N. 52 - Aprile 2012
(LXXXIII)
Evangelismo, Arminianesimo e Unitarianesimo
Tre vie che devono rimanere separate
di Lawrence M.F. Sudbury
“Un
cambiamento
teologico
è in
corso
tra
gli
Evangelici
così
come
tra
gli
altri
Cristiani
...
Questa
tendenza
è
cominciata,
credo,
a
causa
di
una
lettura
nuova
e
fedele
della
Bibbia
in
dialogo
con
la
cultura
moderna,
che
pone
l’accento
sull’autonomia,
la
temporalità
e il
cambiamento
storico”.
Così
inizia
uno
dei
libri
più
noti
del
Dr.
Clark
Pinnock,
un
rispettato
teologo
evangelico
arminiano
i
cui
testi
hanno
sollevato
un
grande
dibattito
nel
mondo
riformato.
È un
dato
di
fatto
che,
soprattutto
negli
Stati
Uniti,
stia
diventando
sempre
più
difficile
dire
che
cosa
un
evangelico
sia
o
non
sia.
Fondamentalmente,
dal
punto
di
vista
storico,
l’Evangelismo
americano
si
divide,
a
partire
dalla
metà
del
XVIII
secolo,
in
due
tradizioni
distinte:
quella
revivalistica
e
quella
riformatrice
(due
anime
già
insite
nel
senso
stesso
della
Riforma
del
XVI
secolo),
rivali
nel
momento
in
cui
la
corrente
riformatrice
ha
sviluppato
una
teologia
arminiana,
più
nettamente
antropocentrica
e
considerata
dai
suoi
detrattori
nulla
più
che
una
popolarizzazione
del
Calvinismo
classico.
È
interessante
notare,
però,
che
tendenze
analoghe
sono
presenti
oggi
anche
all’interno
della
leadership
teologica
evangelica.
Ancora
Pinnock
scrive:
“La
mia
impressione
è
[...]che
il
pensiero
agostiniano
stia
perdendo
la
sua
presa
sugli
attuali
Cristiani
[...]
È
difficile
trovare
un
teologo
calvinista
disposto
a
difendere
la
teologia
riformata,
comprese
le
opinioni
sia
di
Calvino
che
di
Lutero,
in
tutti
i
suoi
particolari
rigorosi.
[...]
Proprio
come
Agostino
era
venuto
a
patti
con
antico
pensiero
greco,
noi
stiamo
facendo
la
pace
con
la
cultura
della
modernità”.
Evangelismo
ortodosso
contro
Arminianesimo,
dunque?
Ma
cosa
significa
questa
distinzione?
Cerchiamo
di
chiarire
i
termini
della
questione.
Che
cos’è
un
evangelico?
Si
potrebbe
pensare
che
il
termine
“Protestante”
esista
da
molto
più
tempo
che
il
termine
“evangelico”,
essendo
quest’ultimo
spesso
associato
alla
“crociate”
e
all’evangelizzazione
televisiva
degli
ultimi
anni.
Tuttavia,
il
termine
“evangelico”
è il
più
antico
dei
due:
appare
in
manoscritti
medievali,
descrivendo
una
delle
qualificazioni
del
buon
predicatore
nella
sua
capacità
di
aderenza
al
Vangelo,
e
fino
alla
Riforma,
ha
una
connotazione
molto
vaga
che
va
dall’avere
un
sincero
amore
per
Cristo
al
possedere
zelo
missionario.
Quando
Lutero
arrivò
sulla
scena
il
termine
assunse
un
nuovo
significato,
passando
dall’essere
un
aggettivo
all’essere
un
sostantivo:
non
più
“evangelico”,
nel
senso
ambiguo
medievale
di
pio,
zelante
e
fedele,
ma
“un
Evangelico”,
nel
senso
di
una
persona
che
aderisse
ai
principi
della
Riforma.
Dopo
il
1520
un
Evangelico
era
una
persona
che
fosse
dedita
allo
studio
della
Scrittura
e
credesse
al
sacerdozio
di
tutti
i
credenti,
allo
smarrimento
totale
degli
esseri
umani,
alla
mediazione
unica
di
Cristo,
all’efficacia
della
Grazia
e
alla
finalità
dell’opera
redentrice
di
Dio
in
Cristo
mediante
elezione.
