In occasione della
prossima pubblicazione della collana “Italia e
Russia”, curata da Michail Talalai per l’Accademia
russa delle scienze, presentiamo ai lettori di
InStoria la versione italiana del saggio sul
marchese Federigo Fagnani che sarà pubblicato in
russo all’interno della collana alla fine del 2007.
La vita del
marchese
Chi giudica dagli
effetti dia il bando alla prudenza ed alla ragione,
e commetta il governo di sé e delle cose sue alla
sorte.
(F. Fagnani –
Osservazioni sul governo dei filugelli)
Federigo nacque a
Milano l’8 novembre 1775 dall’unione di suo padre
Giacomo con Costanza Brusati dei marchesi di Settala
e fu il quinto marchese di Gerenzano, con lui si
estinse la linea maschile della famiglia. Nel 1794
ottenne una laurea in legge; suo maestro fu il
senese Angelo Maria Pannocchieschi dei conti d’Elci,
grande bibliofilo, da cui Federigo apprese con molta
probabilità la passione per i libri e la cultura.
Nella Milano
napoleonica il marchese ricoprì varie e importanti
cariche: nel 1805 fu ciambellano, poi consigliere di
Stato, nel 1807 cavaliere della Corona ferrea,
ordine istituito da Napoleone Bonaparte
con il
Terzo Statuto Costituzionale del 5 giugno del 1805,
al fine di
assicurare, attraverso contrassegni d'onore, una degna
ricompensa ai servizi resi al sovrano del Regno
italico tanto nella
carriera delle armi, che in quella
dell'amministrazione, della magistratura, delle
lettere, e delle arti,
e, infine, nel 1810
uditore del Consiglio di Stato (Per i cenni
biografici sull’autore cfr. Guido Fagioli Vercellone,
Fagnani, Antonietta [voce], “DBI”, Roma,
Istituto della Enciclopedia italiana, 1994, vol.
XLIV, p. 185).
Esperto di
coltivazione di terreni e d’economia campestre
scrisse alcuni saggi in merito: Notizia sulla
bigattaja padronale della Fagnana seguita da alcuni
cenni sui vantaggi di tali bigattaje, Milano,
Bernardoni, 1816; Osservazioni sul governo dei
filugelli, fatte nel corrente anno 1817, […]
con una lettera del medesimo sulla propagazione de’
pomi di terra nell’agro milanese, Milano,
Bernardoni, 1817; Errori e pregiudizi sopra la
sanità dei bigatti con alcune osservazioni relative
alla materia, Milano, Bernardoni,1818;
Osservazioni di economia campestre fatte nello stato
di Milano, Milano, Giusti, 1820.
Le sue Lettere
scritte di Pietroburgo correndo gli anni…
rappresentano
l’unico saggio a sfondo politico-sociale che Fagnani
scrisse. Le altre sue opere, tutte successive alle
Lettere, sono trattati d’economia
campestre o sull'allevamento di bachi da seta, insieme a
una traduzione degli Epigrammi di Marziale (Epigrammi
di m. Val. Marziale volgarizzati in rima e in
altrettanti versi da Federico Fagnani, Milano,
Bernardoni, 1827).
Non contrasse mai
matrimonio, né si conoscono i nomi di sue amate, se non
quello di Angela Pietragrua. L’unico nota a
riguardo, datata 26 dicembre 1814, si trova a
margine di una copia in possesso di Stendhal
dell’opera di L. Lanzi Historia pittorica
dell’Italia, in cui lo scrittore francese
lamenta di essere stato abbandonato dalla sua amante
Angela per il marchese Fagnani. Nel primo quaderno
rilegato dell’opera di L. Lanzi appartenuto a
Stendhal si trova a p. 23 la seguente annotazione:
“Quand
je vois ma maîtresse prête à m’abandonner pour M.
Fagnani parce qu’il est marquis, parce qu’il a
imprimé pour des raisons viles, ce qui me tue, c’est
la mort de mes illusions les plus chères. La vie
perd son prix à mes yeux. Voilà exactement ce qui
m’arrivait le 26 décembre 1814”. (Luigi
Lanzi, Storia pittorica della Italia dell'ab.
Luigi Lanzi antiquario della R. corte di Toscana,
Bassano, a spese Remondini di Venezia, 1795-1796).
