N. 106 - Ottobre 2016
(CXXXVII)
breve
storia
delle
teorie
occidentali
sulle
cause
dei
terremoti
parte
i -
l'eziologia
sismica
nell'antichità
classica
di
Niccolò
Caramel
Fin
dagli
albori
della
nascente
filosofia
greca
il
tema
dei
terremoti
è
stato
osservato
e
teorizzato,
cercando
di
dare
una
spiegazione
scientifica
di
un
fenomeno
che
per
secoli
era
stato
considerato
come
una
sciagura
mandata
dalle
divinità
per
punire
gli
uomini.
Tale
teoria
non
si
estinse
mai
completamente,
ma
ritornò
in
auge
non
solamente
dopo
i
primi
tentativi
di
interpretazione
scientifica,
ma
continuò
a
circolare
fino
al
XIX
secolo
inoltrato.
I
primi
ricercatori,
in
accordo
con
l’impostazione
generale
della
loro
filosofia,
individuarono
la
causa
del
fenomeno
in
uno
dei
quattro
elementi,
nella
loro
compartecipazione,
oppure
nell’azione
dello
spirito
sottile.
Come
possiamo
leggere
in
Seneca:
«La
causa
di
questi
scuotimenti
terrestri
è
stata
individuata
nell’acqua,
nel
fuoco,
nella
terra
stessa,
nell’aria,
in
parecchi
di
questi
elementi,
in
tutti
insieme»
[Seneca
2004,
447,
[V]
(1)].
Teorie
legate
agli
elementi,
lontane
dall’essere
un
fenomeno
relegato
unicamente
all’età
classica
greca,
vennero
riprese
e
modificate
per
vari
secoli
a
venire.
Le
opere
dei
primi
autori
dell'antichità
classica,
che
teorizzarono
sulle
cause
naturali
dei
terremoti
già
dal
V
secolo
a.C.,
sono
andate
perdute.
Quello
che
sappiamo
su
di
esse
si
basa
sugli
scritti
di
Aristotele
[Meteorologia,
Libro
II]
e
Seneca
[Questioni
Naturali,
Libro
VI].
Mentre
Aristotele
cercava
di
creare
una
teoria
del
terremoto
da
sé,
Seneca
non
era
un
esperto,
ma
piuttosto
un
autore
qualificato
che
copiava
teorie
ricavate
da
varie
opere
greche,
al
fine
di
scrivere
il
capitolo
sui
terremoti
nelle
sue
Questioni
Naturali.
Furono
proprio
dei
devastanti
terremoti
che
diedero
motivo
ai
due
filosofi
di
cimentarsi
nella
teoria
sui
terremoti:
nel
373
a.C.,
quando
Aristotele
era
in
vita,
avvenne
il
più
famoso
e
devastante
terremoto
che
gli
antichi
greci
ricordano:
come
risultato
di
tale
catastrofico
sisma
la
città
di
Helice
sprofondò
nel
mare
e
quella
di
Bura
svanì
in
un
grande
buco.
La
distruzione
di
Pompei
ed
Ercolano,
invece,
ebbe
luogo
quando
Plinio
morì,
e
Seneca
ne
trasse
motivo
per
cimentarsi
nello
studio
del
fenomeno.
Il
primo
pensatore
di
cui
possediamo
una
testimonianza
teorica
sui
terremoti
è
colui
che
viene
comunemente
ritenuto
il
primo
filosofo,
Talete
di
Mileto
(circa
600
a.C.).
Questa
piccola
nozione
mostra
come
il
pensiero
sui
terremoti
accompagnò
la
disciplina
filosofica
fin
dalla
sua
nascita.
Talete
considerava
la
Terra
come
un
disco
o
una
nave
posata
sopra
l’acqua;
all’interno
di
tale
visione
il
terremoto
corrisponde
allo
scuotimento
del
disco
a
causa
di
temporanei
movimenti
dell'acqua.
A
verificare
la
veridicità
della
sua
intuizione
sottolineava
il
sorgere
di
nuove
fontane
dopo
ogni
sisma.
Talete
di
Mileto
ritiene
che
la
terra
intera
abbia
per
supporto
una
massa
liquida
sulla
quale
galleggia
[...]
Il
mondo,
dice,
è
sostenuto
da
questo
fluido
come
un
grande
vascello
pesante
sulle
acque
che
opprime
[449,
[VI]
(1)].
