N. 41 - Maggio 2011
(LXXII)
LA RAPPRESENTANZA ORGANICA
L’ALTERNATIVA FASCISTA ALLA DEMOCRAZIA CLASSICA
di Danilo Caruso
Il
criterio
della
rappresentanza
parlamentare
corporativa
(cioè
per
sezioni
della
società)
fu
uno
dei
cavalli
di
battaglia
del
vecchio
Movimento
sociale
italiano,
un
modello
che
era
stato
ereditato
dalla
parte
concettualmente
salvabile
dell’ideologia
fascista.
Sebbene
il
corporativismo
si
porti
appresso
la
tara
del
fascismo
non
fu
questo
a
introdurlo
nella
storia
delle
idee:
il
primo
corporativista
è
stato
Platone.
Nella
“Repubblica”
la
tripartizione
del
popolo
in
governanti
–
difensori
–
produttori
risponde
all’esigenza
di
porre
ogni
essere
umano
in
virtù
delle
sue
capacità,
e
non
in
seguito
a
privilegi
di
nascita
o di
raccomandazione,
nella
categoria
migliore
corrispondente
alle
sue
attitudini
e
agli
interessi
collettivi.
A
Platone
era
ancora
estraneo
il
concetto
di
persona,
ragione
per
la
quale
la
sua
concezione
di
Stato
(etico)
è
involontariamente
molto
simile
a
quella
gentiliano-fascista
(il
cittadino
in
funzione
dello
Stato).
Il
filosofo
ateniese
venne
inserito
nella
critica
dei
sistemi
totalitari
condotta
da
Karl
Popper
(da
ricordare
che
Platone
legittimava
anche
la
schiavitù
–
difetto
comune
a
tutta
l’antichità
–, i
cui
rappresentanti
erano
in
fin
dei
conti
una
quarta
categoria
di
servi).
Questa
idea
di
dare
a
ognuno
il
ruolo
giusto
ricomparirà
nella
teoria
attrattiva
del
lavoro
di
Charles
Fourier.
I
limiti
della
“Repubblica”
platonica,
che
prospettava
pure
programmi
eugenetici
di
ascendenza
spartana,
ma
che
a
posteriori
rievocano
molto
quelli
nazisti,
sono
da
collocare
e
conoscere
nella
loro
dimensione
storica
(sempre
non
condividendoli).
Non
perché
il
corporativismo
è
stato
riproposto
e
riattualizzato
dal
fascismo
dovrebbe
essere
oggetto
di
abominio:
preso
per
sé è
un’ipotesi
di
rappresentanza
con
una
sua
dignità.
L’opportunità
di
un’assemblea
legislativa
corporativa
può
essere
giudicata
diversamente
se
ripresentata
correttamente.
Ai
tempi
del
fascismo,
prima
dell’istituzione
della
Camera
dei
fasci
e
delle
corporazioni,
l’esistenza
del
partito
unico
e
della
lista
bloccata
di
tutti
i
deputati
(sottoposta
a
referendum)
era
stata
accompagnata
dal
calo
(di
circa
un
quinto)
dell’elettorato.
Se
il
liberalismo
inglese
sosteneva
no
taxation
without
representation
(nessuna
imposizione
di
tasse
a
coloro
che
non
godono
del
diritto
di
voto,
per
cui
ci
sia
il
suffragio
popolare),
il
fascismo
invertì
i
termini,
pur
rimanendo
sulla
stessa
linea
concettuale:
no
representation
without
taxation
(nessuna
facoltà
di
voto
a
chi
ha
redditi
più
bassi
e
che
non
contribuisce
al
bilancio
pubblico
significativamente).
Questa
procedura
fascista
riflette
in
qualche
modo
il
pensiero
di
John
Stuart
Mill
di
rendere
lecita
singolarmente
la
formulazione
di
più
voti
ai
cittadini
capaci
di
valutare
le
scelte
politiche:
il
fascismo
intervenne
per
difetto.
Mantenne
il
meccanismo
di
un
voto
pro
capite,
però
così
facendo
lo
tolse
a
coloro
strumentalizzabili
più
vicini
disgraziatamente
a
carenze
di
acculturazione
(il
Senato
rimaneva
di
nomina
regia,
mentre
venne
ridotto
il
numero
dei
deputati
allora
non
stipendiati).
Ancor
prima,
alla
fine
del
‘25,
unicamente
per
le
elezioni
amministrative,
era
stato
introdotto
il
suffragio
femminile
che
durò
sino
all’abolizione
dei
consigli
elettivi
(10
mesi
per
le
comunali,
32
per
le
provinciali).
Tutto
ciò
è
modernamente
inaccettabile
e
contraddittorio,
qualunque
siano
le
sue
derivazioni
prossime
o
lontane:
“la
sovranità
risiede
nel
popolo
indistintamente
nei
suoi
cittadini
di
ambo
i
sessi
che
abbiano
compiuto
la
maggiore
età,
lo
Stato
deve
garantire
a
tutti
l’informazione
e
l’istruzione
adatte
a
poter
esprimere
delle
decisioni
mature
nelle
libere
e
plurali
consultazioni
elettorali”.
