arte
MANET LO SCANDALOSO
UN’EVOLUZIONE PITTORICA ATTRAVERSO LE
DONNE
di Laura Campagna
Edouard Manet, pittore che fece da
premessa all’Impressionismo, è da sempre
considerato come “provocatore” per la
riproduzione di nudi femminili in temi
come la prostituzione e la sessualità.
Questi ultimi vengono presi da Manet e
trasposti cromaticamente su tela con
carattere narrativo, raccontando questo
universo reale, conosciuto dalla società
borghese (nei luoghi e riti che vi
consumavano) ma reso nascosto poiché
ritenuto “moralmente indegno”.
Luoghi come l’ambiente che ci presenta
nel quadro Olympia (1863), il
quale nome era tipicamente usato tra le
cortigiane, anche per questo un quadro
legato alla parola “scandalo”. Una
stanza dai dominanti toni scuri che si
contrappongono a quelli chiari della
modella – nonché musa di Manet –V
ictorine Meurent, soggetto di un
rovesciamento iconografico rispetto al
tema classico della Venere di
Tiziano, poiché raffigura una prostituta
elevata a icona di bellezza moderna resa
evidente da oggetti di uso quotidiano
nell’attività della donna: l’orchidea,
il nastrino, il bracciale e le
pantofole.
Olympia, olio su tela, 1863,
Parigi, Musée D’Orsay
Un ammasso di macchie che è il mazzo di
fiori, inviato a Olympia da un cliente,
insieme al simbolo di lussuria quale il
gatto nero, confermano ulteriormente la
condizione della donna. Un dettaglio,
precisamente la mano che Olympia porta
sul pube per equilibrare il visibile e
il nascosto, è una scelta di Manet per
omaggiare e rendere rivoluzionario il
gesto, gridando che la femmina è
sensuale non solo in chiave mitologica,
ma anche nei momenti che i “moralisti
benpensanti” a cui viene mostrata la
realtà passano effettivamente con le
loro cortigiane.
Vediamo come il pittore si appassiona
allo studio della luce e a una tavolozza
chiara a partire dal 1870, tecniche
dell’Impressionismo, di cui lui non fece
parte ma che contribuì a formare.
Visibile è, questo cambiamento, nel
dipinto Davanti allo specchio
(1876), in cui si afferma sulla tela la
cosiddetta “Nanà” (1877), nome di una
ragazza che, nel romanzo
L’ammazzatoio di Zola (inizialmente
sostenitore di Manet), decide di
intraprendere la vita da prostituta
denunciando così la falsità dei rapporti
della Parigi perbenista, a differenza di
Manet che in un quadro dedicato a lei,
attraverso un’atmosfera dai toni bianchi
e azzurri, rende la scena giocosa quasi
domestica, distante dalla critica dello
scrittore che infatti si allontanerà
dalla sua amicizia.
Tornando al dipinto del 1876, Manet ci
propone una figura resa evidente dalle
sottili linee nere che fanno da confini
tra le forme sinuose e lo sfondo
colorato, un po’ nebbioso. Una presunta
Nanà che forse guarda gli occhi di un
uomo attraverso lo specchio, un suo
cliente, un amante. O forse è una sfera
privata in cui noi siamo i “guardoni”,
stiamo spiando una donna che contempla
se stessa: il suo corpo dalla pelle
lattea definito da pennellate larghe e
forti, abbracciata ancora per poco dal
corsetto che, con erotismo silente ma
intenso, viene lentamente slacciato come
vediamo dal nastro tirato dalla sua
graziosa mano. Una tela chiara ma
intrisa di passionalità.
Questo è un altro modo di intendere la
sensualità rispetto all’Olympia
(1863): non vi è il nudo, ma un
atteggiamento che ci lascia intendere la
vita della donna.
Davanti allo specchio, olio su
tela, 1876,
New York, Museum Solomon R. Guggenheim
L’evoluzione pittorica di Manet è
evidente ne Il Bar delle
Folies-Bergère (1881), ultimo lavoro
importante prima della sua morte, nel
quale convivono le suggestioni
impressioniste e la coerente scelta di
voler raccontare la vita reale:
pennellate ampie e solide per definire
la protagonista Suzon (non a caso vera
cameriera nel bar) e alcuni oggetti che
simboleggiano il suo legame con il mondo
della prostituzione, a cui viene
associato il colore spiccato delle
arance, che creano una natura morta, e
il bracciale.
Il bar delle Folies-Bergère, olio
su tela, 1881-1882,
Londra, Courtauld Institute Galleries
A differenza dei precedenti quadri,
Manet ci racconta la realtà attraverso
l’inumanità della donna: il suo sguardo
assente rispecchia la solitudine e la
lontananza dalla vivacità della folla,
visibile attraverso pennellate spezzate
di colore pertinenti sia lo specchio sia
la luce dei lampadari grazie a tocchi
vivaci di colori puri e chiari.
Non è più il nudo a fare scandalo, ma il
fatto di mostrare alla società la
propria immagine, fondere l’osservante
con ciò che egli stesso osserva.
L’espediente dello specchio ribalta
tuttavia la tradizionale concezione di
“arte come realtà”: in questo modo ciò
che teoricamente è vero viene presentato
come un semplice riflesso, mentre è
proprio il mondo della giovane a
trasformarsi in un’”immagine reale”, un
mondo, quello di Suzon, che rompe con
tutto quanto c’è di razionale, come
dimostra il riflesso della ragazza
volutamente spostato rispetto a dove
sarebbe stato corretto dipingerlo,
creando un incerto punto di vista.
In sintesi, un mondo in cui tutto è
lecito.
Riferimenti bibliografici:
G. Dorfles, A. Vettese, E. Princi, G.
Pieranti, Capire l’arte (dal
Neoclassicismo a oggi), Atlas,
Bergamo 2016.
F. Baumgart, Piccola storia dell’arte
(dalle più remote origini ai giorni
nostri), Oscar Mondadori, Milano
1976. |