Per dei cenni
biografici su Angela Pietragrua cfr. l’edizione del
diario di Stendhal Secondo viaggio in Italia
del 1811, disponibile nella versione digitale del
progetto “DigitaMi” della Biblioteca digitale di
Milano, www.digitami.it, in cui si trovano i
cenni biografici su Angela Pietragrua.
Stendhal descrive
inoltre la sorella minore di Federigo, Antonietta
(1778-1847), moglie di Marco Arese, nella
Chartreuse (alla fine del V capitolo del 1.
libro cfr. la nota dell’edizione a cura di Mariella
di Maio de La Chartreuse de Parme, Parigi,
Gallimard, 2003, p. 716) come una delle donne più
belle di Milano insieme all’amata Angelina (Per i
cenni biografici su Antonietta Fagnani cfr. Guido
Fagioli Vercellone, Fagnani, Antonietta cit.,
p. 183-185 e Paolo Colussi, Maria Grazia Tolfo,
Antonietta Fagnani in Arese Lucini, “Storia di
Milano”,
www.storiadimilano.it).
Alla sua morte,
avvenuta l’8 ottobre 1840, Federigo Fagnani lasciò
in eredità alla Biblioteca Ambrosiana di Milano più
di 23.000 volumi, circa 16.000 carte geografiche e
migliaia di disegni e stampe.
Parte del testamento
di Federigo conservato nell’Archivio storico
parrocchiale di Robecchetto è stato trascritto in
Giampaolo Cisotto, Giuseppe Leoni, Luisa Vignati,
Induno, Malvagio, cit., p. 34-36, per questo
motivo a lui è dedicata una sala delle Biblioteca.
L’ingegner Carlo Berra, amministratore del marchese,
ricevette l’incarico dagli esecutori testamentari,
di cui primo esecutore fu nominato il conte Giacomo
Mellerio, di provvedere alla consegna del materiale
alla biblioteca.
Nella relazione di
Carlo Berra è scritto: “ […] in quanto alle
incisioni in rame il loro numero oltrepassa le
sedicimila, che incorporate alle 44 mila già
possedute dall’Ambrosiana presentano un insieme
ragguardevole ed importante, e sommamente utili agli
studiosi di belle arti. I disegni consegnati sommano
a 4.320, e tanto tra le prime, quanto tra i secondi
riscontransi non pochi prezzi rari, di ottima
conservazione, e originali. Una piccola collezione
di medaglie, in metalli diversi, ed altri in piombi,
alcuni capi d’arte, e tra diversi reputati quadri
una testa rappresentante un antico filosofo d’
incomparabile pregio, ritenuta di Tiziano, ed un
bellissimo Salvatore coronato di spine, in mosaico,
con elegante corniciatura in bronzo di buon gitto”
(cit. in Pier Angelo Gianni, Don Federigo Fagnani,
ultimo marchese di Gerenzano,
www.gerenzanoforum.it)
Destinò inoltre molti
dei suoi beni a istituti religiosi, principalmente
alla Compagnia dei Gesuiti, e commissionò prima
della sua morte all’architetto Giulio Aluisetti il
progetto della chiesa di S. Maria delle Grazie di
Robecchetto (Laura e Angelo Vittorio Mira Bonomi,
La Chiesa di Santa Maria delle Grazie a Robecchetto,
Milano, Fondazione Primo Candiani, 2003, p. 4).
Del suo testamento
scrive Vincenzo Gioberti in Il gesuita moderno:
“Notissimo è il fatto
del Marchese Fagnani avaro, ambizioso, astuto,
pizzicante dell’incredulo e dell’ateista, epicureo
in morale e politica; […] Costui, venuto in fine di
morte, fece per indotta del conte Mellerio un
lascito di cinque sei milioni di lire da rassegnarsi
ai Gesuiti per fondare loro case e collegi con grave
danno degli eredi naturali” (Vincenzo Gioberti,
Il gesuita moderno, Losanna, Bonamici, 1847, t.
4., p. 466).
A Federigo sarebbero
succedute le sorelle Antonia e Maria Emily, che
finirono in causa. Il contenzioso durò
quarantaquattro anni e si risolse solo nel 1884 con
l’assegnazione dei beni immobili, con la cessazione
del diritto d’albinaggio del 1815, confermata
dall’art. 3 del Codice Italiano del 1865, ad Antonia
e quindi ai suoi eredi,
mentre i beni mobili furono divisi equamente tra gli
eredi di Maria Emily e quelli di Antonia (Nell’
Archivio storico Parrocchiale di Robecchetto sono
conservate delle lettere del conte Mellerio in veste
di esecutore testamentario).