Insomma,
il
fulcro
di
tutto
questo
era
la
dottrina
della
giustificazione
per
sola
grazia,
mediante
la
sola
fede,
a
causa
di
Cristo
solo:
gli
evangelici,
quindi,
sia
Luterani
che
Riformati,
insistevano
che
questo
fosse
il
Vangelo
nella
sua
pienezza,
non
un
semplice
elemento
astratto
del
dibattito
dottrinale
su
cui
i
Cristiani
potevano
accettare
di
essere
in
disaccordo,
ma
il
cuore
del
Cristianesimo.
I
teologi
e
gli
storici
sono
concordi
nell’unità
originale
del
principio
formale
e
del
principio
sostanziale
della
Riforma,
il
primo
essendo
la
sufficienza
della
Scrittura,
e il
secondo
la
dottrina
della
giustificazione
per
sola
Grazia
mediante
la
sola
fede.
Solo
nella
progressiva
americanizzazione
della
fede
evangelica
si è
ritenuto
che
l’adesione
al
principio
formale
fosse
condizione
necessaria
e
sufficiente
per
definirsi
Evangelici.
Ma,
teologicamente,
il
vero
cuore
della
questione
rimane
nel
sistema
interpretativo
del
principio
sostanziale
ed è
a
questo
punto
che
entra
in
gioco
Arminio.
Jacobus
Arminius,
uno
degli
studenti
di
Beza,
fu
il
primo
a
decidere,
all’interno
della
Chiesa
riformata
olandese,
di
analizzare
diversamente
il
senso
dell’insegnamento
di
Paolo
al
capitolo
7
della
Lettera
ai
Romani,
interpretando
l’antropologia
cristiana
come
riferita
ad
un
essere
completamente
e
liberamente
rigenerato
dalla
fede,
laddove
i
Riformati
ortodossi
avevano
sempre
letto
l’immagine
della
vita
cristiana
come
riferita
ad
un
uomo
giustificato
e
peccatore
allo
stesso
tempo.
Soprattutto,
Arminio
fu
il
primo
a
negare
l’elezione
incondizionata,
sostenendo
che
Dio
prende
la
Sua
decisione
eterna
sul
destino
del
singolo
basandosi
unicamente
sulla
sua
prescienza
relativa
alla
fede
e
obbedienza
che
dimostrerà
il
Cristiano
e
non
per
libera
scelta
precedente
alla
sua
rigenerazione
per
fede.
Già
per
questo
l’intero
sistema
riformato
ortodosso
viene
completamente
negato.
Alla
sua
morte,
inoltre,
i
seguaci
di
Arminio
hanno
portato
le
affermazioni
del
teologo
alle
loro
più
estreme
e
logiche
conseguenze.
I “Remonstranti”,
come
venivano
chiamati,
hanno
presentato
la
loro
fede
in
cinque
punti
chiave:
1)
l’elezione
è
subordinata
(cioè,
determinata
dalla
fede
e
obbedienza
del
singolo
previste
da
Dio);
2)
l’espiazione
è
universale,
non
solo
destinata
ai
prescelti
ma
legata
alle
intenzioni;
3)
la
depravazione
umana
è
solo
parziale;
4)
la
grazia
è
resistibile
(posso
voltarle
le
spalle
coscientemente);
5) i
rigenerati
possono
perdere
la
loro
salvezza
se
compiono
azioni
malvagie.
Nella
pratica,
gli
Arminiani
hanno
da
sempre
negato
la
convinzione,
propria
della
Riforma,
che
la
fede
sia
un
dono
e
che
la
giustificazione
sia
una
questione
di
pura
dichiarazione
legale
nei
confronti
di
uomini
comunque
predestinati
alla
salvezza
o
alla
dannazione:
per
loro,
essa
deve
implicare
un
cambiamento
morale
nella
vita
del
credente
sulla
base
di
una
libera
scelta
di
coscienza.
Non
si
tratta
di
una
sottile
distinzione
teologica
per
pochi
studiosi
del
settore:
è un
salto
qualitativo
fondamentale,
che
nega
l’assunto
stesso
su
cui
si
fondano
i
“solas”
ortodossi,
inglobandoli
in
un
sistema
morale
più
ampio
ma
anche
reinterpretando
il
nucleo
di
significato
del
Calvinismo
classico
fino
a
mutarne
la
natura
in
qualcosa
di
radicalmente
nuovo.
