Firenze qualche mese dopo, il 9 giugno 1832.
Il conte fu ambasciatore
a San Pietroburgo dal 1802 al 1809, Fagnani arrivò
nella capitale russa nell’ottobre del 1810; è sicuro
quindi che i due non si incontrarono per la prima volta
in Russia; molto probabilmente si frequentavano durante
gli anni in cui il conte Saurau ricoprì la carica di
Governatore di Milano e della Lombardia.
Fu forse proprio
l’esperienza russa a fare da trait d’union tra un
milanese restio a qualsiasi dominazione straniera in
terra italiana e un esponente per eccellenza della
repressione austriaca in Lombardia.
Tra gli ospiti russi che
frequentavano il conte Saurau qui ricordiamo il conte
Michele Orloff (1785-1841) e la sua consorte.
A detta di Gallavresi il
russo aveva combattuto contro l’esercito di Napoleone ed
era stato bandito da Pietroburgo e da Mosca dopo i moti
liberali del 1825, dei quali fu sospettato complice.
Gallavresi ipotizza che
si possa, in alternativa, trattare di un altro generale
russo che prese parte alla Campagna del 1812,
il conte Orloff-Denisoff (1777-1843).
Gallavresi descrive ancora la
coppia di nobili russi durante una serata al Teatro
della Pergola di Firenze: “[…] S. E. [il conte
Saurau ndr] fu al massimo grado meco obbligatissimo;
anzi per maggior cortesia, mi presentò, quasi subito,
portandomi al suo palco, alla sig. Contessa Orloff,
moglie al generale conte Orloff, russo, monco di una
gamba, che la perdette al passaggio della Beresina, così
almeno mi fu raccontato da S. E. nel mentre ci
incamminavamo al palco della sig. Contessa Orloff. Di
più soffermandomi aggiunse, essere stata quella Dama
distinta Commediante, ed essere di nazionalità francese:
dilettante del dipingere: di molto spirito ed
amabilissima. Entrato nel palchetto, S. E. si scusò
colla Dama, se, senza averla anticipatamente avvertita,
si era preso l'ardimento di una presentazione
improvvisa. La Dama rispose, immediatamente che tutto
quanto arrivava da parte di S. E. l'Ambasciatore, era
per essa un favore ed una distinzione speciale. Dopo
breve discorso, S. E. ritirossi, ed io rimasi ancora
qualche tempo […]”(Giuseppe Gallavresi, Il viaggio
d’un gentiluomo cit.)
L’altra dama russa citata è la contessa Giulia Samoyloff,
una delle prime persone che l’autore incontra appena
giunto a Firenze: “ […] alle ore 4 ed un quarto ed
arrivammo a Firenze alle ore 6 antimeridiane del giorno
successivo. Salutato il Corriere, del quale non ebbi che
a lodarmene per li modi e maniere, colle quali meco si
comportò lungo il viaggio, mi condussi a prender
alloggio all'albergo delle Quattro Nazioni, posto nella
casa che fa angolo appena passato, sull'Arno, il ponte
di Santa Trinità. Ivi incontrai un giovane signore
russo, Cav. Martchentko, gentiluomo di camera di S. M.
Imp. Russa, che conobbi in casa della signora Contessa
Giulia Samoyloff nata Pahlen, in Milano.” (Giuseppe
Gallavresi, Il viaggio d’un gentiluomo cit.)
Si tratta con molta
probabilità della figlia della contessa Pahlen nata
Scavronska, figlia a sua volta, della contessa Caterina
nata Engelhardt, nipote del celeberrimo principe
Potëmkin, sposata in seconde nozze con il conte Giulio
Litta, balì di Malta e ammiraglio al servizio russo.
Quando la nobildonna andò
in sposa al conte Samoyloff, all’età di venti anni,
portò in dote oltre quattro milioni di rubli; il
matrimonio ebbe però vita breve e, una volta lasciato il
marito, la contessa si trasferì a Milano, dove vivevano
alcuni membri della famiglia Litta e dove la raggiunse
nel 1831 l’ammiraglio G. Litta. (Cfr. Giuseppe Greppi,
Un gentiluomo milanese guerriero-diplomatico,
1763-1839. Appunti sul Balì conte Giulio Litta Visconti
Arese, Milano, tip. Lombardi, 1896)
La contessa era una
bellezza particolare e sul suo conto circolavano molto
aneddoti curiosi, come quello per cui i nobili di Milano
sarebbero stati talmente affascinati da Giulia Samoyloff
che si sarebbero recati in una rinomata pasticceria del
centro per acquistare un gelato particolare, prodotto
con la panna in cui la contessa russa faceva il bagno.
Il funerale organizzato da
lei per la sua cagnetta fu un evento ricordato in città
perché i nobili milanesi vi presero parte con i loro
rispettivi cani. (Cfr. Elena Girolimetto, La storia e
le storie di Villa Amalia, “Natura e civiltà”, XLII,
n. 2, aprile-maggio-giugno 2005, p. 7)
Alla morte del conte
Saurau il marchese Fagnani fece ritorno a Gerenzano; nel database PLAN, il progetto di
digitalizzazione degli Archivi storici della Lombardia,
risulta un legato a nome Federico Fagnani nel 1838 per
l’istituzione di un opera pia, di cui riportiamo
il testo integrale che è possibile scaricare da internet
alla url
http://plain.lombardiastorica.it/index.php
Comune di Saronno /
ente di assistenza e beneficenza / Sede:
Gerenzano / Federico Fagnani, marchese, istituisce
nel 1838 un legato per l'erogazione di "una dote e
soccorsi in granaglie a sette contadini poveri, oltre a
soccorsi alle puerpere e bagni a donne pellagrose".
L'amministrazione dell'opera pia, che dispone di uno
statuto organico del 7 febbraio 1838, è demandata al
proprietario del fondo già di proprietà Fagnani. L'opera
pia eroga assistenza sia nel comune di Castellanza che
in quello di Gerenzano. E' probabile che la presenza dei
pochi atti nell'archivio di Saronno sia conseguente alla
provvisoria aggregazione di Gerenzano a Saronno.
(Domenico Quartieri, Archivista)
Tale opera pia trae
origini dal testamento 7 Febbraio e 24 Marzo 1838 in
atti del notaio Dott. Giuseppe Alberti. Già amministrata
dal proprietario del fondo Fagnani, indi concentrata
nella Congregazione di Carità col Regio Decreto 6
Dicembre 1891. (Cfr. Pier Angelo Gianni, Cento donne,
“Gerenzanoforum.it”,
http://www.gerenzanoforum.it/pagine_web/storie/carita/congregazione_carita.htm) |