N. 45 - Settembre 2011
(LXXVI)
il Faust vincitore
una poetica ambientazione atemporale
di Leila Tavi
Il cerchio si stringe sui film in concorso a Venezia e, nonostante le deluse aspettative di molti miei colleghi, la visione del film di Sokurov per me è stata come restare in apnea nella calma delle acque dopo il fragore del festival, le corse frenetiche per non perdere il vaporetto, le scarse tre ore di sonno per notte e gli occhi feriti dai massacri familiari, le financial bubbles, le prostituzioni politiche, la gloria delle prostitute che, sicuramente a ragione, altri registi ci hanno proposto in questa 68esima edizione.
Per capire un film del
genere
bisogna
essersi
confrontati
non
solo
con
le
varie
stesure
del
Faust
goethiano,
ma
con
l’opera
teatrale
Doctor
Faustus
di
Christopher
Marlowe,
con
l’omonimo
romanzo
di
Thomas
Mann
e
con
la
leggenda
del
Faust;
da
ex
allieva
del
prof.
Paolo
Chiarini
ho
avuto
l’onore
e il
piacere
di
farlo.
Vorrei dissuadere alcuni
miei
colleghi
dal
dare
giudizi
assonnati
e
affrettati,
non
stiamo
esprimendoci
sulla
morale
di
sceriffi
e
detective
del
XXI
secolo
a
caccia
di
pervertiti
o di
finanzieri
malavitosi,
ci
stiamo
confrontando
con
l’arte,
con
la
letteratura,
con
il
Classicismo
e
con
il
Romanticismo,
con
il
rapporto
tra
scienza
e
magia;
intravediamo
una
responsabilità
morale
di
scienziati
e
intellettuali,
sentiamo
la
carnalità
delle
passioni
e
allo
stesso
tempo
la
caducità
della
carne.
Nel film non è la lotta
tra
il
bene
e il
male
a
essere
analizzata,
ma
lo
scontro
e
l’interazione
tra
la
razionalità
della
scienza
e
l’oscuro
fascino
dell’occulto,
che
nella
Germania
di
fine
Ottocento
ha
avuto
come
esito
una
spuria
e
pericolosa
commistione,
generatrice
di
quella
cultura
dell’eroismo
temerario
e
nostalgico
celebrato
con
il
Walhalla
e
con
i
Beyreuther
Festspiele
wagneriani.
Una
fenomeno
socio-culturale
che
ha
fatto
da
sostrato
all’ideologia
nazionalsocialista;
è
evidente
quindi
un
legame
almeno
con
uno
dei
film
della
tetralogia
di
Sukorov.
In questo senso il messaggio
del
film
è
più
vicino
a
quello
del
romanzo
di
Mann
che
a
quello
di
Goethe,
come
il
regista
stesso
ha,
d'altronde,
affermato.
Faust
nel
film
è
uno
scettico,
un
agnostico
che
scende
a
patti
con
il
diavolo,
come
se
nel
profondo
della
sua
anima
dubitasse
dell’esistenza
del
demonio
fatto
uomo,
come
se
la
sua
vicinanza
lo
aiutasse
a
capire
una
parte
dell’animo
umano
che
lo
scienziato
fino
a
quel
momento
non
aveva
mai
esplorato:
l’irrazionale;
Faust
ne è
attratto,
sente
il
fascino
della
carne,
della
voluttà,
della
lascivia,
perché
la
sua
infelicità
lo
porta
a
cercare
conforto
al
di
fuori
del
mondo
razionale,
nell’illusione
dell’amore,
perché,
confessa,
sa
troppo,
ma
non
riesce
a
provare
nulla.
Nel suo viaggio alla
scoperta
dei
sensi
si
lascia
guidare,
come
un
bambino
davanti
a
ciò
che
è
sconosciuto,
dal
suo
diavolo
“custode”.
Quel diavolo deforme e
decrepito,
senza
genitali
e
sofferente
di
dispepsia,
cerca
di
disilludere
il
medico,
sintetizzando
a
Faust
in
una
sola
frase
ciò
che
lega
una
donna
a un
uomo:
soldi,
voluttà
e
convivenza.
Anche
il
diavolo
ha
un
amore
morboso
e
reverenziale:
per
l’immagine
di
quel
divino
che
l’ha
ripudiato
senza
giusta
motivazione,
ignaro
del
fatto
che,
in
realtà,
è
stato
l’uomo
a
creare
una
personificazione
per
la
natura
animale
del
suo
essere;
è
per
questo
che
attraverso
Faust
il
diavolo
cerca
di
riconciliarsi
non
con
il
suo
dio,
ma
con
l’uomo.
