N. 20 - Agosto 2009
(LI)
Dalla Grande Alleanza alla Guerra Fredda
parte i - il fallimento di yalta
di Claudio Li Gotti
Il
palazzo
bianco
di
Livadia,
nei
pressi
di
Yalta
in
Crimea,
è
una
sontuosa
costruzione
in
stile
neoclassico,
tra
le
più
belle
residenze
aristocratiche
che
si
affacciano
sulla
costa
sud
del
Mar
Nero.
Non
a
caso,
esso
fu
scelto
come
residenza
estiva
dall’ultimo
Zar
di
Russia,
Nicola
II;
ma
non
si
deve
a
questa
circostanza
la
sua
fama
e la
sua
importanza
storica.
La
data
è il
4
febbraio
1945.
Attorno
ad
un
grande
tavolo
circolare
allestito
in
una
delle
sale
interne
del
palazzo,
sedevano,
in
presenza
dei
rispettivi
delegati,
i
“tre
grandi”
capi
di
governo
alleati
nella
seconda
guerra
mondiale:
W.
Churchill,
F.D.
Roosevelt
e
J.V.
Stalin,
i
leader
della
“Grande
Alleanza”
che
stava
ormai
concludendo
la
vittoriosa
guerra
contro
la
Germania
nazista.
Lo
scopo
del
loro
incontro,
passato
alla
storia
come
la
Conferenza
di
Yalta
(4-11
febbraio
1945),
era
principalmente
quello
di
gettare
le
basi
di
un
nuovo
assetto
politico
nel
sistema
delle
relazioni
internazionali,
in
vista
dell’ormai
imminente
dopoguerra.
E’
tradizione
diffusa,
ma
alquanto
semplicistica,
indicare
proprio
Yalta
come
il
luogo
in
cui
venne
decisa
la
spartizione
del
vecchio
continente
in
due
sfere
d’influenza,
l’Europa
occidentale
agli
americani,
quella
orientale
ai
sovietici
e
dove
si
sarebbe
delineato
dunque
per
la
prima
volta
il
sistema
della
“Guerra
Fredda”.
In
verità,
a
Yalta
fu
decisa
soltanto
la
suddivisione
della
Germania
in
quattro
zone
d’occupazione
(americana,
britannica,
francese
e
sovietica),
che
fu
poi
ulteriormente
definita
nella
successiva
Conferenza
di
Potsdam,
nonché
furono
presi
importanti
accordi
su
come
gestire
la
situazione
politica
di
alcuni
territori
(la
Polonia
in
primis),
sulla
creazione
della
nuova
organizzazione
internazionale
(l’ONU,
nata
sulle
ceneri
della
defunta
Società
delle
Nazioni),
sul
come
proseguire
il
conflitto
contro
le
potenze
dell’Asse.
Gli
obiettivi
comuni
dei
tre
grandi
alleati,
sanciti
da
una
“Dichiarazione
sull’Europa
liberata”,
avrebbero
dovuto
ristabilire
l’ordine
e la
ricostruzione
della
vita
economica
nazionale,
da
raggiungere
attraverso
processi
che
avrebbero
permesso
ai
popoli
liberati
di
creare
proprie
istituzioni
democratiche
e di
scegliere
liberamente
la
forma
di
governo
desiderata.
Prominenti
storici
post-revisionisti
della
guerra
fredda,
tra
cui
l’americano
John
Lewis
Gaddis,
ne
attribuiscono
le
cause
ad
una
molteplicità
di
fattori
ed
alla
responsabilità
di
entrambe
le
superpotenze,
USA
ed
URSS,
che
fallirono
nel
tentativo
di
conciliare
obiettivi
politici
divergenti
per
preservare
un
assetto
postbellico
di
alleanza,
sulla
base
degli
accordi
sanciti
a
Yalta.
E’
in
questo
fallimento
che
vanno
individuate
le
radici
della
guerra
fredda,
scaturita
principalmente
dall'inconciliabilità
delle
ideologie
poste
alla
base
del
sistema
statunitense
e di
quello
sovietico
(capitalista
il
primo,
comunista
il
secondo)
che
ispiravano
posizioni
ed
interessi
geopolitici
contrastanti.
L’Unione
Sovietica
godeva
di
una
forte
capacità
di
destabilizzazione
politica
in
Europa;
sotto
la
sua
influenza,
in
quasi
tutti
i
paesi
dell’Est
europeo
si
andò
affermando
l’ideologia
politica
comunista
che
rappresentava
una
vera
e
propria
minaccia
agli
occhi
del
mondo
occidentale.
