N. 27 - Agosto 2007
ANCORA
MINNACCE Ai giornalisti nella città di
nalchik
La storia
di Fatima Tlisova
di
Lela Tavi
Fatima Tlisova
(Фатима
Тлисова) è stata picchiata, molestata e forse
avvelenata mentre preparava un articolo sui ribelli
nella cittadina di Nalchik (Налчик), nella
Kabardino- Balkaria (Кабарди́но-Балка́рская
Респу́блика).
Nonostante le minacce ricevute la giornalista non si è
lasciata intimorire fino a che, però, lo scorso
anno, suo figlio sedicenne non è più tornato a casa
il giorno in cui la madre lo ha mandato a fare una
commissione nei dintorni di casa.
La madre ha ritrovato il ragazzo solo dopo ore in una
stazione di polizia, sotto la custodia di un
poliziotto ubriaco, che sosteneva di aver arrestato
il figlio perché il suo nome risultava essere tra
quelli di una lista di persone “sospette”; una
tattica usata spesso dalla polizia per isolare e
scoraggiare i simpatizzanti della questione cecena.
Spesso le persone detenute con un tale capo d’accusa sono
picchiate regolarmente a sangue e, in alcuni casi,
sono fatte sparire senza lasciare traccia.
F. Tlisova è stata costretta a lasciare il suo paese natale
e il suo lavoro da giornalista alla Associated
Press per la regione del Caucaso del Nord a
causa delle continue minacce a lei e alla sua
famiglia; solo dopo la cattura di suo figlio si è
convinta che continuare a vivere e a lavorare come
giornalista in Caucaso non era più possibile e si
trasferita perciò negli Stati uniti.
L’arresto del figlio è avvenuto un giorno dopo l’assassinio
di Anna Politkovskaya (А́нна Степа́новна
Политко́вская) a Mosca, ma Fatima ha subito minacce
da parte della polizia locale per la prima volta nel
2002, in seguito alla pubblicazione di un suo
articolo per la Obshchaya Gazeta (Общая
Газета)
sui maltrattamenti ai Ceceni da parte di soldati
russi.
In occasione del suo trentaseiesimo compleanno Fatima ha
organizzato una festa in casa sua; dopo aver
accompagnato gli ultimi ospiti alla porta la
giornalista è stata trascinata in un angolo e
picchiata da due uomini. È stata ricoverata diversi
giorni in ospedale con le costole rotte, una
commozione cerebrale e altri traumi.
Nel 2005 Fatima è stata costretta a salire su un auto con
la minaccia che, se si fosse rifiutata, avrebbe
messo in grave pericolo la vita dei suoi figli; la
giornalista ha dichiarato di essere stata portata in
un bosco, di essere stata picchiata e minacciata per
tre ore.
In quell’occasione la giornalista è stata presa per i
capelli e le sono state spente cicche di sigarette
sui polpastrelli delle dita, così da farla “scrivere
meglio”, le è stato detto.
F. Tlisova non ha voluto denunciare l’aggressione alla
polizia perché sostiene che uno degli uomini che
l’hanno picchiata è un agente della Servizio di
sicurezza federale russo (FSS) della sede di Nalchik.
Qualche settimana dopo l’arresto di suo figlio nell’ottobre
2006 nell’appartamento della giornalista c’è stato
un tentativo di scasso; il mattino seguente Fatima
non si è sentita bene ed è svenuta.
Dalle analisi eseguite in ospedale il giorno stesso è stato
accertata una disfunzione ai reni acuta; dopo dieci
giorni lo stesso test non registrava nessuna
anomalia a livello dei reni.
Fatima è convinta di essere stata vittima di un tentativo
di avvelenamento, perciò ha cercato di lasciare la
Russia in breve tempo, ma un altro malore glielo ha
impedito.
La tentazione di abbandonare la carriera di giornalista per
non rischiare più la sua vita e quella della sua
famiglia ha tormentato Fatima a lungo, la decisione
di trasferirsi negli USA è stata dolorosa e anche
oggi la giornalista spera di poter ritornare un
giorno nella sua terra, dove le ingiustizie e la
violenza “sono all’ordine del giorno e tacere è
impossibile”. |