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N. 111 - Marzo 2017 (CXLII)

BREVE STORIA DELLE TEORIE OCCIDENTALI SULLE CAUSE DEI TERREMOTI
 PARTE VI - SCIENZA E FILOSOFIA ILLUMINISTA

DI FRONTE ALL’IRRAZIONALITÀ DEL CAOS
di Niccolò Caramel

 

Il terremoto del 1703, devastante in molte parti d'Italia, in particolare a Roma, diede l’occasione all’anatomista italiano Giorgio Baglivi (1668-1707) di esporre le proprie idee sul fenomeno [Baglivi 1721]. Baglivi si basava sui modelli di Aristotele e Seneca, inoltre, in quanto anatomista e medico, venne influenzato anche dalla tradizione fisiologica: esistono vene e arterie sotterranee, simili a quelle che scorrono nelle braccia umane, ma percorse da fuoco, il quale è la causa dei terremoti. La presenza dei fuochi sotterranei, come in Athanasius Kircher, venne giustificata da Baglivi mediante l’azione di minerali – quali zolfo e bitume – infiammabili.


Nell’arcipelago greco, nel 1707, un terremoto fece sorgere dal mare un'isola vicino a Santorini, portando ad ulteriori riflessioni. Anton Lazzaro Moro (1687-1774) approfittò dell’occasione per sviluppare la propria concezione del fenomeno generativo della Terra riprodotta nel Dei crostacei e degli altri corpi marini che si trovano sui monti (1740). Ipotizzò l’esistenza di un fuoco centrale, circondato da una crosta spessa, a sua volta ricoperta di acqua. Il fuoco centrale spinge verso l’alto e fa abbassare la crosta in alcune parti, portando, mediante l’azione di eruzioni vulcaniche, allo sviluppo di continenti, isole e montagne. Alla fine del XVIII secolo venne così adottato un nuovo approccio alla spiegazione dei terremoti, che si delineava entro concezioni sulla genesi ed evoluzione della Terra. Le prime teorizzazioni si basavano sul racconto biblico della genesi terrestre, come possiamo notare nella Telluris Theoria Sacra di Burnet. Mentre Burnet si inseriva nella tradizione dei teorici plutonisti, sostenendo il sistema dei pyrophylacia e considerando il nucleo della Terra come solido e ardente, il geologo e naturalista sperimentale John Woodward (1665-1728) considerava il globo terrestre come una grande sfera d’acqua circondata da una crosta dura, dando così voce alla dottrina dei teorici nettunisti. Partendo dal dato biblico del diluvio universale e trovando le teorie di Cartesio e Burnet insufficienti per spiegare tale fenomeno, Woodward espose la propria ipotesi riabilitando il “sacro abisso” platonico ed esponendo il vulcanismo come fenomeno superficiale.


Negli stessi anni, il naturalista britannico John Ray (1627-1705) attribuì ai terremoti un ruolo fondamentale per la creazione della Terra, la quale si formò dal crollo di parti solide pesanti durante il caos primordiale, sino a formare un nucleo circondato da acqua. Durante questa fase i vapori e venti sotterranei causarono terribili terremoti, tali da provocare la fuoriuscita di montagne e terre dall’oceano. Allo stesso modo i fuochi sotterranei sfondarono la crosta sollevandola e crepandola, facendone emergere i vulcani [Ray 1692].


Il medico e naturalista tedesco Johann Gottlob Krüger (1715-1759) utilizzò l’esperienza dell’estrazione mineraria e della chimica sperimentale per spiegare le cause dei terremoti. Scritto in seguito alla richiesta del re prussiano di una perizia che spiegasse i continui incendi nelle miniere di carbone, il suo Geschichte der Erde in den allerältesten Zeiten (1746) propone lo sviluppo del pianeta suddiviso in tre fasi: in primo luogo la Terra era ricoperta d’acqua, la quale cominciò in seguito a bollire dopo aver preso fuoco e, infine, i terremoti portarono alla formazione di montagne, colline e valli. La causa dei terremoti venne spiegata anche ricorrendo all’auto-infiammazione di zolfo e altri materiali infiammabili, oppure in seguito all’espansione dell’aria riscaldata o per miscelazione della materia riscaldata con l’acqua.