Un anno prima del suo
viaggio a Pietroburgo, nel 1809, fu nominato
dall’imperatore Napoleone conte del Regno italico;
Flavio Fagnani, uno dei discendenti collaterali del
marchese, possiede una lettera originale di Federigo
Fagnani, datata 11 novembre 1809 e indirizzata al
Consigliere Segretario di Stato Antonio Strigelli,
in cui Fagnani ringrazia Strigelli per
l’onorificenza ricevuta con decreto del 10 ottobre
1809, a firma dell’imperatore Napoleone, e
recapitato a Fagnani il 26 ottobre 1809, per
ordine del Cancelliere Guardasigilli della Corona
Francesco Melzi d’Eril, di cui riportiamo la
trascrizione:
La lettera indirizzata
all’allora Segretario di Stato è uno dei pochi autografi
di Fagnani; il resto dell’archivio di famiglia,
confluito in quello dei Clerici, è andato distrutto
durante i bombardamenti della seconda guerra
mondiale, che non risparmiarono il palazzo di Milano
di corso Venezia, di proprietà della famiglia Arese.
Parte dell'archivio di famiglia è confluito in
quello della famiglia Clerici, in cui si trovano
alcuni carteggi privati di Federigo con amici.
I Clerici erano una
potentissima e ricchissima famiglia milanese con cui
i Fagnani si imparentarono varie volte tra il XVII e
il XIX secolo e che riuscì alla fine dell’800 a
reintegrare anche la parte di patrimonio della
famiglia Fagnani, estinta per il
ramo maschile con la morte di Federigo. (Cfr. Matteo Turconi Sormani,
Copreno: storia di un borgo tra clero, nobiltà e
popolo, Saronno, [s.n.], 2004).
A Milano l’unico
palazzo ancora esistente appartenuto ai Fagnani oggi
è di proprietà dei conti Ronzoni; si trova in via
Santa Maria Fulcorina (vicino alla Biblioteca Ambrosiana; lo
si identifica per lo stile barocchetto lombardo e
perché è adiacente a un ex oratorio, San Matteo alla
Banchetta, un tempo chiesa di famiglia.
Canzi, abile
affarista e politico, sfruttando la sua carica come
deputato del collegio, non dichiarò il suo
domicilio, così da non pagare l’intera somma dovuta.
Egli rivendette successivamente la chiesa di San
Giacomo e tutti i beni ecclesiastici di Gerenzano al
marchese Clerici, con un guadagno di oltre un milione
di lire.
Il politico potrebbe
essere stato un mero intermediario, che acquistò
per i Clerici su commissione. Negli atti di causa
conservati a Robecchetto è sempre indicato come
“acquirente”, solo in un documento del 1875 è
nominato come “affittuario dei tenimenti di
Gerenzano”.
Su Fagnani girarono
delle voci infamanti che lo accusarono di essere filoaustriaco dopo che Napoleone, adirato per
l’audacia del marchese, fece ritirare da tutte le
librerie del Regno la prima edizione di Lettere
scritte di Pietroburgo, apparsa nel 1812, alla
vigilia della Campagna di Russia. Napoleone
considerò un affronto personale la sconcertante
previsione fatta da Fagnani nel settimo capitolo conclusivo,
dell’invasione della Russia da parte dell’esercito
francese che si sarebbe conclusa con una disfatta
dei Francesi.
A Milano, dopo la
caduta di Napoleone, si trovavano due contrapposte
posizioni: quella del partito austricante,
sostenuto dalla nobiltà italiana e dall’alto clero,
e quella del partito francese, raccolto
intorno a Francesco Melzi d’Eril e al conte Giuseppe
Prina.
Durante la seduta del
Senato del 17 aprile 1814 i sostenitori di Melzi
d’Eril chiesero la votazione di una mozione per la
nomina di Eugenio di Beauharnais a re di un Regno
d’Italia indipendente. La mozione fu però
minoritaria rispetto alle due correnti prevalenti
che chiedevano, rispettivamente, un re italiano (in
alternativa che il trono fosse dato a Gioacchino
Murat), o il ritorno degli Austriaci.
