attualità
LE FRAGILI FONDAMENTA DI EVERGRANDE
CINA E MERCATO IMMOBILIARE
di Gian Marco Boellisi
Tra le più assodate realtà del contesto
internazionale odierno, la scalata
politica, sociale ed economica della
Cina risulta a oggi un fatto innegabile.
Diventata in pochi decenni uno degli
stati più potenti e influenti del globo,
la Repubblica Popolare Cinese ha saputo
coniugare una rapida crescita economica
a un ineluttabile ascesa politica,
sfruttando anche il graduale declino
statunitense causato sia dalle lunghe
guerre contro il terrore in giro per il
mondo sia dalle cicliche crisi
economiche che hanno colpito il sistema
finanziario gobale.
Nonostante i grandi successi registrati,
il dragone cinese ha sempre temuto e
cercato di scongiurare con ogni mezzo le
possibili debolezze strutturali insite
nella propria economia. Per quanto
abile, nulla poteva essere fatto per
nascondere i problemi finanziari di
Evergrande, colosso immobiliare cinese
dal quale è dipesa largamente la
crescita economica degli ultimi anni.
Definita da alcuni analisti la “Nuova
Lehman Brothers”, il rischio del suo
fallimento circa un mese e mezzo fa ha
scosso tutte le borse del mondo
paventando l’ombra di una nuova crisi.
La questione tuttavia è ben più
complessa di un semplice sussulto
finanziario, motivo per il quale vale la
pena approfondire la questione in
un’ottica maggiormente politica.
Partiamo dalle premesse del problema.
Una larga fetta dell’economia cinese
odierna è fondata sul settore
immobiliare, il quale ricopre circa il
26% del PIL. Il mercato del mattone è
stato protagonista unico e indissoluto
sin dall’ultima crisi globale del
2008-2009, dove la crescita cinese
interna ha iniziato a percorrere ritmi
serratissimi.
Fu proprio durante questa crisi che le
esportazioni cinesi verso il mondo
esterno furono ridotte drasticamente.
Per questo motivo il governo di Pechino,
in maniera da sostenenere la crescita
interna, iniziò a sovvenzionare in
maniera molto pesante il settore delle
costruzioni, fornendo alle società edili
credito immediato e a basso costo, con
tassi di interesse impensabili in altre
zone del mondo. Qui fu commesso il primo
errore se vogliamo, vista la mancata
valutazione di fattibilità dei progetti
immobiliari e in ultima istanza delle
prospettive di rientro del finanziamento
concesso. Il credito risultava quindi
de facto a fondo perduto.
Dall’avvio di queste politiche, il
mercato del mattone è diventato
letteralmente uno dei traini
dell’economia cinese e la società più
importante di questo immenso castello di
carte è sempre stata China Evergrande
Group (CEG). CEG è una società di
investimento nel settore immobiliare che
opera in campo finanziario, ma anche in
quello della costruzione effettiva degli
immobili. Nel corso degli anni ha
costruito un impero in tutta la Cina,
aprendo cantieri in città di primaria
importanza come Pechino, Shanghai,
Guangzhou e Shenzhen.
La prima frenata di settore si è avuta
nel 2014, quando la domanda di terreni
edificabili ha subito un primo
rallentamento. Ed è proprio in questi
anni che si collocano i primi timori
dello scoppio di una bolla finanziaria
legata all’immobiliare, scongiurata
prontamente dal governo centrale cinese.
Bisogna arrivare al 2017 per registrare
i primi problemi di cassa ufficiali da
parte di Evergrande, i quali furono un
sintomo sistemico di un problema ben più
grande e strutturale. Nonostante ciò, i
problemi furono parzialmente superati,
con prestiti da parte di banche
pubbliche e anche vere e proprie
campagne di crowdfunding presso i
dipendenti e gli stessi compratori di
immobili, ai quali fu promesso di
riottenere dopo un certo periodo di
tempo il 25% in più del capitale
prestato. Il continuo accumulo di
crediti fu accompagnato costantemente da
una continua mala gestione degli stessi,
motivo per cui Evergrande proseguì
sempre più ad affondare in un oceano di
debiti.
Viste le problematiche apparentemente
senza freno del settore, nel 2020 il
governo di Pechino guidato da Xi
Jingping ha annunciato di voler porre il
controllo dello stato sull’indebitamento
delle società immobiliari. Questo
provvedimento rientra nella recente ben
più ampia politica di controllo
dell’industria privata cinese onde
evitare la sua deregolamentazione o
ancora peggio, almeno dal punto di vista
del governo, la sua eccessiva libertà
d’azione senza un allineamento alle
politiche dello stato.
Dall’avvio dei controlli Evergrande ha
provato a mostrare alle autorità una
situazione “in linea di risoluzione”,
cercando di appianare i propri debiti
tramite la vendità di immobili con
sconti vertiginosi e la cessione di
alcuni rami d’azienda. Tuttavia le
misure, apportate con troppo ritardo
rispetto alla gravità della situazione
in essere, non hanno portato all’effetto
sperato. Ciò è risultato in un finale
crollo delle azioni con relative
obbligazioni dal valore nullo.