Le varie teorie fin qui esposte sulla formazione del pianeta terrestre vennero analizzate nell’Histoire naturelle (1749) dal naturalista francese Georges-Louis Leclerc de Buffon (1707-1788), ma ampiamente criticate poiché assumevano un intervento diretto di Dio. Buffon pensava che la Terra avesse avuto origine dallo scontro tra una cometa e il Sole, dal quale si staccò un pezzo che in seguito divenne il pianeta terrestre. Nella sua concezione Buffon descrive la Terra come caratterizzata da un fuoco centrale e da vari focolai sotterranei, inoltre collega direttamente i vulcani ai terremoti. Grandi terremoti e il crollo delle montagne, però, sono solo cause secondarie, prive di un ruolo decisivo nell’evoluzione della Terra.


Due importanti avvenimenti modificarono la speculazione scientifica generale e provocarono uno spostamento, a livello concettuale, dal fuoco e dall’acqua, quali elementi determinanti il terremoto, all’elettricità. La teoria elettrica, pur trovando l’ampio consenso degli studiosi europei ai suoi esordì, venne presto sostituita. I terremoti dell'8 febbraio e dell’8 marzo 1749 di Londra e quello notato in varie parti d'Inghilterra il 30 settembre 1750, diedero luogo ad un nuovo tentativo di spiegazione. Gli studi riguardanti questi terremoti non rilevarono la presenza di alcun fuoco, vapore o fumo. Fallirono, di conseguenza, tutte le teorie che cercavano di attribuire le cause dei terremoti a venti sotterranei, incendi o esplosioni chimiche.


L’antiquario, naturalista e archeologico anglicano William Stukeley (1687-1775) fu il primo a proporre la possibilità dall'elettricità come causa dei terremoti. Assumendo, come postulato alla sua spiegazione, la mancanza di prove che giustificassero il pensiero comune secondo cui il sottosuolo è percorso da miriadi di grotte e gallerie sotterranee, egli suppose che l’interno della Terra fosse invece solido, con uno spazio esiguo per produrre esplosioni di portata tale da provocare estesi terremoti in superficie; giunse così alla conclusione che i terremoti fossero provocati da scariche elettriche. L'idea che i terremoti fossero causati dall’elettricità era comune anche in Italia e in Francia. Nel 1751 Andrea Bina cercò di spiegare l'origine dei terremoti mediante la concezione di scariche elettriche che si propagano, attraverso tunnel e grotte, tra varie cavità sotterranee piene d’acqua e rivestite di zolfo e pece [Bina 1751]. Secondo Giovanni Battista Beccaria (1716-1781), professore di fisica a Torino, l'argomento più importante per spiegare i terremoti come effetto dell’elettricità è la loro velocità di propagazione, fino a quel tempo inspiegabile. Beccaria evidenziò che durante l'eruzione del Vesuvio si possono osservare fiamme di luce, simili a fulmini, provenienti dall'interno della Terra e ed emesse fuori dal vulcano. Aggiunse che questi lampi possono essere osservati anche in molti terremoti, accompagnati da un frastuono simile ad un tuono [Beccaria 1758].


In Francia, per spiegare l’origine dei terremoti, venne avanzata una combinazione tra la teoria tradizionale del fuoco e del vapore con l’ipotesi innovativa dell’elettricità: secondo questa teoria l’elettricità fungerebbe da causa dell’infiammazione dei focolari di fuoco. Fu su questa ipotesi che Bertholon St. Lazare basò la sua proposta per proteggere intere regioni della Francia contro gli effetti dei terremoti utilizzando parafulmini.


Le sconvolgenti catastrofi sismiche avvenute nella seconda metà del Settecento, a causa della loro devastante azione distruttrice in antitesi con la razionalità armonica del secolo dei lumi e della comune concezione del mondo, furono l’occasione che permise a pensatori di varie discipline di ripensare la natura, Dio e l’uomo. Il dibattito tra gli intellettuali europei prese ispirazione da due imponenti eventi sismici che sconvolsero vaste regioni d’Europa e minarono alla base l’ottimismo razionale caratteristico del movimento Illuminista: il terremoto di Lisbona del 1755 e il terremoto di Calabria e Sicilia del 1783. I due eventi ebbero una grande eco poiché, nel periodo tra il 1730 e il 1760 circa, le premesse filosofiche del Seicento avevano trovato la loro maggiore espressione, rappresentando il moto intellettuale dominante del primo Settecento. Durante questo periodo il mondo era concepito razionalmente, come qualcosa che poteva essere migliorato anche attraverso la tecnologia. Gli eventi catastrofici della seconda metà del XVIII secolo non potevano non scuotere la coscienza degli intellettuali europei: l’autorevolezza della ragione decantata dall’illuminismo veniva a cozzare con la fragilità della condizione umana messa in luce da tali eventi catastrofici.