Una
democrazia
esclusivamente
corporativa
è da
respingere
poiché
esclude
il
ruolo
dei
partiti
politici
come
mediatori
ideologici
e
strumenti
del
pluralismo,
e la
dialettica
si
sposta
a un
piano
sconosciuto.
Uno
schema
misto
bicamerale
(la
normale
camera
dei
partiti
e la
camera
delle
corporazioni,
con
specificazione
delle
rispettive
attribuzioni)
sarebbe
per
la
proposta
corporativista
soluzione
migliore
e
più
equilibrata.
Oggigiorno,
con
compiti
consultivi
e
progettuali,
presso
gli
enti
locali
esistono
particolari
consulte
e
consigli
vari
che
non
sono
nient’altro
che
organi
corporativi.
Dare
a
una
camera
delle
corporazioni
la
possibilità
di
approvare
in
prima
lettura
i
suoi
disegni
di
legge,
che
necessiterebbero
di
un
successivo
passaggio
alla
camera
dei
deputati
(per
il
dibattito,
eventuali
emendamenti,
il
giudizio
finale),
non
equivale
a
menomare
od
impedire
la
democrazia.
Un
problema
è
stabilire
i
parlamentari
corporativi:
chi,
quanti,
come
e
perché.
Per
quest’ultimo
nodo
che
si
lega
all’arbitrio
di
veduta
appare
preferibile
che
siano
i
partiti
stessi,
nella
democrazia
classica,
a
dar
spazio
al
proprio
interno
e
nelle
candidature
a
rappresentanti
delle
varie
categorie
sociali
e
sindacali
in
modo
più
concreto
e
proficuo
di
quanto
accada.
Tuttavia
i
settori
più
generali
della
società
sembrano
essere
questi:
1)
casalinghe,
2)
studenti,
3)
disoccupati,
4)
pensionati,
5)
lavoratori
e
datori
di
lavoro,
6)
operatori
di
culto.
Il
numero
di
seggi
nella
loro
camera
potrebbe
essere
per
ciascuno
nel
complesso
proporzionale
a
quello
degli
iscritti
(ogni
cittadino
verrebbe
inserito
nella
corporazione
della
sua
posizione
attuale
principale),
il
tutto
dovrebbe
essere
aggiornato
in
vista
del
rinnovo.
Tutte
le
organizzazioni
che
abbiano
avuto
riconoscimento
pubblico
in
relazione
a
una
corporazione
(o
le
loro
aggregazioni)
potrebbero
concorrere
alla
sua
rappresentanza.
Ogni
iscritto
sarebbe
chiamato
a
votare.
La
cornice
statale
di
un
simile
esperimento
non
dovrebbe
naturalmente
essere
a
imitazione
del
modello
hegeliano-fascista:
ci
vorrebbe
comunque
uno
Stato
etico,
ma
di
una
eticità
diversa,
in
funzione
del
cittadino;
dunque
uno
Stato
laico,
garante
di
libertà
e di
giustizia
sociale,
al
servizio
della
persona
e
della
collettività
a
protezione
dei
quali
esiste
(e
non
viceversa).
Occorre
dire
per
correttezza
storiografica
che
il
governo
fascista
accanto
ai
suoi
gravissimi
limiti
storici
e
ideologici
da
condannare
–
una
gamma
che
va
dall’uso
della
violenza
e
dai
dichiarati
propositi
antidemocratici
all’adesione
all’antiebraismo
e
alle
imprese
militari
– si
sforzò
in
campo
nazionale
e
coloniale
di
migliorare
le
condizioni
di
vita
materiale
e di
combattere
le
sperequazioni
prodotte
dal
capitalismo
(con
varie
opere
pubbliche;
istituzioni
per
l’assistenza
sociale
e il
sostegno
all’economia:
IRI,
IMI,
INPS,
INAIL,
etc.;
provvedimenti
normativi:
leggi
sull’orario
di
lavoro
ridotto
a 8
ore
quotidiane
e a
40
settimanali
con
la
domenica
e un
altro
giorno
di
pausa,
esenzioni
tributarie
alle
famiglie
numerose,
assicurazione
contro
la
disoccupazione,
etc.)
raggiungendo
dei
risultati
i
quali
meritano
studio
formale
più
attento
che
iniziale
riprovazione
d’insieme.
Quale
tipo
di
funzionamento
e di
suddivisione
possa
avere
nel
suo
seno
la
Camera
delle
corporazioni
è
difficile
stabilirlo
per
il
fatto
che
questi
parlamentari
non
proverrebbero
da
partiti:
i
rischi
sono
quelli
del
radicalismo
delle
provenienze
settoriali,
che
impedirebbe
un
produttivo
svolgimento
dei
lavori,
e di
una
frammentazione
dell’azione
propositiva
e
costruttiva,
con
risultanti
confusione
e
improduttività.
Tutti
i
possibili
inconvenienti
sollecitano
un
ripensamento
del
progetto
di
un’assemblea
legislativa
di
natura
corporativa,
e
suggeriscono
di
mantenere
l’ambito
di
semplici
e
specifici
organi
rappresentativi
al
livello
degli
enti
locali
e il
loro
ruolo
a
quello
consultivo-propositivo.