Per rendersi conto della gravità della
situazione, anche le principali agenzie
di rating quali Standard&Poors e Moody’s
hanno declassato il rating di
Everglande. A ciò sono seguite
ovviamente le prime accuse di frode e di
insolvenza. La cosa che deve far
riflettere è che, per quanto nelle
ultime settimane si sia parlato di
Evergrande come caso unico e isolato, è
importante ricordarsi che il problema
del mercato immobiliare non è limitato a
una singola società, ma è esteso a tutto
un sistema di crescita viziato da
prestiti spazzatura e assenza di
standard finanziari di alcun tipo.
Per comprendere a pieno l’entità del
problema è opportuno scendere nei
dettagli del modus operandi di
Evergrande degli ultimi anni. La prima
cosa da sottolineare è che il mercato
immobiliare cinese non ha agito di
propria volontà ma è stato spinto a
muoversi in questa maniera dal governo
di Pechino stesso, il quale ha cercato
in tutti i modi di ottenere una crescita
elevata in ogni settore del proprio
paese.
I primi sostenitori di queste politiche
sono stati i funzionari locali, quali
amministratori di regioni e sindaci.
Infatti una delle fonti di introiti
maggiore da sempre per le casse locali
in Cina è la vendita dei permessi per la
costruzione sui vari terreni. Basti
pensare che nel 2020 i ricavi per le
vendite dei terreni nelle province
cinesi hanno rappresentato da soli la
metà delle entrate fiscali del paese.
Ciò ha portato in pochissimo tempo
all’esplosione dell’offerta di immobili,
anche quando ormai risultava palese che
il numero delle case costruite superasse
di gran lunga il numero dei potenziali
acquirenti delle stesse, creando enormi
quartieri fantasma senza alcuna anima
viva ad abitarvi.
A seguito dell’acquisto dei terreni,
Evergrande vi sviluppava progetti
immobiliari, i quali venivano venduti ai
vari clienti in giro per la Cina, per lo
più famiglie cinesi. Queste nella
maggior parte dei casi erano portate a
pagare una parte o addirittura
l’interezza dell’importo dell’immobile
completamente in anticipo, prima ancora
che lo stesso venisse realizzato e
consegnato. Quindi da un lato Evergrande
incassava capitali in anticipo,
dall’altra pagava fornitori con debiti
commerciali a breve termine oppure con
obbligazioni in valuta estera, le stesse
che recentemente hanno completamente
perso il loro valore.
Il meccanismo, all’apparenza perfetto,
si è inceppato quando a Pechino ci si è
resi conto di avere il settore
immobiliare soffocato interamente dalla
morsa dei debiti e che per anni si è
alimentato uno sviluppo basato solo sul
credito bancario e non su una liquidità
effettiva. Sono stati così fissati dei
tetti massimi al debito concesso alle
società immobiliari, Evergrande in
primis. Nel 2015 le passività della
società ammontavano a circa 57 miliardi
di dollari, motivo per il quale essa
aveva iniziato a emettere obbligazioni
per auto-finanziarsi. Con queste nuove
restrizioni Hui Ka Yen, creatore di
Evergrande nel 1997 nonché uno degli
uomini più ricchi della Cina, ha visto
l’immenso castello di carte su cui si
fondava il suo impero tremare sin dalle
sue fondamenta.
Nonostante i problemi innegabili del
mercato immobiliare, la crisi di
Evergrande testimonia un problema ben
più radicato all’interno del sistema
economico cinese. Infatti i problemi
dell’economia di Pechino sono
paradossalmente sempre gli stessi da
innumerevoli decenni, ovvero un numero
spropositato di investimenti quasi a
fondo perduto senza alcuna valutazione
sul ritorno economico, scopertura
creditizia a medio e lungo termine,
ricorso al potere economico dello Stato
per risanare debiti accumulati nel corso
di anni e anni di politiche finanziarie
spregiudicate.
Al netto di tutto, il governo centrale
si è ritrovato di nuovo di fronte alla
fatidica scelta se salvare o meno il
colosso di turno in procinto al
fallimento. Per quanto di cattivo umore,
difficilmente Pechino lascerà al
fallimento Evergrande, rifiutando ogni
tipo di intervento analogamente a quanto
accaduto nel 2008 tra Washington e
Lehman Brothers. Questo sia per una
questione economica, volendo comunque
mantenere in vita un titano che ha
sempre attratto numerosi investimenti
anche esteri, sia per una questione
politica, non mostrando così la
debolezza strutturale della propria
economia agli occhi del mondo. Ciò è
stato dimostrato il 23 ottobre di poche
settimane fa, quando Evegrande è
riuscita a pagare la tranche di
interesse in scadenza di 83,5 milioni di
dollari rendendo possibile la riapertura
di molti cantieri ed evitando il default
tecnico della società.