Il dibattito si sviluppò inizialmente attorno al tentativo di individuare l’origine del fenomeno del terremoto, tentativo dal quale derivarono, per via deduttiva, ipotesi cosmologiche e cosmogoniche. Queste cercarono di fornire delle spiegazioni generali del mondo, sì da giungere, appellandosi agli scritti degli antichi, ad una interpretazione fondata sulle cause del sisma. La questione fondamentale che il terremoto poneva era la necessità di conciliare la sua esistenza con «l’idea, comune a metà Settecento, di una natura ordinata secondo il meglio, spiegabile in base a cause misurabili e organizzata intorno a fini razionali» [Giacomoni 2004, p. 125]. Come era possibile che un ordine geometrico, creato da Dio, portasse latente in sé la possibilità della distruzione e del caos? Il terremoto di Lisbona poneva così uno dei quesiti che crearono maggior scompiglio. In generale, tutti i ragionamenti sulla natura, in questo periodo di grandi mutamenti, si rapportano con i concetti di equilibrio e disequilibrio. Come ricorda Augusto Placanica, un caposaldo della scienza del tempo era l’assioma della conservazione della continuità (uniformità tra causa ed effetto). Non essendo concepibile a quel tempo l’ipotesi di rifiutare una visione ordinata e armonica della natura, pensata come condizione dimostrativa necessaria della realtà stessa di Dio (ovvero della dimostrazione fisico-teologica della sua esistenza), ci si domandava come essa potesse implicare lo squilibrio senza deflagrare e senza smarrire il proprio significato a favore dell’«irrazionalità del caos» [Giacomoni 2005, p. 132]. Secondo Linneo la natura muove sempre seguendo una lineare continuità; per Leibniz la natura non fa mai salti, ma procede per gradi. In questa visione generale della natura, più o meno interiorizzata anche a livello di cultura popolare e non solamente nelle élite culturali europee, era necessario superare l’aporia natura-causa continua, terremoto-effetto discontinuo. Il quesito impegnò gli scienziati per quasi tutta la seconda metà del secolo, giungendo a risultati che non si esaurirono nella fisica naturale, ma che investirono anche l’uomo e la sua reale importanza all’interno del cosmo e, di conseguenza, l’etica dell’azione divina.


Il terremoto assumeva un senso se inserito all’interno di una visione unitaria del Tutto, composto, in egual misura, da mali e da beni. Nella concezione comune il terremoto passava così da evento catastrofico dominato dal caos, a principio di ordine e di compensazione, riuscendo in questo modo a contemplare la «possibilità di far rientrare nel disegno razionale divino anche ciò che presenta un aspetto distruttivo» [Giacomoni 2005, p. 15]. Sotto questa luce, il terremoto smetteva di assumere la valenza di punizione divina – riappacificando la teologia e la morale con la fisica – e il mondo, seguendo Buffon, si mostrava in incessante metamorfosi, una metamorfosi i cui movimenti non sempre sono pacifici. Il dato fondamentale che emerge è che il Tutto non viene guidato dal caos, ma segue leggi determinate e si muove seguendo un ordine che l’uomo, se ne accetta l’assunto, ha la possibilità di vedere: l’ordine naturale non è fisso e costante, ma presuppone dei mutamenti anche rapidi e inaspettati, ai quali non deve essere attribuito un significato sconvolgente. Certamente anche la circolazione delle idee newtoniane ebbe un effetto sulla concezione non solamente kantiana e leibniziana, ma anche buffoniana e linneiana di una natura formata da opposti, da un sistema di forze attrattive e repulsive che permettono di mantenere il mondo in un equilibrio stabile e dinamico.


Anche se dal punto di vista della teoria fisica non vennero sviluppate grandi innovazioni rispetto al passato, il terremoto di Lisbona fu importante per il dibattito etico e morale riguardante la condizione umana e il rapporto con Dio. Il Kant della fase pre-critica sembrava aderire al “migliore dei mondi possibili” di Leibniz, trovando però degli elementi contrari a questa visione dal punto di vista naturale: esistono aspetti che sfuggono al controllo, aspetti che non era ancora in grado di spiegare. La natura è indifferente all’uomo e quindi egli non si trova al suo vertice, ma ne è solamente una parte. Inizia a svilupparsi una concezione della natura non armonica e benefica, ma composta di eventi drammatici.



 

 

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