N. 129 - Settembre 2018
(CLX)
il farro e una santa
notizie storiche di un cereale minore
di
Angela
R.
Piergiovanni
Il 7
ottobre
2012
papa
Benedetto XVI
ha
proclamato
"Dottore
universale
della
chiesa"
santa
Ildegarda
di
Bingen,
una
suora
benedettina
nata
in
un
villaggio
nei
pressi
di
Magonza
(Germania)
e
vissuta
tra
il
1098
e il
1179.
Questo
riconoscimento
ha
risvegliato
l'interesse
verso
questa
santa
che
appartiene
a un
periodo
storico
e un
contesto
geografico
decisamente
lontani.
Numerosi
sono
i
libri
pubblicati
negli
ultimi
anni
su
Ildegarda,
scorrendone
velocemente
i
contenuti
ci
si
accorge
facilmente
come
la
sua
vita
venga
riproposta
di
volta
in
volta
sotto
una
angolatura
diversa.
Contrariamente
a
quanto
si
potrebbe
pensare,
si
tratta
di
una
figura
complessa
ben
lontana
dagli
stereotipi
che
ritengono
le
figure
femminili
del
tutto
marginali
nelle
vicende
storiche
e
culturali
del
Medioevo.
Nel
corso
della
sua
vita
Santa
Ildegarda,
divenuta
badessa,
fondò
due
monasteri
nei
pressi
di
Bingen
sul
Reno,
una
cittadina
della
Renania-Palatinato
(Germania)
e
intrattenne
rapporti
epistolari
con
importanti
personaggi
del
suo
tempo,
quali
Federico
Barbarossa,
Filippo
d'Alsazia,
san
Bernardo,
Eugenio
III,
che,
in
virtù
della
sua
fama,
chiedevano
consiglio
su
importanti
aspetti
della
vita
politica
e
religiosa
del
tempo.
Notevole
è la
mole
di
scritti
che
Ildegarda
stessa
ci
ha
lasciato.
Si
tratta
di
una
produzione
molto
diversificata
che
comprende
opere
teologiche
e
filosofiche,
componimenti
poetico-musicali
a
carattere
religioso,
ma
anche
testi
di
scienza,
cosmologia
e
medicina
alternativa.
È
doveroso
ricordare
che
nel
Medioevo
i
monasteri
non
erano
soltanto
luoghi
di
preghiera,
ma
anche
importanti
centri
culturali.
Inoltre
svolgevano
un
prezioso
ruolo
sociale
che
si
concretizzava
nella
gestione
dei
territori
limitrofi
e
nell’ospitalità
e
assistenza
dei
viaggiatori.
In
questo
contesto,
era
normale
che
i
religiosi
fossero
depositari
di
importanti
conoscenze
sulle
proprietà
terapeutiche
vere
o
presunte
delle
piante
sia
coltivate
che
spontanee.
Nei
nove
volumi
della
raccolta
intitolata
“Physica”,
Ildegarda
elaborò
in
maniera
organica
le
conoscenze
del
tempo
relative
all’effetto
sulla
salute
di
tutto
ciò
che
era
commestibile.
È
proprio
leggendo
queste
opere
che
emerge
un
legame
tra
Ildegarda
e il
farro.
Un
passo
tratto
da
un
suo
scritto
recita:
"Il
farro
è il
cereale
migliore.
Ha
potere
calorico,
è
molto
nutriente
ed è
più
leggero
di
tutti
gli
altri
cereali.
Il
farro
fa
buona
carne,
buon
sangue
e da
un
carattere
allegro
e
spensierato
a
chi
se
ne
alimenta.
Naturalmente
per
mangiarlo
occorre
che
sia
cucinato:
con
il
farro
si
può
fare
il
pane
o lo
si
può
mangiare
cuocendolo
in
acqua
come
tanti
altri
cibi;
il
farro
è,
in
una
parola,
buono,
leggero
e
digeribile".
(PL
1131
C/D).
Ovviamente
per
una
corretta
interpretazione
di
questo
brano
è
indispensabile
contestualizzarne
il
contenuto.
A
tale
scopo
è
prima
di
tutto
indispensabile
definire
la
rilevanza
che
il
farro
aveva
nella
alimentazione
quotidiana
delle
popolazioni
germaniche
del
XI-XII
secolo.
In
secondo
luogo,
è
necessario
capire
a
quale
delle
tre
specie
di
farro
(farro
piccolo,
farro
medio
o
spelta)
si
riferiva
santa
Ildegarda
quando,
nei
suoi
scritti,
ne
esaltava
le
proprietà
nutrizionali
e
terapeutiche.
Generalmente,
la
corretta
identificazione
di
specie
botaniche
citate
nei
testi
molto
antichi
è
problematica.
Le
difficoltà
derivano
da
vari
fattori
che
vanno
dalle
incertezze
insite
nella
traduzione
da
lingue
antiche
non
più
parlate,
all’uso
di
una
terminologia
che
è
notevolmente
cambiata
nel
corso
dei
secoli.
Una
ulteriore
complicazione
deriva
dalla
mancanza
in
passato,
di
una
nomenclatura
delle
specie
vegetali
adottata
a
livello
transnazionale,
cosa
che
è
avvenuta
solo
da
poco
più
di
due
secoli.
In
conseguenza
di
questo,
al
tempo
di
Ildegarda,
la
stessa
specie
poteva
avere
nomi
diversi
non
solo
passando
da
un
territorio
a un
altro,
ma
anche
da
un’epoca
all'altra
nel
medesimo
comprensorio.
