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N. 23 - Novembre 2009
(LIV)
LA FEDE NEL POTERE
LA PROPOSTA DI COMUNIONE E LIBERAZIONE
di Marco Lavopa
All’interno
di
un
mutamento
generale
delle
istanze
sul
mondo
e
delle
sue
culture
politiche,
si
inseriscono
una
serie
di
profondi
dubbi
circa
le
idee
e le
categorie
fino
ora
utilizzate
per
comprendere
il
panorama
cattolico
in
Italia.
Il
panorama
del
cattolicesimo
italiano
è in
difficoltà
rispetto
alla
posizione
assunta
dalla
Chiesa
in
materia
di
etica,
di
morale,
e
rispetto
a
tutte
quelle
domande
figlie
di
una
società
secolarizzata
agli
albori
del
XXI
secolo.
A
queste
domande
cercano
di
dare
una
risposta
tutta
una
serie
di
movimenti
cattolici
nati
dalla
rielaborazione
di
quel
cattolicesimo
ottocentesco
impegnati
a
tradurre
nel
concreto
un
astratto
modello
di
«perfetta»
società
cristiana.
Uno
dei
più
potenti
e
radicati
nella
società
italiana
contemporanea,
tra
questi
movimenti,
è
certamente
Comunione
e
Liberazione.
Il
movimento
cattolico,
Comunione
e
Liberazione
(CL),
esordiva
sul
palcoscenico
della
società
italiana
agli
inizi
degli
anni
sessanta,
in
una
fase
storica
particolare
per
il
panorama
politico
cattolico,
attraversata
così
com’era
dalla
discussione
sulla
probabile
apertura
a
sinistra
da
parte
della
DC
(Democrazia
Cristiana)
.
La
trasformazione
della
società
italiana
dopo
la
ricostruzione
durante
gli
anni
del
secondo
dopo
guerra
–
con
un
frenetico
e
feroce
sviluppo
capitalista
–
imponeva
un
disegno
diverso
rispetto
a
quel
quadro
politico;
in
altre
parole,
si
sentiva
tra
le
fila
della
DC
l’urgente
necessità
di
un
cambio
delle
alleanze
al
fine
di
contrastare
le
mire
riformistiche
di
certi
settori
del
padronato
e
far
fronte
all’escalation
dello
scontro
di
classe
intuito
dai
più
avveduti
dalla
ripresa
della
lotta
operaia
alla
Fiat,
nel
1962.
Traumatizzata
dai
tumulti
in
atto
nelle
fabbriche
(che
era
il
luogo
dove
si
manifestavano
maggiormente
i
risentimenti
verso
la
classe
dirigente
del
«paese
Italia»)
e
dalle
aperture
verso
il
mondo
moderno
del
neoeletto
pontefice
Giovanni
XXIII,
parte
della
Chiesa
italiana
vedeva
indebolirsi
in
modo
rilevante
il
proprio
peso
specifico
(religioso,
ideologico,
culturale)
sulla
nuova
realtà
del
paese.
Durante
quegli
anni
si
dibatteva
molto
entro
la
destra
cattolica
circa
le
possibilità
concrete
di
individuare
le
necessarie
cure
alla
crisi
del
primato
dei
cattolici
e
della
Chiesa
nella
società
italiana.
Conseguentemente
a
questi
sconvolgimenti
esterni
ed
interni
alla
Chiesa
l’associazionismo
cattolico
seguitava
a
perdere
consensi,
in
particolare
tra
le
giovani
generazioni
e
nella
scuola.
Ed è
all’interno
di
questa
crisi
che
va
inserita
la
nascita
dell’iniziativa
di
don
Giussani,
gioventù
studentesca
(GS),
il
movimento
studentesco
precursore
di
quella
che
sarà
successivamente
Comunione
e
Liberazione
(CL).
Il
movimento
di
don
Giussani
rintracciò
un
seguito
nella
scuola,
tra
gli
studenti
medi
– i
cosiddetti
liceali
di
ghiaccio
(così
come
li
soprannominò
la
rivista
l’Espresso
nel
1964),
in
quel
luogo
dove
oramai
da
troppo
tempo,
da
parte
di
organizzazioni
ufficialmente
riconosciute
come
l’Azione
Cattolica,
si
registravano
sonore
sconfitte
sul
piano
della
pastorale.