Fagnani firmò un
documento insieme ad altri nobili per convocare i
Collegi elettorali, ma in nessuna fonte emerge che
fosse stato coinvolto nel massacro Prina. Il
marchese non auspicava il ritorno degli Austriaci, ma
anelava a poter affrancare la Lombardia dal giogo
straniero, come è confermato dai suoi scritti.
Il marchese parla
spesso nei suoi libri di una “comune Patria”, l’Italia e,
sorprendentemente, alla fine di uno dei suoi
trattati, fa delle considerazioni di carattere
politico e invoca il “bene dell’Italia” (Federigo
Fagnani, Notizia della bigattaja padronale della
Fagnana seguita da alcuni cenni sui vantaggi di tali
bigattaje, Milano, Bernardoni, 1816, p. 54).
Ha rispetto e
considerazione dei suoi contadini e si schiera
contro il latifondo e la riduzione dei contadini a
mera forza lavoro. Il marchese propone due metodi di
coltivazione e allevamento in cui i contadini
partecipano agli utili: uno in cui vige un sistema
di assoluta comunione di danni e profitti tra i
contadini e il padrone, che F. Fagnani preferiva,
l’altro basato sull’identificazione e la proprietà
per ogni singolo contadino all’interno di una
coltivazione comune (Ibidem, p. 52-53).
Nei suoi scritti si
dichiara favorevole al conferimento di denaro ai
contadini creditori; al momento della sua morte si
rivelò un possidente generoso con i suoi
lavoratori, predisponendo nel testamento rendite
vitalizie per i suoi contadini.
In Osservazioni di
economia campestre del 1820 parla infatti della
difficile condizione dei contadini:
“I contadini
costituiscono, a detta d’ogni uomo sensato, la
classe la più laboriosa, la meno proclive al vizio,
e la più utile della società, eppure con singole
contraddizioni e ributtante ingiustizia gente tanto
benemerita è negletta, vilipesa, ed anco trattata
con maggiore asprezza d’ogni altro ordine della
società.” ( Federigo Fagnani, Osservazioni di
economia campestre fatte nello stato di Milano,
Milano, Giunti, 1820, p. 204).
Il “bene dell’Italia”
ancora si ritrova tra le pagine di Notizia della
bigattaja, che si conclude con una interessante
riflessione di carattere politico-sociale, quasi un
incoraggiamento alla lotta per l’indipendenza:
“Molti già non si
reggono più co’ suggerimenti de’ loro ministri; e
quasi emancipati da questa specie di servitù,
vogliono vedere co’ propri occhi, pensare colla
propria mente, e governarsi secondo la propria e non
l’altrui volontà. […] Almeno potessimo dire in
nostra discolpa, che noi segnendo, benchè assai da
lontano, le pedate dei Cincinnati, abbandoniamo i
nostri campi e le cure domestiche, per pagare alla
patria il debito più sacro de’ nostri servigi, sia
nelle cose della milizia, sia nell’esercizio de’
pubblici uffici” (Ibidem, p. 56).
Il viaggio a
Pietroburgo
La città di
Pietroburgo, al dire di tutti gli stranieri, è una
delle città le più attraenti, le grandiose e le più
importanti. Qui si ritrova riprodotto in colori
tutto il lusso dell’Asia.
(Giuseppe Greppi,
Un gentiluomo milanese guerriero-diplomatico,
1763-1839)
Le Lettere scritte
di Pietroburgo, pubblicate per la prima volta
alla metà del 1812 (Federigo Fagnani,
Lettere scritte di
Pietroburgo correndo gli anni, Milano,
Bernardoni, 1812), sono il resoconto di un
viaggio fatto dal nobile milanese tra l’ottobre del
1810 e il marzo del 1811.
Lo stile utilizzato è
quello del romanzo epistolare, indirizzato a un
destinatario immaginario; la prima edizione è
composta da sei missive e corredata di una carta
della città e alcuni schizzi fatti dall’autore sul
sistema di riscaldamento in uso al tempo in
Russia.
Il libro, oltre a
presentare un interessante scorcio di vita sociale
della capitale russa, offre al lettore un’accurata
analisi della vita politica e amministrativa della
Russia ai primi dell’Ottocento.