Ad
esempio,
in
epoca
medievale
nei
territori
di
lingua
germanica
il
termine
"korn"
non
identificava
un
particolare
cereale.
Nella
Germania
settentrionale
lo
si
usava
per
indicare
la
segale,
mentre
più
a
sud,
vicino
al
lago
di
Costanza,
ai
fiumi
Neckar
e
Danubio
e
nell'attuale
Svizzera
designava
la
spelta,
quindi
due
diversi
cereali.
Queste
semplici
considerazioni
evidenziano
come
le
informazioni
ricavabili
dallo
studio
di
testi
antichi
come
quelli
di
Ildegarda
devono
essere
necessariamente
integrate
con
dati
ottenuti
utilizzando
altri
approcci
metodologici
che
vanno
dallo
studio
dei
reperti
archeologici,
all'analisi
delle
raffigurazioni
dell'epoca,
e
via
dicendo.
Nel
caso
specifico
un
valido
aiuto
può
venire
dall'archeobotanica,
una
disciplina
che
studia
i
resti
vegetali
(semi,
frutti,
pollini,
ecc.)
rinvenuti
in
contesti
archeologici
di
varie
epoche.
Le
analisi
su
questi
reperti
non
solo
permettono
di
identificare
le
specie
cui
essi
appartengono,
ma
anche
di
ricostruire
ecosistemi
e
paesaggi
agrari
del
passato
e
l'evoluzione
temporale
delle
relazioni
tra
uomo
e
piante
coltivate.
Studi
di
archeobotonica
sono
stati
condotti
anche
nelle
regioni
che
ricadono
nelle
attuali
Germania
occidentale
e
Svizzera.
Queste
aree
geografiche
corrispondono
grosso
modo
a
quelle
in
cui
visse
e
operò
Ildegarda.
Analizzando
i
risultati
di
questi
studi
pubblicati
su
riviste
scientifiche,
si
apprende
che
nell'Alto
Medioevo
(XI-XII
secolo),
nella
Germania
sud-occidentale
e
Svizzera
settentrionale
la
coltivazione
dei
cereali
era
praticata
in
tre
diversi
contesti
agrari.
Nelle
zone
intorno
al
fiume
Neckar,
un
affluente
del
Reno,
prevaleva
la
coltivazione
della
segale,
nel
nord
della
Svizzera
dominava
la
spelta,
mentre
nella
zona
compresa
tra
queste
due
aree
l'agricoltura
era
più
diversificata
e
coesistevano
coltivazioni
di
spelta,
segale
ed
avena.
L’esistenza
questi
tre
agro-ambienti
è
attribuibile
non
solo
alle
diverse
condizioni
climatiche
delle
regioni
prese
in
esame,
ma
anche
alle
preferenze
delle
popolazioni
che
le
abitavano.
Spostandosi
dalla
valle
del
Neckar
verso
la
Svizzera
settentrionale
il
clima
diventa
via
via
più
rigido
e
questo
favoriva
la
coltivazione
della
spelta
che,
sopportando
meglio
di
altri
cereali
le
basse
temperature,
assicurava
raccolti
più
consistenti.
Inoltre,
la
predilezione
delle
popolazioni
per
il
pane
bianco
si
rispecchiava
in
un
maggiore
consumo
di
farina
di
spelta,
al
contrario
la
preferenza
per
un
tipo
di
pane
scuro
incrementava
la
coltivazione
della
segale.
La
frequenza
di
resti
vegetali
identificati
dagli
archeobotanici
come
spelta
sia
in
villaggi
che
castelli
suggerisce
che
questo
cereale
aveva
sicuramente
una
certa
rilevanza
nella
dieta
non
solo
di
chi
viveva
in
contesti
completamente
agricoli
(piccoli
agglomerati
rurali)
ma
anche
di
coloro
che
popolavano
i
primi
abbozzi
di
agglomerati
urbani
che
si
andavano
formando
nei
pressi
dei
castelli.
Alla
luce
di
questi
riscontri
scientifici
si
può
dire
con
ragionevole
certezza
che
il
farro
di
cui
parla
Ildegarda
nei
suoi
scritti
era
la
spelta
e
che
il
suo
consumo,
non
era
occasionale,
ma
parte
integrante
della
dieta
giornaliera
di
popolazioni
che
abitavano
contesti
geografici
ben
definiti.
Chiarito
che
esistono
riscontri
oggettivi
sulla
effettiva
coltivazione
della
spelta
nel
contesto
storico-geografico
in
cui
visse
Ildegarda,
restano
da
verificare
le
affermazioni
sulle
sue
proprietà
salutistiche
e
terapeutiche.
È
ovvio
che
non
si
può
e
non
si
deve
dimenticare
che
nel
XII
secolo
le
conoscenze
mediche
erano
decisamente
limitate.
Le
affermazioni
a
riguardo
delle
proprietà
terapeutiche
da
associare
a
ciascuna
specie
vegetale
sarebbero
rimaste
ancora
per
molti
secoli
basate
su
speculazioni
personali
prive
di
ogni
riscontro
oggettivo.
Riferimenti
bibliografici:
Ildegarda
di
Bingen,
Il
ricettario
del
farro.
Oltre
200
ricette
di
sicuro
successo,
traduzione
di
Donato
D.,
Ed.
Segno,
2005.
Jänichen
H.
1970,
Beiträge
zur
Wirtshaftsgeschichte
des
schwäbischen
Dorfes,
Veröff
Komm
Gesch
Landeskd
Baden-Wűttemberg
B
60.
Strehlow
W.,
La
medicina
di
santa
Ildegarda.
Guida
sintetica
e
pratica,
Edizioni
Mediterranee,
2002.