Seneca
delineò
un’altra
spiegazione
legata
all’acqua
che
si
differenzia
dalla
spiegazione
di
Talete,
la
quale
è da
attribuire,
come
suggerisce
Rossana
Mugellesi,
agli
stoici.
La
teoria
stoica
prevede
la
presenza
di
un
grosso
bacino
sotterraneo,
tale
da
spiegare
la
presenza
dei
numerosi
corsi
d’acqua
che
dalle
viscere
della
terra
escono
in
superficie.
Lo
scorrimento
dei
fiumi
sotterranei
provoca
lo
scontro
con
gli
ostacoli
incontrati
e,
in
conseguenza,
lo
scuotimento
della
terra.
Sembra
che
anche
Seneca
avesse
accolto
questa
teoria,
per
lo
meno
per
quanto
riguarda
la
possibilità
della
presenza
di
«un
qualche
lido
nelle
sue
profondità
nascoste» [455,
[VII]
(5)].
La
terra
non
basterebbe
a
portare
alla
superficie
tanti
corsi
d’acqua,
se
essa
non
li
effondesse
da
una
riserva
anche
considerevole.
Se
ciò
è
vero,
è
necessario
che
talora
lì
un
fiume
cresca,
debordi
e si
getti
con
violenza
sugli
ostacoli
che
incontra;
ci
sarà
di
conseguenza
uno
scuotimento
nella
parte
della
terra
alla
quale
il
fiume
ha
dato
l’assalto
e
che
colpirà
finché
non
decrescerà
[449,
[VII]
(3-4)].
Lo
Stagirita
non
parla
della
teoria
di
Talete,
anche
se
sembra
incredibile
supporre
che
non
ne
fosse
a
conoscenza;
nella
Meteorologia
elencò
le
concezioni
formulate
al
suo
tempo
e ne
possiamo,
così,
constatare
l’assenza:
Tre
sono
le
teorie
avanzate
fino
ad
oggi,
e da
tre
fisici:
Anassagora
di
Clazomene,
e
prima
di
lui
Anassimene
di
Mileto,
per
ultimo
Democrito
di
Abdera
[Aristotele
2003,
107,
(365a)].
Tralasciando,
ma
non
trascurando
la
questione
dell’assenza
della
teoria
di
Talete,
leggiamo,
nel
proseguo
della
Meteorologia,
come
Anassimene
(seconda
metà
del
VI
secolo
a.C.)
propose
una
teoria
dei
crolli
che
collima
piuttosto
bene
con
le
aree
calcaree
dell’Asia
Minore
e
con
la
loro
moltitudine
di
caverne.
Aristotele
evidenziò,
in
risposta
a
questo
parere,
che
dovrebbe
essere
possibile
osservare
la
terra
affondare
in
molti
luoghi,
soprattutto
in
quelli
con
caratteristiche
simili.
Anassimene
afferma
che
la
terra,
inumidendosi
e
disseccandosi,
si
spacca,
e
quindi
viene
scossa
dalla
caduta
delle
falde
che
si
staccano,
perciò
i
terremoti
si
verificano
nei
periodi
di
siccità
e
poi
di
grandi
piogge:
nei
periodi
di
siccità
infatti,
come
si è
detto,
la
terra,
disseccandosi,
si
spacca,
e,
quando
è
invece
troppo
imbevuta
d’acqua,
si
spacca
[109,
(365b)].
Anche
Seneca
riportò
la
teoria
di
Anassimene,
dichiarando
che
la
causa
degli
scuotimenti
sia
da
ricercare
nella
“terra”
stessa,
in
particolare
nel
crollo
di
alcune
parti
all’interno
del
suolo
terrestre,
che
si
staccherebbero
dal
soffitto
di
qualche
caverna
sotterranea
e
andrebbero
a
sbattere
contro
la
base,
causandone
lo
scuotimento.
Il
fenomeno
sarebbe
causato
dell’azione
violenta
di
acqua,
fuoco,
aria,
e,
soprattutto,
dal
tempo
che
agisce
logorando
la
stabilità
dei
corpi:
Il
tempo
rovina
ogni
cosa:
niente
è
immune
da
vecchiezza;
essa
colpisce
anche
i
corpi
massicci
e
pesanti.
[...]
nel
corpo
che
forma
l’insieme
della
terra
accade
che
a
causa
dell’età
alcune
parti
si
separino
e,
disgregandosi,
cadano
e
facciano
tremare
gli
strati
superiori
[Seneca
2004,
461,
[X]
(1-2)].