Una seconda edizione
ampliata uscì nel 1815 (Federigo Fagnani, Lettere
scritte di Pietroburgo correndo gli anni,
Milano, Bernardoni, 1815), dopo il passaggio
dall’amministrazione francese a quella asburgica in
Lombardia; l’edizione del 1815 è costituita da due
tomi che contengono dieci epistole ciascuno,
corredate da note e da alcuni grafici in appendice.
Pietroburgo colpì
particolarmente il marchese Federigo che, come d’uso
nella gioventù nobile in Europa, ispirato dalla
tradizione del grand tour, aveva già
soggiornato a lungo, anche se non più giovanissimo,
in Francia e in Germania, visitando anche altri
paesi europei.
Partì con una nave
dalla Germania e raggiunse Stoccolma, proseguendo
sempre via mare per Waxholm, Granham,
circunnavigando le isole Åland, Ecker, Bomarsund,
fino a raggiungere la costa finlandese su un Sump,
tipica imbarcazione a vela svedese:
“ Il passaggio di
Stockolma ad Abo per mare si suol fare sopra certi
legni lunghi una trentina di piedi, stretti, e
muniti di vele altissime, i quali si chiamano
Sump, che somigliano alquanto alle barche
corriere del nostro Naviglio, che hanno un casotto e
mezzo” (Ibidem, p. 11).
Dopo un tratto di
strada percorso via terra, il marchese entrò in nave
a Pietroburgo dal “quartiere Wiburgo”, che
affacciava sul golfo di Cronstadt, l’attuale golfo
di Finlandia: la prima impressione della capitale
russa fu di magnificenza, mentre la sua nave si
avvicinava al porto.
Fagnani spiega al
lettore che la città sembra, agli occhi del
viaggiatore, ancora più imponente perché appare
improvvisamente alla vista dopo chilometri di
distese brulle e disabitate:
“Egli è per altro cosa
memorabile, che da Wiburgo infino a Pietroburgo, per
un tratto di paese di cento quaranta werste,
corrispondenti a ottanta miglia circa, non si
trovano nè città, nè terre, nè tampoco case (tranne
i poverissimi abituri dei Maestri di posta) ove
ricoverare, ove trovare vettovaglie, o soccorsi
d’alcuna maniera. Il paese, come parmi aver detto, è
ispido, deserto, e selvoso, che a mille miglia non
caderebbe mai in animo al viaggiatore di non essere
troppo discosto dalla Metropoli d’un vastissimo
impero. Ed io porto opinione, che questo accidente
giovi non poco a far comparire Pietroburgo e più
vaga, e più maestosa di quello, che per avventura
dovrebbe parere se vi si giungesse, come a Parigi,
attraverso un paese fertile, colto, ameno, copioso
di popolo, disseminato di città, di castella e di
ville ben fabbricate” (Federigo Fagnani, Lettere
scritte… cit., 2. ed., t. 1., p. 21).
Nella terza lettera
della I edizione F. Fagnani svela al lettore il
vero scopo del suo viaggio, che non è né una
missione diplomatica, né un viaggio di piacere,
“perché se così fosse sarei da un pezzo repatriato”:
il marchese ha il desiderio di vedere come vivono i
Russi di cui il suo amico, il generale Pavel
Petrovic Suchtelen, ovvero Paul von Suchtelen, a lui
accomunato dalla passione per i libri, probabilmente
gli ha a lungo raccontato (Federigo Fagnani,
Lettere scritte… cit., I ed., p. 65).
Per i cenni biografici
sul generale Suchtelen cfr. Сухтелен, Павел
Петпович, “Русский биографический словарь”, San
Pietroburgo, Obshestvennaja Zolza, 1932, t. 20., p.
207-208.
Fagnani cita più
volte il generale olandese come “generale S.” e lo
considera un “rispettabile amico” (Federigo Fagnani,
Lettere scritte… cit., II ed., t. I, p. 11).
È possibile che avesse appreso dal generale olandese
le paure e le anticipazioni di una probabile guerra
tra Francia e Russia (Federigo Fagnani, Lettere
scritte… cit., I ed., p. 144-155).
Lo scrittore ebbe
talmente tanto timore delle conseguenze in patria
che avrebbero potuto avere le sue affermazioni che,
invece di nominare esplicitamente Francia e Russia,
si limitò a parlare delle “relazioni politiche tra i
due grandi Imperi dell’Europa” (Ibidem, p.