La politica di Pechino allo stato
attuale è quella di ritardare
l’intervento statale il più possibile,
in maniera da impedire o al più
ritardare lo scoppio della bolla
finanziaria. A questo scopo è stata
iniettata liquidità da parte della Banca
Centrale Cinese per 18,5 miliardi di
dollari. Tuttavia il fine ultimo
sembrerebbe esser di gran lunga più
radicale che un appianamento temporaneo
dei debiti per poi riprendere le
medesime politiche finanziarie del
passato. Il governo cinese avrebbe
intenzione di effettuare un vero e
proprio “repulisti” di tutti quei leader
e manager di aziende private che per
anni hanno accumulato capitali immensi
al di fuori delle maglie di controllo
dello stato.
In quest’ottica di estrema necessità,
Evergrande è l’esempio perfetto per il
governo per dimostrare come politiche
imprenditoriali sprovvedute possano
portare a danni catastrofici non solo
per l’impresa in questione ma anche per
tutta la società cinese. Ovviamente in
questo tipo di retorica viene quasi
sempre omesso che questo tipo di azioni
siano state in parte avvallate dal
governo centrale, ma non è necessario
che venga detto esplicitamente. La cosa
è già ben nota.
A valle dei trattamenti economici e
creditizi di Pechino, Evergrande dovrà
essere una società con una crescita
controllata e prestabilita, senza avere
più sorprese con debiti o mancato
rispetto delle tranche sugli interessi.
Questo un’po’ anche per il timore che si
riviva qualcosa di similare al
fallimento del fondo Long Term Capital
Management, il quale nel 1998 portò a un
instabilità finanziaria elevatissima per
tutta la regione del Sud-Est Asiatico.
Uno dei grandi timori del caso
Evergrande è stato un contagio similare
a quanto avvenne nel 2008 con Lehman
Brothers, dove la crisi finanziaria si
diffuse nell’arco di un anno a tutto il
globo senza risparmiare nessuno stato.
Per quanto questo timore non sia stato
ancora cancellato del tutto, è altamente
improbabile che anche in caso di
fallimento avvengano le stesse dinamiche
del 2008, e questo ci viene detto dai
numeri. Evegrande allo stato attuale ha
un debito di 300 miliardi, mentre Lehman
Brothers ne avevauno di circa 600
miliardi al momento del fallimento. Di
questi 300 miliardi, Evergrande ne
deterrebbe solo 20 all’estero.
Dulcis in fundo, vi è da considerare che
il gruppo Evergrande non è neanche
lontamente connesso al sistema
finanziario internazionale così come lo
era Lehman Brothers. Secondo JP Morgan,
i prestiti del settore bancario del
gruppo CEG sono lo 0,2% dei prestiti
totali cinesi. Quindi un eventuale
fallimento di Evergrande causerebbe un
forte colpo di assestamento
all’instabile mercato immobiliare
cinese, ma non andrebbe oltre questa
soglia.
Infatti è importante ricordare che sia i
clienti sia i creditori e soprattutto
gli investitori di Evergrande sono per
la stragrande maggioranza cinesi. Vi è
inoltre da considerare una questione
puramente valutaria, ovvero che la
moneta della Repubblica Popolare, lo
yuan, rappresenta solo il 2,5% delle
riserve di valuta blogali, mentre il
dollaro primeggia ancora con oltre il
60%.
In conclusione, il caso Evergrande ha
scoperto la polvere sotto il tappeto di
un’economia tanto complessa quanto piena
di ombre quale può essere quella
dell’immobile cinese. Le sorti del
colosso del mattone cinese dividono gli
analisti in maniera netta. C’è chi
asserice che Evergrande sia uno di quei
classici casi di “too big to fail” e che
quindi il governo di Pechino deciderà di
intervenire più o meno direttamente in
maniera da riportare sotto il proprio
controllo questo cavallo imbizzarito del
sistema finanziario cinese. Dall’altro
lato invece c’è chi asserisce che ormai
non vi sia più niente da fare e che è
solo questione di tempo prima che
Evergrande fallisca definitivamente, con
tutto ciò che ne conseguirà per il
mercato cinese e anche internazionale.
Sta di fatto che, anche qualora
quest’ultima ipotesi debba verificarsi,
è altamente improbabile che si ripeta lo
stesso copione del 2008, banalmente per
il fatto che il mercato immobiliare non
comporta gli stessi rischi e i legami
degli asset puramente finanziari.
L’intera vicenda risulta essere comunque
una grande lezione per il governo
cinese, il quale ha ora finalmente la
prova che l’incoraggiamento a politiche
di crescita sfrenata senza alcun
controllo esterno possono portare sì dei
benefici nel breve termine ma a dei veri
e propri disastri nel lungo periodo.
Per quanto questa sia stata solo la
prima vera sfida per il presidente Xi
Jinping nella sua nuova politica della
“prosperità comune”, molte altre
attendono dietro l’angolo, negli esteri
in primis. Da qui si vedrà se le
promesse di Xi fatte al popolo cinese
sin dal suo insediamento nel 2013
avranno un futuro nella Cina di domani. |