Plinio
il
Vecchio,
come
Aristotele
e
Seneca,
riprese
le
teorie
di
Anassimene;
nel
Libro
II
della
Storia
naturale
gli
attribuì
una
dote
divinatoria
e la
rapportò
alle
dottrine
babilonesi
riguardanti
lo
studio
sull’influenza
degli
astri:
Le
dottrine
Babilonesi
ritengono
che
anche
i
terremoti
e
gli
sprofondamenti
del
suolo,
come
ogni
altra
cosa,
siano
guidati
dagli
influssi
degli
astri,
e in
particolare
di
quei
tre
cui
viene
ascritta
la
folgore;
ciò
avverrebbe
però,
quando
essi
si
muovono
insieme
al
sole,
o
sono
in
congiunzione
con
lui,
e in
particolare
verso
le
quadrature
celesti.
In
questo
campo
si
attribuisce,
se
lo
crediamo,
una
gloriosa
e
imperitura
capacità
divinatoria
allo
scienziato
Anassimandro
di
Mileto;
egli,
si
raccontava,
avvertì
gli
Spartani
di
controllare
la
città
e le
case,
perché
era
imminente
un
terremoto;
ed
ecco
che
tutta
la
città
loro
fu
rasa
al
suolo
e
una
grossa
parte
del
monte
Taigeto,
che
sporgeva
a
mo’
di
poppa,
si
staccò
e
schiacciò
quel
disastro
con
un
crollo
supplementare
[Plinio
1982,
325-327,
[191]
(81)].
Anassagora
(500-428
a.C.)
trovò,
invece,
la
causa
dello
scuotimento
nell’etere
che
entra
nella
Terra.
Presupponendo
la
sfericità
del
pianeta,
con
la
parte
inferiore
che
poggia
sull’etere,
motivò
il
fenomeno
assumendo
che
l'etere,
essendo
il
più
leggero
di
tutti
gli
elementi,
fluttui
verso
l'alto;
se
lo
strato
superiore
della
Terra,
che
per
sua
natura
è
completamente
poroso,
si
unisce
in
conseguenza
alle
piogge,
l'etere
cercherà
di
uscire
forzatamente,
causando
un
terremoto:
«Anassagora
afferma
dunque
che
l’etere
per
sua
natura
si
porta
verso
l’alto,
ma,
irrompendo
nelle
parti
inferiori
e
nelle
cavità
della
terra,
la
muove
[...]»
[Aristotele
2003,
107,
(365a)].
Gran
parte
degli
autori
antichi
sosteneva
la
dottrina
incentrata
sull’aria
quale
elemento
causante
il
terremoto.
Gli
stessi
Seneca
e
Aristotele
seguirono
questa
corrente,
ma
anche
Archelao,
Teofrasto,
Stratone,
Callistene
e
Diogene
di
Apollonia.
Archelao
(V
sec.
a.C.),
il
primo
ad
indicare
l’aria
come
causa
del
fenomeno,
propose
la
seguente
spiegazione:
I
venti
s’introducono
nelle
cavità
della
terra.
Quando
poi
l’aria
ha
riempito
tutti
gli
spazi
e ha
raggiunto
il
massimo
grado
di
condensazione,
la
corrente
che
sopravviene
comprime
quella
già
presente,
la
urta
e
con
i
suoi
ripetuti
colpi
dapprima
l’ammassa,
poi
la
respinge.
Allora,
cercando
di
farsi
posto,
l’aria
compressa
elimina
ciò
che
la
stringe
e si
sforza
di
spezzare
gli
ostacoli.
Così
accade
che,
in
seguito
della
lotta
dell’aria
in
cerca
di
fuga,
la
terra
si
metta
a
tremare
[Seneca
2004,
463,
[XII]
(1-2)].
L’ultimo
pensatore
citato
da
Aristotele
è
Democrito
di
Abdera
(
460-371
a.C.).
Egli
riteneva
che
la
causa
del
tremore
tellurico
dovesse
essere
ricercata
nelle
forti
precipitazioni
unite
con
l’acqua
racchiusa
all'interno
della
terra:
Democrito
dice
che
la
terra,
essendo
piena
di
acqua,
viene
mossa
da
essa
quando
riceve
una
notevole
quantità
di
acqua
piovana:
infatti
poiché
tale
quantità
risulta
superiore
alle
possibilità
di
ricezione
delle
cavità
della
terra,
facendo
pressione
provoca
il
terremoto;
e
ancora,
la
terra,
disseccandosi,
fa
riversare
dai
luoghi
pieni
a
quelli
vuoti
l’acqua,
che,
irrompendo
nel
cambiar
luogo,
provoca
i
movimenti
[Aristotele
2003,
109,
(365b)].