144). Certo è che Fagnani ebbe una sconcertante
intuizione della Campagna di Russia in un periodo in
cui i motivi di dissenso tra Alessandro I e
Napoleone, dopo la pace di Tilsit del 1807,
cominciavano appena ad avvertirsi.
Dissentiamo perciò dal
giudizio di Giorgio Maria Nicolai (Giorgio Maria
Nicolai, Il grande orso bianco.
Viaggiatori italiani in Russia, Roma, Bulzoni,
1999, p. 252-253), per cui Fagnani non sarebbe
stato in grado di prevedere l’esito dell’imminente
scoppio di ostilità tra Francia e Russia; bisogna
considerare il contesto in cui lo scrittore
milanese, funzionario al servizio di Napoleone, viveva;
certamente non avrebbe potuto fare altrimenti che
attribuire tali previsioni di guerra ai generali
russi e, nella sua posizione di nobile del Regno
italico, fu costretto a esprimere una posizione
scettica circa una possibile sconfitta dell’esercito
francese in terra russa.
Nella I edizione il
marchese nomina oltre a Paul von Suchtelen un altro
generale russo di cui, per prudenza, scrive solo
l’iniziale e la finale del cognome, si tratta in
realtà del generale e conte Aleksei Andrevic
Arakcheev (граф Алексей Андреевич
Аракчеев), che nel 1810 si dimise dalla
carica di Ministro della difesa per diventare
Consigliere di Stato degli affari militari (Federigo
Fagnani, Lettere scritte… cit., I ed., p.
144).
“L’autore non
dissentiva dal parer de’ Russi, di cui qui ho fatto
parola; ed intanto ha fatto le viste di essere di
contraria opinione, in quanto ciò era indispensabile
per render pubblico senza manifesto pericolo un
giudizio di sì infausto presagio a chi volgeva già
nella sua mente il pensiero di trarre ad effetto
quella mal augurata impresa, ed il cui sdegno faceva
palpitare le persone in alte dignità collocate, non
che sbigottire i semplici privati” (Federigo
Fagnani, Lettere scritte… cit., II ed., t.
II, p. 275, nota 41).
La sorte è stata ad
ogni modo avversa all’autore perché, nonostante
abbia utilizzato tutte le accortezze necessarie per
poter rivelare nel suo libro l’”infausto presagio”,
Napoleone diede immediatamente l’ordine di ritirare
le copie delle Lettere da tutte le librerie
del Regno.
Per ciò che concerne
gli aspetti della vita di società, il marchese fu
particolarmente colpito dall’abitudine di recarsi
alle бания (Il marchese Fagnani è citato a
tal proposito in Eero A. Saarenheimo, Italialaisa
lisiä suomaliasien saunan historiaan, “Terveydenhoitolehti”,
1949, n. 3005, p. 39-40; 45), le saune pubbliche,
dei Petropolitani (Così chiama il marchese
gli abitanti di Pietroburgo, cfr. Federigo Fagnani,
Lettere scritte… cit., I ed., p. 52):
“Io ero perciò
inclinato a considerare quest’uso come una bizzarra
stravaganza fuori d’ogni ragionevolezza e perniciosa
alla sanità. Dopo avere per altro osservate le cose
da vicino, mi sono in parte ricreduto” (Federigo
Fagnani, Lettere scritte… cit., II ed., t.
I, p. 193-194).
Fagnani considerava
l’abitudine dei Russi di qualsiasi estrazione
sociale di andare alla sauna ogni sabato sana e
igienica, in un paese dal rigido inverno, “ove si
traspira poco” (Ibidem, p. 205). Secondo
l’autore lombardo anche il più povero dei мужик
sarebbe piuttosto morto di fame pur di non
rinunciare al tradizionale bagno del sabato.
Lo scrittore milanese
era convinto che i Russi fossero dei fedeli custodi
delle tradizioni, dei riti propiziatori e delle
antiche credenze popolari, come quella, ad esempio,
di celebrare l’ultimo dell’anno con ogni sorta di
divertimento fino all’alba del giorno dopo, così da
propiziarsi un periodo d’abbondanza e felicità nel
nuovo anno.