La
rovente
campagna
mossa
contro
la
«scuola
di
Stato»
in
nome
della
cosiddetta
«scuola
libera»
dei
differenti
metodi
educativi,
fu
la
prima
di
una
serie
di
prese
di
posizioni
politiche
del
movimento
studentesco
di
don
Giussani.
La
caduta
del
«Governo
Moro»
sulla
questione
della
riduzione
dei
finanziamenti
alla
scuola
materna
confessionale
nel
1964
(per
mano
di
alcuni
franchi
tiratori
della
destra
della
DC)
veniva
salutata
negli
ambienti
di
GS
come
una
«vittoria
dell’educazione
cattolica».
In
quella
circostanza
l’opera
giessina
era
concentrata
tutta
sulla
questione
pedagogica,
di
«educazione
alla
comunità
cristiana»,
un’educazione
finalizzata
alla
separazione
dell’unità
della
persona
dal
mondo
secolarizzato.
Per
tali
ragioni,
la
lotta
contro
la
«scuola
di
Stato»
era
essenzialmente
un
pretesto
di
polemica
interna
contro
il
secolarismo
(o
laicismo)
del
mondo
contemporaneo.
Ancora
maggiore
fu
l’impegno
profuso
(in
un
profondo
anticomunismo)
dai
militanti
di
GS
nell’innalzamento
del
muro
contro
l’ingresso
della
politica
tra
i
banchi
di
scuola,
e
nella
campagna
contro
le
organizzazioni
laiche
e
della
sinistra
giovanile.
Il
programma
educativo
di
gioventù
studentesca
(che
dopo
il
1968
arriverà
a
maturazione
nell’esperienza,
ancora
molto
attuale,
di
Comunione
e
liberazione)
si
muoveva
nell’ambizioso
progetto
di
ricreare
una
condizione
di
egemonia
del
pensiero
cattolico
nella
cultura
e
nella
politica
della
società
italiana
di
quegli
anni.
Tuttavia,
questo
primario
disegno
di
GS
si
mostrò
troppo
ambizione
e
non
poteva
che
cadere
rovinosamente
visti
i
forti
sommovimenti
sociali
e le
lotte
di
classe
in
corso
tra
il
1968
e il
1969.
Contemporaneamente
al
diffondersi
del
movimento
studentesco
(i
cosiddetti
sessantottini),
il
movimento
di
don
Giussani
cadde
in
una
crisi
profonda.
Lo
scontro
sociale
attraversava
prepotentemente
l’interno
della
comunità
cristiana.
La
presenza
del
movimento
nella
scuola
e
nell’università
–
quelli
che
erano
stati
i
luoghi
del
grande
reclutamento
giessino
– si
era
notevolmente
ridotta.
Tuttavia,
è
proprio
dalle
ceneri
del
movimento
di
GS
che
si
andrà
a
formare
i
primi
raggruppamenti
di
CL
(Comunione
e
Liberazione),
in
quei
luoghi
dove
la
realtà
giessina
era
stata
abbastanza
solida
e
ramificata,
ovvero
scuola
e
università.
Incoraggiata
dallo
stimolo
della
contestazione
studentesca
e
operaia
del
«biennio
rosso»
(1968-1969)
e
dalla
contemporanea
crisi
del
mondo
cattolico,
la
riflessione
in
senso
autocritico
del
gruppo
dirigente
ex-giessino
approdò
alla
nozione
di
comunione
come
orizzonte
teorico
e
politico.
La
comunione
ridefiniva
il
proprio
rapporto
con
«l’autorità»,
ossia
il
potere
di
comando
su
qualsiasi
iniziativa
del
cristiano
(che
si
configura
nella
«obbedienza»),
e
con
il
mondo
degli
altri.
La
comunione
intorno
all’autorità
era
concepita
e
vissuta
nella
pratica
come
l’unica
attività
sociale
e
politica
della
persona,
contro
la
pretesa
(nella
retorica
cristiana,
il
«peccato»)
della
prassi
politica
di
volere
(e
potere)
trasformare
il
mondo.
Per
Comunione
e
Liberazione,
effettivamente,
tutto
l’agire
umano,
dato
il
limite
costitutivo
figurato
dal
peccato
originale,
si
mostrava
inabile
ad
intervenire
nella
storia;
in
altre
parole,
secondo
la
retorica
dei
ciellini
non
serve
a
nulla
rivoluzionare
le
strutture
economiche
o
sociali,
se
prima
non
si
rivoluzionano
le
persone.