Governi
filosovietici
furono
facilmente
installati
in
Romania
e
Bulgaria
mentre
in
altri
casi
più
complessi,
come
in
Polonia
o in
Cecoslovacchia,
essi
furono
imposti
da
Stalin
o
conquistati
con
colpi
di
stato
comunisti,
in
barba
alle
promesse
di
libertà
fatte
a
Yalta.
I
nuovi
regimi
comunisti
avrebbero
costituito
insieme
all’URSS
un’organizzazione
di
mutua
assistenza
economica,
il
Comecon
(1949)
e
poi
una
vera
e
propria
alleanza
militare,
con
il
Patto
di
Varsavia
(1955).
Dall’altro
lato,
gli
americani
risposero
in
un
primo
momento
con
la
cosiddetta
“strategia
del
contenimento”
(containment),
elaborata
da
un
giovane
funzionario
americano
presso
l’ambasciata
a
Mosca,
George
F.
Kennan,
e
che
prevedeva
essenzialmente
la
necessità
di
“un
deciso
e
vigile
contenimento
delle
tendenze
espansionistiche
sovietiche”.
Il
12
marzo
1947,
il
nuovo
presidente
degli
USA
H.
Truman
enunciò
dinanzi
al
Congresso
americano
la
sua
famosa
“dottrina”,
la
quale
consisteva
in
una
serie
di
aiuti
economici
(con
l’European
Recovery
Program,
meglio
noto
come
Piano
Marshall,
del
quale
tratterò
in
seguito)
e
militari
alle
nazioni
europee
che,
in
questo
modo,
sarebbero
passate
sotto
la
protezione
degli
USA.
Lo
scopo
era
di
creare
un
fronte
compatto
dinanzi
alla
minaccia
dell’avanzata
comunista
tanto
che,
all’interno
dei
paesi
che
ricadevano
nel
nascente
blocco
americano,
i
partiti
di
sinistra
furono
allontanati
dalle
coalizioni
governative;
basti
pensare
all’Italia,
ad
esempio,
dove
le
elezioni
politiche
del
1948
segnarono
il
trionfo
della
Democrazia
Cristiana
e il
definitivo
allontanamento
dei
comunisti
e
dei
socialisti
dall’area
di
governo.
I
principali
paesi
dell’Europa
occidentale
(tra
cui
la
stessa
Italia),
che
avrebbero
in
seguito
iniziato
il
loro
cammino
verso
l’integrazione
europea,
furono
guidati
dagli
Stati
Uniti
nella
creazione
della
NATO
(North
Atlantic
Treaty
Organization,
1949),
un’alleanza
militare
che
avrebbe
dovuto
scongiurare
il
pericolo
comunista
con
una
difesa
reciproca.
Sempre
nello
stesso
anno,
in
una
Germania
occupata
dalle
forze
vittoriose,
nascevano
la
Repubblica
Federale
Tedesca,
in
mano
agli
Alleati,
e la
Repubblica
Democratica
Tedesca,
nella
zona
sovietica.
La
città
di
Berlino,
circondata
dalla
Germania
Est
ma
separata
al
suo
interno
da
quattro
settori
d’occupazione
(e
più
tardi,
nel
1961,
anche
da
un
imponente
muro),
sarà
il
simbolo
della
famigerata
“cortina
di
ferro”,
espressione
usata
da
Churchill
per
sottolineare
la
netta
separazione
del
continente
in
due
parti,
l’Est
e
l’Ovest.
Di
qui
la
formazione
dei
due
blocchi
contrapposti
intorno
ai
quali
si
polarizzerà
il
sistema
delle
relazioni
internazionali
nel
secondo
dopoguerra
e
fino
al
crollo
dei
regimi
comunisti,
avvenuto
alla
fine
degli
anni
’80.
In
seguito,
questo
sistema
della
guerra
fredda
(termine
che
entrò
nell’uso
comune
grazie
al
giornalista
americano
Walter
Lippmann)
si
estenderà
anche
fuori
dell’Europa,
dando
vita
a
due
“mondi”
ideologicamente
contrastanti:
quello
comunista
guidato
dall’URSS
e
quello
capitalista
e
democratico
guidato
dagli
USA.
Da
qui
anche
la
nascita
del
“Terzo
Mondo”,
termine
che
inizialmente
fu
identificato
con
il
movimento
degli
Stati
“non
allineati”
rispetto
ai
blocchi
raccolti
intorno
alle
due
superpotenze;
in
gran
parte
si
trattava
di
nuovi
paesi
usciti
dal
processo
di
decolonizzazione,
ma
non
mancarono
grandi
Stati
che
si
rifiutarono
di
entrare
nell’orbita
americana
o
sovietica
(basti
pensare
all’India
o
alla
Iugoslavia
di
Tito).
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