Lo scrittore milanese
seppe cogliere appieno lo spirito
libero che caratterizzava a quei tempi la nobiltà
russa di corte, restia alle convenzioni sociali e
alla rigida etichetta che provenivano dall’Europa
occidentale. Alla corte dello zar, in occasione
delle grandi feste come il Natale o il Capodanno,
era invitato anche il popolo, che poteva, oltre che
festeggiare, assistere alla cena dei reali.
I nobili russi non
avevano accettato di buon grado le regole di galateo
importate dall’Occidente, perché non sentivano tali
regole come proprie e al marchese Fagnani, attento
osservatore, questo particolare non sfuggì:
“[…] parmi aver notato
qualche divario tra le feste di Pietroburgo, e
quelle del nostro paese, e della Francia. In Italia
in fatti si balla con gran vivacità e brio; […].
Nella Francia invece, […] la maestria e la grazia,
con cui si balla congiunge col garbo, e colla
disinvoltura naturale di quel popolo, […]. Ma le
feste all’incontro di questo paese non sono né tanto
animate come le nostre, né vi spicca la perfezione
dell’arte come in quelle di Francia; e pare che si
balli piuttosto pel dovere di società e per moda,
che per piacere” (Federigo Fagnani, Lettere
scritte… cit., II ed., t. I, p. 217-218).
Per il nobile italiano
recarsi alla corte dello zar fu un’esperienza
indimenticabile; nel suo libro lo descrive come un
luogo in cui i molteplici popoli e le differenti
culture, che arrivavano a corte fin dalle remote
terre dell’Impero, avevano l’occasione di
incontrarsi e fondersi insieme in uno spettacolo
irripetibile agli occhi dello straniero. Secondo
l'autore era
proprio a corte che ci si poteva rendere
effettivamente conto di quanto potente e sterminata
fosse la Russia, con i suoi tanti popoli
assoggettati allo zar, le diverse lingue, religioni
e usanze.
In occasione del
Capodanno la corte, come abbiamo già detto, era
aperta a tutti i sudditi. “Il più vile plebeo vi è
ammesso come il personaggio d’alto affare, e tra
loro non vi è divario alcuno”; durante il
ricevimento dell’ultima notte dell’anno arrivavano a
esserci più di sedicimila invitati a corte (Ivi,
p. 223).
Fagnani descrive
nel capitolo dedicato alla festa di Capodanno lo
zar che si aggira disinvolto tra la folla, ridendo e
scherzando tra gente sconosciuta e di bassa
estrazione sociale. Ciò, a detta del marchese,
faceva onore non solo al sovrano, ma ai sudditi
stessi che, nonostante sgomitassero, spingessero e
scalciassero per vedere meglio i reali, erano capaci
di dimostrare lealtà e rispetto al sovrano (Ivi,
p. 224).
Il marchese Fagnani
era affascinato da una tale esplosione di colori in
cui lo sguardo può perdersi; l’autore lo paragona
nelle Lettere a un ballo in maschera dove in
realtà nessuno è mascherato:
“[...] ciò che rende
questa festa anche più singolare, si è miscuglio di
tante strane, e tra loro contrarie fogge di vestiti.
Cosacchi, Tartari, Calmucchi, Polacchi, Turchi,
Greci, Russi, Europei, Asiatici, tutti vestiti al
modo de' loro paesi, componevano un bellissimo ballo
in maschera, ove nessuno poteva dirsi mascherato." (Ivi,
p. 224-225).
In realtà Fagnani
fu invitato a passare la notte di Capodanno a
Pietroburgo nel 1810 in casa di Aleksándr L’vóvič
Nariškin, la cui moglie, Maria Dmitrievna,
principessa Naryškina, nata Maria Swiatopolk
Czetwertynska, fu, tra il 1806 e il 1813, l’amante
dello zar Alessandro I, a cui diede tre figli
illegittimi: Zenaida, Sophia ed Emanuel. Con molta
probabilità dalla casa di Nariškin si spostò a
palazzo insieme agli altri ospiti per proseguire i
festeggiamenti (Cfr. The Peerage.com, per l’albero
genealogico della famiglia Nariškin,
www.thepeerage.com/p5955.htm).
Lo scrittore milanese
cita inoltre nelle Lettere due italiani che
ottennero alla fine del Settecento notorietà nella
capitale russa: il conte Giulio-Renato Litta (Cfr.