Da
questo
si
capisce
che
chiunque
tenti
un
qualsiasi
intervento,
senza
consegnarsi
all’invalicabilità
di
quel
limite
originario
che
è il
peccato,
cade
in
una
logica
di
superba
indipendenza.
Questa
proposizione
rappresenta
in
modo
radicale
tutta
la
potenza
della
missione
del
cattolico
nel
mondo
secolarizzato
e
della
possibilità
di
un
riarmo
morale
contro
la
frustrazione
della
propria
testimonianza
di
fede
nel
mondo
contemporaneo,
una
frustrazione
che
oggettivamente
tende
a
disgiungere
l’uomo
dalla
propria
storia
nel
mondo.
D’altronde
non
a
caso
Comunione
e
liberazione
si
forza
sin
dai
propri
albori
di
affermare
la
priorità
della
fede
su
ogni
forma
di
antropologia.
La
fede
dunque
come
unico
orizzonte
di
interpretazione
degli
sforzi
culturali
e
della
prassi
storica,
perché
per
costoro
non
è la
storia
umana
che
in
ultima
istanza
giudica
la
sapienza
cristiana,
ma è
questa
ultima
che
giudica
e
interpreta
tutta
la
storia
umana.
Questa
proposta
trova
proseliti
all’interno
del
medio
ceto
«intellettuale»
di
formazione
cattolica
–
per
CL
da
riconsiderare
e
verificare
costantemente
– in
crisi
di
identità
perché
anche
esso
sottoposto
alla
scure
dello
sviluppo
capitalistico.
Gli
interlocutori
primari
della
proposta
di
CL
sono
quelle
figure
professionali
quali,
il
medico,
l’insegnante,
il
dirigente
aziendale,
l’assistente
sociale,
il
giudice;
tutti
interlocutori
disponibili
a
sottoporsi
ad
una
logica
di
condanna
sulla
politica,
che
risultano
essere
disorientati
(un
disorientamento
che
genera
in
loro
frustrazione)
dal
cambiamento
dei
rapporti
di
forza
in
atto
tra
i
diversi
schieramenti
sociali
in
campo.
Per
queste
ragioni
per
i
ciellini,
ideologia
e
programma
politico
devono
coincidere
con
la
comunione,
con
quella
speranza
di
restituire
una
comunicatività
attorno
al
lavoro
e
all’identità
di
forze
intellettuali
espropriate.
Vista
l’esperienza
maturata
nel
corso
degli
anni
e il
forte
sostegno
delle
più
alte
gerarchie
vaticane,
come
si è
evoluta
la
proposta
di
CL?
Comunione
e
liberazione
si
presenta
come
un
movimento
a
struttura
polivalente;
non
come
un
partito,
ma
come
una
articolata
«forza
politica»
fortemente
radicata
nella
società
italiana,
presente
con
tutta
la
sua
potenza
all’interno
delle
differenti
realtà
sociali
e
istituzionali.
Come
«forza
politica»
si
afferma
con
lo
scopo
principale
di
rendere
possibile
la
presenza
e
l’azione
nella
società
del
«soggetto
popolare
cristiano».
La
proposta
di
CL
affonda
le
sue
radici
nella
storia
del
cattolicesimo
italiano,
all’interno
di
una
mai
tramontata
nostalgia
per
la «societas
Christiana»
che
determina
quella
forte
ostilità
verso
tutte
le
forme
di
organizzazione
sociale
e
politica
partorite
in
epoca
contemporanea
dalle
rivoluzioni
ed
una
netta
opposizione
al
pensiero
moderno;
con
la
conseguente
«chiamata
alle
armi»
dei
cristiani
affinché
appongano
il
marchio
della
loro
diversità
anche
nell’organizzazione
sociale
della
società
in
cui
operano.
Le
difficoltà
di
comprensione
del
fenomeno
CL,
specie
per
chi
vive
come
estraneo
il
mondo
cattolico,
si
levano
dalla
mancata
considerazione
di
quello
che
è il
loro
modo
di
intendere
la
fede
e la
vita
della
Chiesa.
