[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

184 / APRILE 2023 (CCXV)


antica

eutimene di Massalia

un’avventura ai confini del mondo

di Riccardo Renzi

 

È uno spazio, il mare. Un luogo, unico ed imprevedibile. Forse per questo, per questa fascinosa difficoltà, da sempre l’uomo prova un timore reverenziale nei suoi confronti e, fin da quando si abbia memoria, coloro, che lo solchino su rotte sconosciute, assurgono a fama di eroi.

 

La Storia, perciò, conserva memoria di un certo numero di navigatori: tra questi, durante la massima espansione del traffico marittimo greco in età antica, alcuni varcarono letteralmente i confini del loro mondo, cioè quelle colonne d’Ercole che da sempre rappresentano il limite occidentale di un grande lago salato definito mare: il Mediterraneo.

 

Gli esploratori dell’Atlantico spesso costituiscono un mero elenco di nomi, dietro i quali si fatica a individuare anche il minimo indizio di un’impresa, smarrita così in ogni ricordo. Tra questi nomi, tuttavia, quattro assursero a fama imperitura grazie alle gesta che li resero eroici: Imilcone, Annone, Pitea ed Eutimene. Carteginesi i primi due, massalioti (marsigliesi diremmo oggi) gli altri.
Due coppie, ma tali non solamente per l’evidente cittadinanza: Imilcone e Pitea veleggiarono verso l’Atlantico settentrionale; Annone ed Eutimene lungo quello meridionale. Proprio da quest’ultimo salpa invece il nostro viaggio insieme.

 

Nel presente lavoro si prenderà in considerazione l’impresa di Eutimene. Egli, secondo Marciano di Eraclea (FGrHist 647 F 1,5) e Seneca (nat. Quaest. 4, 2, 22), fu autore di un periplo del mare esterno, cioè dell’Atlantico: mentre il Mediterraneo costituiva il mare interno, nell’antichità il mare esterno era l’Atlantico, ovvero l’Oceano.

 

 


La tradizione greco-classica designava con il termine Oceano (
κεανος) un Titano, figlio di Urano (il cielo) e di Gea (la terra): divinità fluviale (non marina!), con il suo nome gli antichi indicavano tanto il fiume quanto, per antonomasia, il dio. Questo, tuttavia, non era un fiume comune: esso era, infatti, il fiume che avvolgeva e circondava le terre emerse, un anello d’acqua che scorreva agli estremi margini dell’ecumene (οκουμένη) e, come un cerchio, rifluiva in un circolo ininterrotto in se stesso. Di questo fiume Oceano cantavano già il libro XIV dell’Iliade e il XII dell’Odissea, mentre Aristotele scriveva che “Il mare che sta all’esterno della terra abitata si chiama Atlantico o Oceano, facendosi strada con uno stretto passaggio alle cosiddette Colonne d’Eracle, l’Oceano penetra nel mare interno come in un porto".

 

Dalle nebbie, che velano il ritratto del navigatore – del quale, gli studi più recenti fermano la datazione alla metà del VI sec. a.C. –, affiora un unico frammento di un’opera che gli si attribuisce, una sorta di resoconto o diario di bordo, frammento che tramanda che Eutimene «giunse nei pressi di un grande fiume popolato da coccodrilli». Se nel mondo greco classico si parli di un grande fiume, per di più con coccodrilli, indicare il Nilo sarebbe stata la logica deduzione di chiunque.

 

Ma che c’entra allora questo fiume con la navigazione di Eutimene, il quale, partito dall’odierna Marsiglia, fece rotta verso occidente, passando lo stretto di Gibilterra per poi scendere verso l’Africa equatoriale? Per rispondere a questo, saranno sufficienti alcune semplici nozioni geografiche… dell’epoca ovviamente.


Come abbiamo ricordato in merito alla “forma” dell’Oceano, l’orbis terrarum presentava l’ecumene (cioè il mondo abitato) come una superficie al centro di quell’anello fluviale che è il mare esterno. All’epoca questa era la terra da tutti conosciuta e, addirittura un secolo e mezzo più tardi, anche Erodoto la presentava così. Nella porzione meridionale del triangolo terrestre si trovava la Libya: a dividerla vi era il Nilo, che scorreva da Occidente a Oriente, per poi curvare e prendere un asse sud-nord, passata l’Etiopia.


A noi moderni può sembrare impossibile, ma è bene ricordare che le esplorazioni lungo il corso del Nilo si siano in pratica protratte fino al XIX sec. inoltrato. Stanti le conoscenze geografiche dell’epoca, l’impresa di Eutimene, nel frammento che Seneca cita nei suoi scritti, sarebbe approdata dunque alla sorgente atlantica del fiume egizio.

 

Le sorgenti del Nilo, di lì a centocinquant’anni (ma in pratica fino alle moderne spedizioni dell’800, erano ancora ignote, tant’è che, nelle sue Storie, Erodoto enuncia le tre teorie al riguardo: una di esse sosteneva che il fiume fosse alimentato direttamente dall’Oceano occidentale e in questo non possiamo escludere che lo storico facesse velato riferimento proprio a Eutimene.