Ottavio Pasquinelli, Due fratelli del patriziato
milanese alla corte degli zar tra la fine del XVIII
e l’inizio del XIX secolo, “Il Cristallo”, XLII, n.
3 (dicembre 2000), p.66-85) che, come Fagnani,
considerava i progressi fatti in così poco tempo
dalla giovane capitale russa strabilianti, nonché il
conte Marino Carburi (Federigo Fagnani, Lettere
scritte… cit., 2. ed., t. 1., p. 80. Per i cenni
biografici sul M. Carburi cfr. Sergio Chiogna,
Carburi, Marino [voce], “DBI”, Roma, Istituto
della Enciclopedia italiana, 1976, vol. XIX, p.
725-727), che fu l’unico a saper escogitare un
meccanismo per poter trasportare il materiale, del
peso di tre milioni di libbre, utilizzato dallo
scultore francese Etienne-Maurice Falconet per
realizzare, tra il 1776 e il 1778, la statua in
onore di Pietro il Grande voluta dalla zarina
Caterina II.
Sempre nel capito
dedicato alle feste divertente è
l’accenno ad alcuni giochi di parole tra la
pronuncia russa di alcuni termini e il
corrispondente suono italiano, come ad esempio
rana, per il termine рано, di mattina
presto (Federigo Fagnani, Lettere scritte…
cit., II ed., t. I, p. 220).
Nella lettera
conclusiva della II edizione il marchese illustra le
abitudini a tavola dei Russi, sottolineando come il
popolo russo abbia il vizio del bere più di
qualsiasi altra nazione civilizzata e come, ormai,
sulla tavola dei nobili russi sia possibile trovare
solo cibi della cucina francese (Federigo Fagnani,
Lettere scritte… cit., II ed., t. II, p.
203-235).
Nel decimo capitolo
conclusivo del primo tomo il marchese si sofferma
invece sulle fogge nel vestire e sui caratteristici
calessi aperti con cui gli abitanti di Pietroburgo
erano usi spostarsi per la città e fare delle
pericolose corse per le strade ghiacciate d’inverno,
a cui, spiega Fagnani al lettore, anche il
Ministro di Spagna, se pur attempato, non sapeva
sottrarsi (Federigo Fagnani, Lettere scritte…
cit., 2. ed., t. I, p. 232-235).
Il marchese non volle
perdersi neanche l’avvincente spettacolo della
pericolosa discesa dalle “montagne di ghiaccio”, uno
dei passatempi invernali più amato dalle Russe e dai
Russi, che consisteva nel gettarsi ad alta velocità
da cumuli di neve o ghiaccio con un rudimentale
slittino.
Le lettere scritte
di Pietroburgo sono un documento d’eccezionale
importanza per il modo in cui sono scritte e per
come Fagnani riesce, con un solo colpo d’occhio,
senza lunghe e noiose descrizioni di singoli
incontri di società, a trasmettere le sue
impressioni sulla vita nella capitale russa
all’inizio dell’Ottocento.
Il marchese serbò per
sempre un bel ricordo del popolo russo:
“[…] in nessuna parte
dell’Europa il forestiero è accolto con maggiore
urbanità, nè più festeggiato, che a Pietroburgo.
Sembra anzi, che gli abitanti di queste remote
contrade s’ingegnino col fare cortese accoglienza al
viaggiatore di ricompensarlo in certo modo de’
disagi del lungo e penoso viaggio.” (Ivi,
p. 215).
Vogliamo concludere
questo saggio con un’ultima citazione tratta dalla
Lettere in cui Fagnani è riuscito a
descrivere, con poche parole e con ben due secoli
d’anticipo, quello che la Russia sarebbe diventato durante gli anni della Guerra fredda, e a
cui, se ci è consentito dire, la Russia di oggi
forse ambisce a ritornare:
“[…] si fa palese come
i rapidi e veramente meravigliosi progressi de’
Russi verso ogni parte della civiltà sono
principalmente l’effetto delle incessanti cure del
Governo; cure, mercè le quali questo popolo potrà
salire un giorno a quella maggiore altezza di potere
e di gloria; cui sia mai pervenuta qualunque altra
nazione moderna” (Federigo Fagnani, Lettere
scritte… cit., II ed., t. II, p. 125).