N. 101 - Maggio 2016
(CXXXII)
F.C. Internazionale
PARTE II - L’epopea della Grande Inter
di Francesco Agostini
I
veri
interisti
conoscono
la
formazione
della
Grande
Inter
a
memoria.
La
recitano
con
devozione,
come
se
fosse
il
rosario:
Sarti,
Picchi,
Burgnich,
Guarneri,
Facchetti,
Bedin,
Mazzola,
Suarez,
Jair,
Peirò,
Corso.
Pensando
al
calcio
di
oggi,
così
fisico,
violento
e
muscolare,
questa
squadra,
per
l’elevatissimo
tasso
tecnico,
mette
quasi
i
brividi.
La
formazione
del
‘mago’
Helenio
Herrera
era
semplicemente
di
un
altro
livello,
distante
anni
luce
da
tutte
le
altre
squadre
che
le
contendevano
il
primato.
L’Inter
di
Angelo
Moratti
era…
la
Grande
Inter.
Già
il
solo
nome
di
Giacinto
Facchetti
dovrebbe
incutere
reverenza
e
rispetto.
Facchetti
è
stato
colui
che
per
primo
ha
reinventato
l’idea
stessa
del
terzino,
passando
dalla
figura
statica
classica
a
quella
propositiva
e
mobile.
In
poche
parole,
Giacinto
Facchetti
è
stato
il
primo
prototipo
di
terzino
fluidificante,
reincarnatosi
poi
in
grandi
talenti
come
Antonio
Cabrini
o
Paolo
Maldini,
entrambi
eroi
della
Nazionale
italiana.
Uomo
a
modo
e
pacato,
Facchetti
era
amato
e
ammirato
da
tutti;
tifosi
e,
soprattutto,
avversari.
L’altra
faccia
della
difesa
era
Tarcisio
Burgnich,
se
vogliamo
un
calciatore
tatticamente
all’opposto
rispetto
al
compagno
Facchetti:
Burgnich
era
un
difensore
arcigno
e
coriaceo,
che
raramente
superava
la
linea
del
centrocampo.
Fu
uno
dei
punti
fermi
della
Grande
Inter
di
Herrera,
un
calciatore
silenzioso
e
ombroso,
ma
di
grande
affidamento;
i
più
lo
ricorderanno
per
un
rocambolesco
gol
nel
mondiale
messicano
del
1970,
nella
sfida
epica
Italia-Germania
(4-3).
A
centrocampo
Suarez
e
Mazzola,
due
calciatori
versatili
e
moderni
nel
senso
più
vero
della
parola.
Eccellenti
con
la
palla
al
piede,
grande
tecnica,
forza
fisica.
Nel
caso
di
Mazzola,
la
classe
gli
proveniva
direttamente
dal
padre,
essendo
un
figlio
d’arte.
Visto
con
gli
occhi
moderni,
ben
poche
squadre
di
oggi
potrebbero
permettersi
il
lusso
di
avere
Mazzola
e
Suarez
come
compagni
di
reparto;
ma
quelli
erano
gli
anni
sessanta
e,
fondamentalmente,
stiamo
parlando
di
un
altro
calcio.
In
attacco,
calciatori
del
calibro
di
Jair
e
Mario
Corso.
L’italiano
inventò
il
famoso
tiro
‘a
foglia
morta’:
in
poche
parole
Corso
riusciva
a
calciare
delle
punizioni
che
si
abbassavano
violentemente
sul
terreno,
come
una
foglia
morta
che
cade
dall’albero.
Il
suo
piede
sinistro
era
magico
e
riusciva
a
trasformare
in
gol
delle
punizioni
molto
complicate
da
un
punto
di
vista
tecnico,
quasi
impossibili.
Anche
Jair
non
era
affatto
da
meno:
un’ala
potentissima,
devastante,
con
una
grande
forza
fisica.
Non
è un
caso
che
vinse,
oltre
ai
numerosissimi
trofei
della
Grande
Inter,
anche
il
mondiale
del
1962
giocato
in
Cile.
Quanto
vinse
la
Grande
Inter
di
Helenio
Herrera?
I
numeri
sono
semplicemente
impressionanti:
tre
scudetti
(1962-1963,
1964-1965,
1965-1966),
due
Coppe
dei
Campioni
(1963-1964,
1964-1965)
e
due
Coppe
Intercontinentali
(1964
e
1965).
Da
capogiro.