 

Nelle fonti antiche il nome del navigatore massaliota compare, perciò, per lo più legato alle piene del Nilo, fenomeno che fin dal VI secolo a.C. aveva attirato l’attenzione dei filosofi/scienziati greci. In merito a tale fenomeno idrografico, Eutimene venne citato non solo dal già menzionato Erodoto, ma anche da Ecateo ed Eforo (richiamato a sua volta da Elio Aristide).


In un passo del suo trattato Sull’Egitto, Elio Aristide, dopo aver confutato la teoria di Eforo sulle piene, tratta diffusamente - ma con scetticismo - dell’impresa di Eutimene, affermando più volte di aver tratto tutte le notizie relative alla spedizione unicamente da Eforo, che, quindi, è la fonte più antica in merito.

 

Eutimene navigò lungo i lontanissimi litorali dell’Africa, dove poté osservare l’acqua dolce del mare – esterno 0, nella quale nuotavano coccodrilli ed ippopotami; poté altresì vedere il rifluire nell’entroterra del corso di questo fiume (il Nilo) per effetto dei venti etesii.

 

Di Eutimene, quindi, le fonti tramandano i seguenti capisaldi: una navigazione verso sud al di fuori di Gibilterra; osservazione di piene fluviali ed inversioni di corrente compatibili con quelle nilotiche; avvistamento di fauna nilotica; dolcezza dell’acqua marina, come nel Nilo.

 

Elementi questi che derivano anche dallo storico del III secolo a.C. che definiamo l’Anonimo Fiorentino, fonte che riporta che il massaliota avesse solcato con la sua imbarcazione il mare esterno spinto dal vento di Borea e che avesse visto il mare gonfiarsi nei giorni in cui spiravano gli etesii e sgonfiarsi alla loro cessazione.

 

Il De Nilo di Seneca, all’interno delle Naturales Quaestiones, attesta le medesime ricorrenze, anche perché fonte del filosofo latino è Eforo, sebbene con una differenziazione stilistica: Seneca, infatti, riporta la testimonianza diretta dell’allora scomparso navigatore, scrivendo «il massaliota Eutimene dice a testimonianza: Navigai il mare atlantico. Di lì scorre il Nilo […]». Sia che abbia valore temporale, sia che abbia valore locativo, inde del testo latino ci mostra che l’eziologia nilotica fosse chiaramente atlantica.

 

È quest’ultima informazione, però, l’unica a rimanere spuria rispetto a tutte le altre finora presentate, perché, se con certezza possiamo attestare l’avvenuta navigazione e con uguale sicurezza si può credere ai racconti sulle correnti, sulla mescolanza di acqua dolce e salata nel mare, sull’avvistamento di una determinata fauna, che da lì sorga il Nilo noi moderni non possiamo, però, crederlo. Quindi, quale fiume descrive Eutimene?

 

Il continuo riferimento alla stella polare, senza la quale sarebbe stata impossibile la navigazione notturna, segnala il non superamento della linea equatoriale e, dunque, del Golfo di Guinea. Se egli non raggiunse mai l’emisfero australe (ove per orientarsi usa la Croce del Sud) e se riteniamo validi gli altri dati geografici che la tradizione storica riporta, dobbiamo concludere che il fiume, che Eutimene scambiò per il Nilo, sia l’ultimo dei grandi fiumi africani prima del Golfo di Guinea: il Senegal. Anche qui, come nel Nilo, vi sono sia le piene (dovute a un vento “monsonico”, il Fit) sia coccodrilli, mentre la dolcezza dell’acqua si propaga dall’estuario sino a 10 km, tra giugno e settembre.

 

Risolvere tale equivoco appare semplice per noi, moderni. Per coloro che moderni lo furono più di 2.500 anni fa, invece, era facile cadere nell’errore, o meglio attenersi alla propria verità, non solo per via delle conoscenze geografiche allora “scientificamente” rappresentate, ma anche per quella serie di coincidenze che vedevano similitudine nei fenomeni anemologici come in quelli idrologici.

 

L’esplorazione delle coste africane atlantiche settentrionali da parte dei Greci avvenne all’incirca contemporaneamente a quella dei Cartaginesi, secondo la relazione iniziale con cui legavamo Eutimene ad Annone. Dobbiamo, infatti, ritenere che per lungo tempo sia gli scienziati/filosofi dell’epoca sia i naviganti dovessero attingere allo stesso bacino culturale e avere come sua base le informazioni che giungessero dai territori punici.


Poter esser i primi ad acquisire nuove conoscenze poteva, già allora, fare la differenza in un contesto di forte concorrenza, che spesso degenerava in rivalità, tra Cartagine, ormai consolidata in un primato marittimo commerciale, e Massalia, egemone nel Mediterraneo settentrionale occidentale.

 

Eutimene, che di Marsiglia fu figlio, di certo non navigò né per sé e né per la mera velleità di esplorare: il suo viaggio, di certo, fu la risposta greca alle iniziative cartaginesi nello scacchiere occidentale del mare “interno”, verso quei luoghi di approvvigionamento di schiavi e legname al fine di escludere definitivamente l’intermediazione punica.

 

Concludendo, Eutimene è un nome ormai entrato nella leggenda, ma non per sua iniziativa, bensì della sua polis, che, come mandò lui a solcare l’Atlantico verso sud, avrebbe inviato, geometricamente all’opposto, anche l’altro compatriota, Pitea, più di un secolo dopo a veleggiare verso nord, alla ricerca… di quella che sarà un’altra storia. 

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]