Non
è,
dunque,
per
nulla
stupefacente
che
nel
1618-19,
il
Sinodo
di
Dort,
una
conferenza
internazionale
di
Chiese
riformate,
abbia
giudicato
i
Rimostranti
“eretici”:
semplicemente,
essi
non
si
ponevano
in
alcuna
continuità
con
la
Riforma
ortodossa
e
solo
una
visione
superficiale
della
teologia
può,
come
accade
in
numerose
Chiese
statunitensi,
forzare
Calvinismo
e
Arminianesimo
(in
seguito
alla
radice
di
gran
parte
del
Metodismo
e
della
“Via
Media”
anglicana)
in
uno
stesso
crogiuolo
sulla
base
del
loro
riferimento
comune
all’autorità
scritturale.
Purtroppo,
nello
stesso
crogiuolo
è
spesso
finito
anche
l’Unitarianesimo,
visto
da
alcuni
come
naturale
conseguenza
dell’assunzione
di
un
sistema
di
riferimento
morale
antropocentrico.
Dal
punto
di
vista
storico,
in
effetti,
sono
noti
i
legami
(in
vero
più
caritatevoli
che
teologici)
tra
Rimostranti
e
antitrinitari
Sociniani
allorché
questi
ultimi
furono
espulsi
dalla
Polonia
nel
1660
ed è
certamente
vero
che
ovunque
l’Arminianesimo
è
stato
adottato,
l’Unitarianesimo
ha
ben
presto
preso
sempre
più
spazio
tra
le
Denominazioni
liberali
(così
nei
Paesi
Bassi,
in
Europa
orientale,
in
Inghilterra,
e
nel
New
England).
Certamente
non
si
tratta,
però,
di
una
sorta
di
“piano
inclinato”
tale
per
cui
“se
si
accetta
x,
presto
si
abbraccerà
y”:
più
che
altro
risulta
piuttosto
chiaro
come
il
passaggio
da
un
messaggio
teocentrico
di
peccaminosità
umana
e
grazia
divina
a un
messaggio
antropocentrico
che
relativizza
il
ruolo
della
provvidenza
divina
possa
creare
una
visione
più
concreta
e
meno
centrata
sulla
totale
dipendenza
dalla
Grazia
di
una
Entità
totalmente
altra
rispetto
all’uomo
stesso.
In
altre
parole,
se
gli
esseri
umani
non
sono
così
malvagi,
forse
non
hanno
bisogno
di
un
piano
radicale
di
salvezza,
quanto
piuttosto
di
un
discorso
di
incoraggiamento,
di
una
ispirazione
che
indichi
loro
la
strada
e di
una
Grazia
che,
più
che
altro,
sia
utile
a
contrastare
gli
affetti
peccaminosi
dell’imperfezione
umana.
Naturalmente
nella
teologia
della
Riforma
le
cose
stanno
ben
diversamente:
gli
esseri
umani
non
hanno
bisogno
di
aiuto,
hanno
bisogno
di
redenzione,
non
si
limitano
al
bisogno
di
qualcuno
che
mostri
loro
la
via
d’uscita,
hanno
bisogno
di
Qualcuno
che
li
liberi
dalla
morte
spirituale
e
dalle
tenebre
e,
certamente,
il
passaggio
tra
questo
genere
di
“monoergismo
divino”
(Dio
solo
opera
per
la
salvezza
umana)
al
“sinergismo”
arminiano
(cioè
ad
un
lavoro
congiunto
di
Dio
e
uomo)
rende
l’Arminianesimo
più
prossimo
alla
teologia
unitariana.
Ma
prossimità
non
significa
per
ciò
stesso
consonanza,
come
vorrebbero,
soprattutto
in
ambito
statunitense,
sia
alcuni
gruppi
arminiani
che
alcuni
gruppi
unitariani.
Probabilmente
la
radice
della
confusione
va
cercata
negli
sviluppi
teologici
di
inizio
XIX
secolo,
quando
per
circa
25
anni
la
maggior
parte
del
New
England
è
stato
coinvolto
in
un
groviglio
di
argomenti
teologici,
conosciuti
come
“la
Controversia
Unitariana”.
Oggi
si
parla
poco
di
questo
argomento
ma,
in
effetti,
esso
ha
in
gran
parte
informato
molte
delle
Congregazioni
Unitariane
Universaliste
americane
fino
ad
oggi.