Il
ragionamento
di
base
su
cui
si
fonda
la
proposta
di
CL
sembra
ad
prima
lettura
semplice
e
persuasivo:
la
fede
cristiana
non
è
solo
un
fatto
da
relegare
semplicemente
alla
sfera
spirituale
ma
deve
trovare
una
trasposizione
culturale,
storica
e
deve
avere
una
sua
efficacia
sul
piano
sociale.
La
fede
non
può
essere
un
fatto
privato
e
non
può
essere
semplicemente
vissuta
in
maniera
individuale,
ma
deve
essenzialmente
essere
vissuta
come
esperienza
della
comunità
cristiana,
in
pratica
della
Chiesa.
Da
questo
ne
deriva
che
il
metro
di
orientamento
anche
nell’azione
sociale
e
politica
(nel
contesto
di
un
principio
di
ordine
e di
unità
per
incidere
sul
mondo)
è il
giudizio
della
comunità
cristiana
storicamente
determinata.
Per
questa
ragione,
fare
«politica»
fuori
(o
peggio
ancora,
contro)
il
giudizio
storicamente
superiore
della
comunità
cristiana,
significherebbe
asservirsi
a
culture
ed
egemonie
ostili
al
messaggio
cristiano.
Nel
pensiero
di
Comunione
e
Liberazione
la
comunità
cristiana
è
anche
soggetto
sociale
e
politico,
e,
nella
misura
in
cui
muove
dall’unità
della
fede,
deve
perlomeno
presentarsi
come
soggetto
sociale
e
politico
unitario.
In
questo
modo
per
CL
sarebbe
fondamentale
più
il
problema
dell’identità
che
quale
società
si
deve
e si
può
costruire;
da
questo
si
deduce
che
se i
cristiani
reclamano
e
prendono
coscienza
della
loro
identità,
e
sussistono
integralmente
in
comunità,
si
andrebbe
in
un
certo
qual
modo
a
realizzare
l’annuncio
della
«nuova
società».
Per
amor
di
logica
si
comprende
che
CL
non
propone
un
progetto
per
la
società,
ma
propone
se
stessa
(o
la
comunità
cristiana,
intesa
come
CL
la
intende)
come
progetto,
esteso
agli
altri
e in
elaborazione
con
gli
altri,
ma
nella
sua
superiorità
rispetto
ad
ogni
altro
soggetto.
Da
questo
si
capisce
chiaramente
che
bisogna
«riconoscere»
prima
di
«proporre»;
ciò
che
conta
non
è la
validità
della
proposta,
ma
che
questa
sia
proveniente
e
controfirmata
dall’intera
e
unica
comunità.
Per
tali
ragioni
qualsiasi
esperienza
unitaria
sul
piano
politico,
sindacale
o
sociale
è
vista
con
sospetto
dall’unica
unità:
quella
della
comunità
cristiana.
Qualsiasi
chiamata
alla
cooperazione
è
accettata
solo
se
non
porta
con
sé
il
rischio
di
sfaldare
l’unicum
dell’identità
dei
cooperanti.
Non
a
caso
la
proposta
di
Comunione
e
Liberazione
si
presenta
integralmente
rivolta
al
soggetto
popolare
cristiano,
formulato
dalla
Chiesa
romana.
Nell’orizzonte
di
CL
il
richiamo
alla
tradizione
cristiana
agisce
fondamentalmente
come
collante,
nella
misura
in
cui
la
proposta
politica
deve
nascere
dalla
comunità
cristiana
in
quanto
tale.
Tutti
i
fattori
anche
culturali
che
contribuiscono
a
dare
corposità
e
unità
alla
comunità,
servono
ad
alimentare
ed a
favorire
una
«coscienza
della
propria
identità
cristiana»,
che
per
CL
deve
essere
il
presupposto
a
qualsiasi
discorso
politico.
Il
movimento
è
tutto
proteso
a
valorizzare
l’identità
cristiana
come
patrimonio
storico
della
Chiesa
ed a
rivendicare
spazio
pubblico
per
esprimere
tale
patrimonio
all’esterno,
ovvero
all’interno
della
società
italiana.
Per
queste
ragioni,
anche
se
fino
ad
oggi
non
ha
assunto
definitivamente
connotati
partitici,
CL
sembrerebbe
una
mera
«unità
politica»
atta
a
rappresentare
come
élite
il
partito
cattolico,
il
partito
della
Chiesa.