Faust si lascia tentare,
si
lascia
andare
alla
sensualità,
cade
nell’oblio,
abbandona
per
un
attimo
l’acre
odore
dei
cadaveri
sezionati
per
inebriarsi
con
i
profumi
del
bosco
e
della
giovane
carne
di
Margarete,
a
cui
spiega
i
segreti
della
scienza,
cercando
di
avvicinarla
a
essa
paragonando
lo
studio
al
cucito.
L’amore della ragazza lo
affrancherà
dalla
frenesia
di
scoprire
solo
allo
scopo
di
ottenere
fama
e
riconoscimenti
accademici.
La
ragazza
fa
involontariamente
cadere
il
vaso
che
contiene
l’esperimento
dell’homunculus
fatto
di
oli
eterici
di
asparago
e
tabasco,
che
Wagner,
l’assistente
di
Faust,
svela
a
Margarete
essere
il
suo
grande
segreto,
l’impresa
che
lo
renderà
più
ricco
e
famoso
di
Faust.
Dopo una vita intera
dedicata
allo
studio,
alla
solitudine,
all’evoluzione
della
scienza,
Faust
vuole
farsi,
per
una
volta,
guidare
dai
sensi
e
sceglie
di
farsi
accompagnare
in
questo
suo
viaggio
dal
diavolo,
che
non
è
mai
realmente
suo
padrone,
piuttosto
suo
servitore.
Il diavolo in questa sua
veste
di
pagliaccio
si
bagna
nella
fontana
dove
le
donne
vanno
a
lavare
le
loro
vesti
come
un
eunuco,
come
un
giullare
di
cui
tutti
si
fanno
scherno.
Bacia
la
bocca
del
crocifisso,
della
statua
della
Madonna
in
chiesa,
nulla
ha a
che
vedere
con
Mefistofele,
l’antagonista
di
Dio;
sembra
un
qualsiasi
demone,
un
sottoposto
del
divino
ma
anche
dell’uomo,
a
cui
non
è
mai
stata
una
spiegazione
al
senso
della
vita
e
dell’infinito,
che
si
sente
un
Sisifo
condannato
a
scontare
in
eterno
la
sua
pena;
è il
diavolo
a
cercare
Faust,
perché
è
avido
di
risposte
che
l’imperscrutabile
suo
signore
non
gli
ha
fornito
e
che
invece
Faust
conosce.
Il diavolo è affascinato
dalla
sapienza
di
Faust,
ne è
soggiogato,
dominato,
non
vorrebbe
ucciderlo
perché
lo
avverte
come
un
completamento
della
sua
forza
oscura,
lo
cerca,
lo
chiama,
è
sempre
alle
sue
spalle,
ma a
una
rispettosa
distanza,
lo
lascia
agire,
non
lo
condiziona,
suggerisce
solo,
non
impone,
lo
lascia
scegliere
con
libero
arbitrio.
Confessa
a
Faust
che
hanno
ancora
grandi
cose
da
fare
insieme.
Nella scena davanti al
geyser
in
eruzione
solo
Faust
sa
dargli
una
spiegazione
sui
fenomeni
naturali,
il
dio
in
cui
il
diavolo
crede
rimane,
invece,
immobile
e in
silenzio.
La natura del potere nel
film
si
manifesta
in
diversi
aspetti:
il
richiamo
della
carne,
la
materialità
che
è
condizione
di
sopravvivenza
dell’essere
umano,
il
potere
dell’oscurantismo
e
dell’ignoranza,
ma
anche
la
forza
interiore
che
fa
superare
i
limiti
fisici.
Il Faust di Sukorov non
decide
di
fermare
l’attimo
come
quello
di
Goethe,
va
avanti,
sempre
avanti,
con
l’infinito
atemporale
che
si
rivela
ai
suoi
occhi,
mentre
il
diavolo
rimane
schiacciato
dal
tempo,
resta
indietro
sepolto
dal
peso
delle
macerie
e
dall’ignoranza.
Le
ultime
parole
di
Faust
prima
della
dissolvenza
sono:
“Geist
und
Natur,
mehr
braucht
man
nicht”
(Spirito
e
natura,
non
si
ha
bisogno
di
altro).