Per
comprendere
ciò
di
cui
stiamo
parlando
dobbiamo
prendere
l’argomento
alla
lontana
e
partire
da
una
breve
analisi
della
situazione
delle
Chiese
puritane
del
New
England
nel
XVII
secolo.
Durante
la
“Grande
Migrazione”
del
1630
circa
20.000
puritani
inglesi
si
stabilirono
nel
New
England
e
iniziarono
a
praticare
una
politica
congregazionale
tale
per
cui
i
membri
della
chiesa
locale
si
univano
su
un
piano
di
parità
non
sulla
base
di
un
assenso
a un
credo,
ma
sulla
base
di
un
patto,
cioè
di
una
promessa
sottoscritta
da
tutti
i
membri
della
comunità.
Si
tratta,
ovviamente,
di
una
politica
rivoluzionaria
che,
teologicamente,
si
basa
su
una
serie
di
domande
quali:
“chi
detiene
realmente
l’autorità
religiosa?”;
“come
possiamo
conoscere
chi
detiene
tale
autorità?”,
“come
si
manifesta?”.
Il
“patto
ben
rispondeva
a
queste
domande
e,
soprattutto,
respingeva
l’autorità
dei
vescovi
o di
qualsiasi
ente
ecclesiastico
o
civile
e
politico
diverso
da
quello
della
Chiesa
locale,
sostituendola
con
il
principio
di
“comunione”
interna
alla
Chiesa
e
tra
le
Chiese.
L’idea
di
fondo
era
quella
di
camminare
nella
“libertà
del
Vangelo”
mentre
le
chiese
del
mondo
erano
state
corrotte
da
intrighi
politici
e
separazioni
che
da
essi
derivavano.
Di
fatto,
anche
questa
strutturazione
non
era
esente
da
problemi:
la
“Controversia
Antinomiana”
della
prima
generazione,
con
la
questione
della
disciplina
della
Chiesa
sollevata
dai
puristi
che
non
potevano
tollerare
di
stare
in
comunione
con
Congregazioni
che
avvertivano
come
impure,
dovette
essere
risolta,
almeno
temporaneamente,
dal
Sinodo
di
Cambridge
nel
1646-1648,
nella
cui
piattaforma
finale
si
decise
che
né
concili
né
sinodi
potessero
dettare
linee
alle
singole
Chiese
(ma
solo
consigliarle)
ma,
in
ultima
analisi,
proprio
tale
Sinodo
finì
per
imporre
una
linea
strettamente
legata
alla
dottrina
calvinista
di
Dio,
dell’umanità
e
della
salvezza
di
recente
formulata
dall’Assemblea
di
Westminster
in
Inghilterra.
Un
calo
dei
membri
della
Chiesa
dalla
seconda
generazione
pose,
però,
una
sfida
alla
leadership
puritana:
se i
primi
coloni
puritani
erano
un
gruppo
di
persone
auto-selezionato
che,
in
condizioni
molto
difficili
in
Inghilterra,
era
venuto
a
condividere
gli
stessi
ideali,
le
generazioni
successive
si
trovavano
di
fronte
a
circostanze
molto
diverse
e
manifestavano
una
grande
varietà
di
atteggiamenti
verso
l’autorità
della
chiesa
parrocchiale
stessa.
Per
risolvere
questo
problema,
quindi,
a
metà
del
secolo
XVII,
molte
Congregazioni
adottarono
la
controversa
“Alleanza
Mediana”
che
concedeva
il
privilegio
di
appartenenza
ecclesiastica
al
pubblico
degli
adulti
di
“retta
vita”
che
erano
stati
battezzati
ed
allevati
come
figli
della
Chiesa,
senza
tener
conto
della
loro
opinione
sulla
“salvezza
vicaria”.
La
crescita
conseguente
di
membri
della
Chiesa
finì,
però,
solo
per
differire
il
problema
di
fondo
di
divergenti
interpretazioni
delle
fasi
che
conducevano
alla
vita
spirituale
e
delle
modalità
in
cui
tale
vita
spirituale
si
dovesse
esplicare.