Aristotele,
dopo
aver
segnalato
l’inattendibilità
delle
teorie
precedenti,
fornì
la
propria
spiegazione
dei
terremoti,
concependo
la
Terra
come
corpo
dinamico
e
individuandone
la
causa
nell’effetto
delle
due
esalazioni,
dal
secco
e
dall’umido:
Poiché
è
evidente
che
di
necessità
si
produca
esalazione
sia
dal
secco
che
dall’umido
[...]
è
necessario
che
i
terremoti
siano
un
effetto
di
queste
due
esalazioni.
La
terra
è
infatti
in
sé
secca,
ma
poiché
contiene,
a
causa
delle
piogge,
una
grande
quantità
di
umido,
quando
è
riscaldata
dal
sole
o
dal
calore
in
essa
contenuto
produce
una
grande
quantità
di
soffio
sia
all’interno
che
all’esterno;
ed
esso
o
penetra
interamente
all’interno,
o si
effonde
all’esterno,
o si
distribuisce
in
entrambe
le
direzioni.
[111,
(365b)].
Per
spiegare
il
fenomeno,
lo
Stagirita
ricercò
il
corpo
maggiormente
capace
di
produrre
il
movimento
terrestre,
ovverosia
il
corpo
che
si
muove
per
natura
con
«impeto
maggiore»
e,
quindi,
il
più
forte,
avendo
«la
massima
forza
d’urto
per
la
velocità»;
questi,
inoltre,
deve
essere
il
più
rarefatto,
per
passare
attraverso
gli
altri
corpi.
Ritrovò
tali
caratteristiche
nel
“Soffio”,
cioè
il
vento
che
si
produce
per
riscaldamento.
È il
Soffio
ad
essere
la
«causa
del
movimento,
[...]
non
l’acqua,
non
la
terra»,
ed è
questo
a
causare
lo
scuotimento
«quando
l’esalazione
esterna
si
dirige
all’interno
della
terra»
[111,
(365b-366a)].
Nel
momento
in
cui
l’esalazione
secca
si
infiamma,
inoltre,
avvengono
i
fenomeni
vulcanici,
ovvero
un’esplosione
di
aria
secca
che
erutta
materiale
incandescente.
Il
Soffio
che
entra
ed
esce
velocemente
dalla
terra,
provocandone
il
movimento
«quando
non
trova
più
spazio
per
espandersi»
e
dovendo
sforzarsi
di
«passare
per
una
stretta
uscita»
[111,
(365b-366a)],
è la
concezione
che
rimarrà
valida
fino
al
Novecento,
secolo
nel
quale
sarà
sviluppata
la
teoria
sismica.
La
teoria
secondo
cui
il
terremoto
consisterebbe
in
un
fenomeno
che
sconvolge
la
zona
della
crosta
terrestre,
mediante
la
percussione
delle
masse
dell’aria
prodotte
dallo
scontro
con
essa,
venne
riportata
anche
da
Seneca,
che
la
attribuì
sia
ad
Aristotele
sia
a
Teofrasto.
Alla
medesima
scuola
di
pensiero
Seneca
vi
conferì
anche
la
dottrina
di
Stratone,
attribuendo
però
al
“freddo
e al
caldo”
l’azione
che
i
suoi
precedenti
rintracciavano
nel
“secco
e
umido”.
Callistene
e
Diogene,
infine,
spiegavano
lo
scuotimento
con
l’azione
dell’aria
che
entra
nelle
fessure
della
Terra
create
dall’erosione
dell’acqua,
la
quale,
poi,
blocca
l’uscita
all’aria
provocando
le
scosse.
Esponente
dello
stoicismo
di
età
imperiale,
Seneca
si
pose
in
linea
con
la
scuola
di
pensiero
del
più
antico
ellenismo,
inserendosi
in
una
visione
etica
e
religiosa
del
cosmo.
Prendendo
le
sue
teorie
da
Aristotele,
Platone
e
Plinio,
egli
aveva
come
scopo
la
spiegazione
dei
fenomeni,
non
solamente
la
loro
enumerazione.