Come
proposta
integrale,
CL
propone
tutti
i
tradizionali
obiettivi
dell’azione
della
Chiesa
in
Italia,
ammettendo
uno
schema
generale
senza
alcuna
mediazione
rispetto
alla
situazione
storica
e al
rapporto
con
le
altre
forze
sociali.
Quella
che
si
scorge
al
fondo
dello
schema
di
società
che
CL
preannuncia
è
una
società
dove
a
ciascuna
persona
sarebbe
solo
dato
scegliere
l’ambito
in
cui
porsi
(se
non
introdotto
inconsciamente…),
ma
ogni
aspetto
dell’essere
nel
mondo
dovrebbe
poi
svolgersi
all’interno
del
recinto
predestinato
(presumibilmente
cristiano).
Dunque
un’immagine
di
società
retta
da
una
specie
di
regime
di
segregazione
culturale
ed
ideologica,
dove
la
libertà
e le
possibilità
di
sviluppo
di
ciascun
individuo
sono
intimamente
legate
alla
vita
e
all’ambio
di
azione
dell’elite
d’appartenenza.
Ma
questa
proposta
di
CL
rischia
di
rendere
la
società
italiana
una
società
integrale
dove
vengono
mortificati
tutti
i
dissensi
e le
posizioni
di
margine,
o
minoritarie,
e
così
creare
un
appiattimento
sociale
verso
istanze
generali
o
peggio
ancora
fondamentaliste.
Qualcuno
potrebbe
obiettare
che
nella
fattispecie
si
sta
confondendo
il
momento
religioso
con
il
momento
politico.
Un’obbiezione
da
rimandare
al
mittente
perché
tale
confusione
potrebbe
essere
attribuita
al
pontefice
Giovanni
Paolo
II
ed
alcuni
stretti
collaboratori
vaticani
che
hanno
fatto
negli
ultimi
venti
anni
la
scelta
di
favorire
le
realtà
dei
movimenti
quali
l’Opus
Dei,
i
Legionari
di
Cristo,
e
non
ultima
Comunione
e
Liberazione,
mettendo
in
cantina
tutto
l’insegnamento
che
ci
giunge
dalla
formidabile
esperienza
del
Concilio
Vaticano
II.
Inoltre,
lo
scontro
in
atto
tra
una
certa
sfera
di
laici
e di
cattolici
sembrerebbe
servire
semplicemente
a
realizzare
falsi
disegni
e
corposi
interessi
di
classe,
naturalmente
di
classe
élitaria!
Ed è
per
questa
ragione
che
è
urgente
il
recupero
degli
insegnamenti
dei
padri
conciliari
inscritti
nei
documenti
del
Vaticano
II,
recuperare
la
memoria
storica
di
una
Chiesa
conciliare
capace
di
alimentare
ancora
speranza
tra
gli
ultimi
della
terra,
o
come
li
definirebbe
Fanon
«I
dannati
della
terra»!
Riferimenti
bibliografici:
F.
De
Felice,
Nazione
e
crisi:
le
linee
di
frattura
(La
fine
del
dopoguerra),
in
AA.VV.,
Storia
dell’Italia
Repubblicana,
vol.
3
(L’Italia
nella
crisi
mondiale.
L’ultimo
ventennio),
Torino
1996,
pp.
7-80.
M.
Camisasca,
Comunione
e
Liberazione.
Le
origini
(1954-1968).
Cinisello
Balsamo
2001.
F.
Ottaviano,
Gli
estremisti
bianchi:
Comunione
e
Liberazione,
un
partito
nel
partito,
una
Chiesa
nella
Chiesa,
Roma
1986.
S.
Abbruzzese,
Comunione
e
Liberazione:
identità
religiosa
e
disincanto
laico,
Roma
1991.
M.
Camisasca,
Comunione
e
Liberazione.
La
ripresa
(1969-1976),Cinisello
Balsamo
2003.
Giovanni
Paolo
II,
L’idea
di
movimento:
tre
discorsi
di
papa
Giovanni
Paolo
II a
Comunione
e
Liberazione,
Milano
1991.
L.
Giussani,
L’opera
del
movimento.
La
fraternità
di
comunione
e
Liberazione.
In
occasione
del
ventesimo
anniversario
del
riconoscimento
pontificio,
Cinisello
Balsamo
2002.
F.
Fanon,
I
dannati
della
terra,
Torino
2007.
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