Nel
frattempo,
la
crescita
dell’economia
mercantile
della
Nuova
Inghilterra
stava
anche
esercitando
un’influenza
moderatrice
sulla
vita
religiosa
del
Paese:
i
commercianti
non
apparteneva
solo
a
una
congregazione
puritana,
ma
anche
alla
comunità
commerciale
internazionale
e
spesso
si
sentivano
in
condizioni
di
svantaggio
nei
mercati
esteri
per
quel
certo
stigma
di
intolleranza
che
caratterizzava
la
visione
religiosa
della
loro
area
di
provenienza.
Inoltre
molti
mercanti
erano
irritati
per
le
normative
imposte
loro
dalle
autorità
puritane
che
seguivano
l’ideale
di
subordinazione
del
vantaggio
individuale
al
bene
comune.
Un
certo
numero
di
uomini
d’affari
del
New
England,
scoprendo
di
non
poter
operare
sotto
il
regime
puritano,
tornò
in
Inghilterra
e fu
sostituito
da
una
nuova
ondata,
a
metà
del
XVII
secolo,
di
imprenditori
anglicani
provenienti
dall’Inghilterra,
che
entrarono
immediatamente
in
contrasto
con
le
autorità
locali:
entro
la
fine
del
secolo
l’autorità
puritana
aveva
perso
il
suo
potere
di
monito
sulla
popolazione.
La
bilancia
del
potere
si
spostò
a
tal
punto
che
nel
1699
un
gruppo
di
mercanti
di
Boston,
guidato
da
John
Leverett
e
William
e
Thomas
Brattle,
pubblicò
un
manifesto
chiedendo
l’organizzazione
di
una
nuova
Chiesa
con
orizzonti
più
ampi
e
liberali.
Se
la
laicizzazione
della
società
americana
venne
frenata
dal
Primo
Grande
Risveglio
a
partire
dal
1734,
non
tutti
i
Congregazionalisti
furono
soddisfatti
dall’emotività
eccessiva,
persino
isterica,
dei
“revival”:
in
particolare
gli
Arminiani,
con
la
loro
enfasi
sulla
volontà
e
l’attività
umana,
iniziarono
a
dichiarare
che
l’uso
della
ragione
era
un
mezzo
migliore
per
la
crescita
religiosa,
sostenuti
in
questo
da
nuove
idee
nella
scienza
e
nella
filosofia,
in
particolare
dagli
scritti
di
Isaac
Newton
e
John
Locke,
che
avevano
come
corollario
l’idea
di
un
potenziale
di
sviluppo
continuo
della
mente
umana,
in
ciò
includendo
uno
sviluppo
della
moralità
e di
altri
aspetti
di
carattere
religioso.
Entro
la
fine
del
XVIII
secolo
molte
delle
più
grandi
Chiese,
soprattutto
ma
non
esclusivamente
nella
parte
orientale
del
Massachusetts,
erano
diventate
teologicamente
marcatamente
liberali:
per
essi
la
libertà
della
volontà
umana
era
sia
una
realtà
dell’esperienza
comune
che
un
necessario
corollario
alla
bontà
di
Dio,
senza
la
quale
la
giustizia
di
Dio
non
avrebbe
senso
e,
su
questa
stessa
linea,
si
iniziarono
a
rifiutare
in
quanto
non
bibliche
le
dottrine
calviniste
del
peccato
originale,
della
totale
depravazione,
della
predestinazione
e
della
Trinità.
In
risposta
alla
nuova
influenza
liberale,
alcune
chiese
più
ortodosse
cominciarono
a
inserire
elementi
di
“Credo”
nei
loro
alleanze,
mentre
le
chiese
liberali
si
aggrappavano
sempre
più
fortemente
al
vecchio
ideale
puritano
del
“camminare
insieme”
in
amore
cristiano,
senza
imposizioni
dogmatiche.
Le
strade
tra
ortodossi
e
liberali
cominciarono
a
divaricarsi
sempre
più
a
inizio
‘800,
con
dispute
sulle
cattedre
teologiche,
sviluppo
di
percorsi
di
formazione
indipendenti,
pamphlet
reciprocamente
irrisori,
etc.
Insomma,
la
comunione
del
New
England
si
squarciò
in
due:
da
un
lato
i
Riformati
ortodossi
di
stretta
osservanza,
dall’altro
le
Chiese
liberali
che,
naturalmente,
includevano
sia
gli
Arminiani
che
gli
Unitariani
(il
sermone
considerato
da
molti
fondativo
dell’Unitarianesimo
americano
venne
tenuto
da
Channing
a
Baltimora
nel
1819).
