N. 101 - Maggio 2016
(CXXXII)
Fabio
Fognini
Quando
il
talento
non
basta
di
Francesco
Agostini
Il
ligure
Fabio
Fognini
è,
al
momento,
il
più
grande
talento
tennistico
italiano.
Nella
ristretta
rosa
che
Corrado
Barazzutti
ha a
sua
disposizione
lui
è
senza
ombra
di
dubbio
la
prima
scelta:
giocatori
validi
come
Simone
Bolelli,
Andreas
Seppi
e
Paolo
Lorenzi
gli
sono
ampiamente
dietro
e
non
a
torto.
Fabio
Fognini,
da
un
punto
di
vista
strettamente
tecnico,
è un
tennista
completo
sotto
ogni
aspetto.
Il
dritto
è il
colpo
in
più
del
ligure:
solido,
potente,
preciso
sia
in
diagonale
che
in
lungolinea.
Anche
se
la
sua
postura
è
frontale,
come
viene
giocato
tipicamente
il
dritto
nell'era
moderna,
ciò
che
lo
aiuta
moltissimo
è il
baricentro
basso
e
leggermente
spostato
in
avanti.
Questa
sua
particolarità
gli
consente
di
avere
a
sua
disposizione
uno
dei
dritti
più
belli
del
circuito,
e
non
è
affatto
un
caso
che
Rafael
Nadal
abbia
definito
Fognini
come
'l'avversario
che
gli
ha
scagliato
contro
i
colpi
più
potenti'
Anche
il
rovescio,
giocato
rigorosamente
bimane,
è un
buon
colpo.
Chiaramente,
come
la
quasi
totalità
dei
tennisti
di
oggi,
vi è
uno
squilibrio
tra
i
due
fondamentali;
per
Fognini
il
colpo
dominante
è il
dritto,
ma
anche
il
rovescio
non
sfigura.
Siamo
a
livelli
molto
alti,
insomma,
e le
differenze,
anche
se
minime,
ci
sono.
Lo
stesso
discorso
si
può
fare
per
il
servizio.
Questo
colpo
viaggia
a
una
velocità
media
un
po'
bassina
per
gli
standard
di
oggi,
perché
và,
di
media,
intorno
ai
185
km/h.
Se
pensiamo
che
esistono
tennisti
che
hanno
servito
anche
a
252
km/h
e
che
la
media
è
comunque
sopra
i
200,
Fognini,
sotto
questo
aspetto,
si
colloca
appena
un
gradino
sotto.
Nulla
di
irrecuperabile,
figuriamoci:
l'azzurro
riesce
a
sopperire
a
questi
lievi
difetti
variando
molto
il
servizio
e
dandogli
effetti
in
kick.
Elencate
al
meglio
tutte
le
qualità
del
nostro
tennista,
veniamo
al
succo
della
questione:
perché,
Fabio
Fognini,
ha
vinto
così
poco?
Con
le
frecce
al
suo
arco,
Fabio
avrebbe
potuto
tranquillamente
stazionare
in
maniera
stabile
tra
i
top
ten,
e
invece
niente.
Avrebbe
potuto
dire
la
sua
su
uno
slam
importante
come
il
Roland
Garros,
giocato
sulla
terra
rossa
a
lui
congeniale,
e
invece
niente.
Qualche
soddisfazione
c'è
stata
in
doppio,
assieme
a
Simone
Bolelli,
ma
per
un
potenziale
campione
come
lui
questi
sono
solo
spiccioli.
Perché,
dunque?
Probabilmente
sarà
una
vecchia
storia,
sentita
e
risentita,
ma
la
mente
nel
tennis
ha
un'incidenza
di
più
del
50%
della
rendita
globale
di
un
giocatore.
In
effetti,
basta
guardarsi
in
giro:
Novak
Djokovic,
l'attuale
numero
uno
del
mondo,
non
ha
davvero
nessun
colpo
sopra
la
media.
Non
ha
quel
colpo
che
ti
fa
sobbalzare
sulla
sedia,
insomma,
non
ha
la
genialità
di
Federer.
Eppure,
Djokovic
vince
più
di
tutti.
Perché?
Perché
annienta
gli
avversari
col
suo
carattere,
li
batte
ancor
prima
che
loro
scendano
in
campo.
Gli
schiaccia
la
loro
mente.
Fognini
è
lontano
anni
luce
da
uno
come
Novak
Djokovic.
A
volte
in
campo
sembra
assente,
svogliato,
scontento.
Sembra
che
a
giocare
ti
faccia
un
favore.
Spesso
litiga
con
l'arbitro,
con
il
pubblico
e
con
gli
avversari.
Se
all'inizio
della
carriera
queste
bizzarrie
potevano
esser
prese
come
'ragazzate'
o
come
semplice
immaturità
dovuta
ai
pochi
anni,
sulla
soglia
dei
trenta
queste
cose
sono
semplicemente
inaccettabili.
Questo
è il
più
grande
e
letale
limite
di
Fabio
Fognini
che
ne
ha
compromesso,
purtroppo,
l'intera
carriera.
Certi
treni,
nel
tennis
come
nella
vita,
passano
una
volta
sola
e se
non
sei
capace
di
prenderli,
tanti
saluti.
Chi
perde,
però,
non
è
solo
Fabio:
perdiamo
tutti.
Perde
il
suo
allenatore,
che
forse
non
è
stato
in
grado
fino
in
fondo
di
gestirlo,
perde
la
squadra
di
Coppa
Davis,
perdono
i
suoi
familiari.
Ma
più
di
tutti,
chi
ci
rimette
è
l'Italia.