Come
detto,
la
polemica
tra
i
due
rami
continuò
per
anni,
con
i
Congregazionalisti
calvinisti
che
insistevano
sul
fatto
che
la
comunità
cristiana
dovesse
essere
limitata
ai
membri
in
accordo
con
alcune
proposizioni
dottrinarie
quali
la
natura
di
Dio,
la
natura
umana
e la
natura
della
salvezza
e i
Liberali
e
Unitariani
Congregazionalisti
che
insistevano
altrettanto
fortemente
sul
fatto
che
la
loro
alleanza
ecclesiastica
potesse
abbracciare
tutti
coloro
che
volevano
praticare
una
vita
cristiana.
È
inutile,
qui,
ripercorrere
tutte
le
tappe
della
polemica,
che
arrivò
a
toni
molto
alti
e ad
azioni
molto
basse,
con
rivendicazioni
sul
possesso
degli
edifici,
spaccature
di
Congregazioni,
polarizzazioni
al
limite
dell’assurdo
con
Chiesa
definite
unitariane
solo
perché
il
Pastore
era
laureato
ad
Harvard
o
definite
calviniste
se
il
Ministro
era
un
laureato
di
Yale
o di
Andover.
Ciò
che
conta
in
questa
sede
è
comprendere
come
una
“alleanza”
tra
Arminiani
e
Unitariani
non
significasse,
come
qualcuno
tende
a
credere
oggi,
una
comunione
teologica,
che
non
c’è
mai
stata.
Le
due
teologie
sono,
in
realtà,
fatte
salve
alcune
proposizioni
morali,
radicalmente
diverse
in
tutto.
Arminio
non
è
mai
stato
reticente
nell’affermare
che
la
salvezza
passa
attraverso
la
Grazia
di
Dio
Padre,
per
mezzo
della
fede
in
Cristo
Gesù
solo,
iniziata
per
opera
dello
Spirito
Santo
solo.
Anzi,
è
proprio
Arminio
che
afferma:
“L’oggetto
della
fede
non
è
solo
il
Dio
e
Padre
del
nostro
Signore
Gesù
Cristo,
ma
allo
stesso
modo
Cristo
stesso
che
è
qui
costituito
da
Dio,
autore
della
salvezza
per
coloro
che
gli
ubbidiscono”.
È
chiarissimo
l’assunto
che
vi
siano
tre
Persone
distinte
nella
Divinità
che
collaborano
per
la
salvezza
dell’umanità
e si
dovrebbero
ignorare
intenzionalmente
proprio
gli
scritti
fondativi
dell’Arminianesimo
per
concludere
che
l’insegnamento
di
Arminio
o
dei
Rimostranti
porti
inevitabilmente
all’Unitarianesimo,
il
quale,
notoriamente,
vede
in
Cristo
un
uomo
praticamente
perfetto,
un
Profeta,
un
Messia,
ma
assolutamente
non
una
Persona
divina
e
nello
Spirito
Santo
(o
“Spirito
di
Vita”
una
potenza
di
Dio
e
non
una
Persona
distinta).
Si
può,
dunque,
concordare
sul
fatto
che
ogni
via,
se
percorsa
seriamente
e
con
fede,
possa
portare
alla
salvezza,
ma
ciò
non
significa
e
non
potrà
mai
significare
che
tali
vie
siano
identiche:
così
come
l’Arminianesimo,
pur
derivando
dall’Evangelismo,
se
ne
discosta
a
tal
punto
da
diventare
Denominazione
altra,
allo
stesso
modo,
e,
anzi,
ancora
di
più,
la
semplice
alleanza
teologica
liberale
e
l’accordo
sulla
centralità
dell’opera
umana
non
fanno
di
arminianesimo
e
Unitarianesimo
una
cosa
sola.
Proprio
nell’ottica
di
una
scelta
della
“strada
migliore”
per
il
singolo,
una
confusione
tra
Denominazioni
così
lontane
(come
in
certe
Congregazioni
Evangeliche
Arminiano-Unitariane)
finisce
per
confondere
unicamente
le
acque
e
per
fare
del
male
a
tutte
e
tre
le
Denominazioni
e a
chi
decide
di
credere
seriamente
nelle
loro
rispettive
teologie.
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