eutimene di Massalia
un’avventura ai confini
del mondo
di Riccardo Renzi
È uno spazio, il mare. Un luogo,
unico ed imprevedibile. Forse per
questo, per questa fascinosa
difficoltà, da sempre l’uomo prova
un timore reverenziale nei suoi
confronti e, fin da quando si abbia
memoria, coloro, che lo solchino su
rotte sconosciute, assurgono a fama
di eroi.
La Storia, perciò, conserva
memoria di un certo numero di
navigatori: tra questi, durante la
massima espansione del traffico
marittimo greco in età antica,
alcuni varcarono letteralmente i
confini del loro mondo, cioè
quelle colonne d’Ercole che da
sempre rappresentano il limite
occidentale di un grande lago salato
definito mare: il Mediterraneo.
Gli esploratori dell’Atlantico
spesso costituiscono un mero elenco
di nomi, dietro i quali si fatica a
individuare anche il minimo indizio
di un’impresa, smarrita così in ogni
ricordo. Tra questi nomi, tuttavia,
quattro assursero a fama imperitura
grazie alle gesta che li resero
eroici: Imilcone, Annone, Pitea
ed Eutimene. Carteginesi i primi
due, massalioti (marsigliesi
diremmo oggi) gli altri.
Due coppie, ma tali non solamente
per l’evidente cittadinanza:
Imilcone e Pitea veleggiarono verso
l’Atlantico settentrionale; Annone
ed Eutimene lungo quello
meridionale. Proprio da quest’ultimo
salpa invece il nostro viaggio
insieme.
Nel presente lavoro si prenderà in
considerazione l’impresa di
Eutimene. Egli, secondo Marciano di
Eraclea (FGrHist 647 F 1,5) e Seneca
(nat. Quaest. 4, 2, 22), fu autore
di un periplo del mare esterno, cioè
dell’Atlantico: mentre il
Mediterraneo costituiva il mare
interno, nell’antichità il mare
esterno era l’Atlantico, ovvero
l’Oceano.
La tradizione greco-classica
designava con il termine Oceano (Ὠκεανος)
un Titano, figlio di Urano (il
cielo) e di Gea (la terra): divinità
fluviale (non marina!), con il suo
nome gli antichi indicavano tanto il
fiume quanto, per antonomasia, il
dio. Questo, tuttavia, non era un
fiume comune: esso era, infatti, il
fiume che avvolgeva e circondava le
terre emerse, un anello d’acqua che
scorreva agli estremi margini dell’ecumene
(οἰκουμένη)
e, come un cerchio, rifluiva in un
circolo ininterrotto in se stesso.
Di questo fiume Oceano cantavano già
il libro XIV dell’Iliade e il XII
dell’Odissea, mentre Aristotele
scriveva che “Il mare che sta
all’esterno della terra abitata si
chiama Atlantico o Oceano, facendosi
strada con uno stretto passaggio
alle cosiddette Colonne d’Eracle,
l’Oceano penetra nel mare interno
come in un porto".
Dalle nebbie, che velano il ritratto
del navigatore – del quale, gli
studi più recenti fermano la
datazione alla metà del VI sec. a.C.
–, affiora un unico frammento di
un’opera che gli si attribuisce, una
sorta di resoconto o diario di
bordo, frammento che tramanda che
Eutimene «giunse nei pressi di un
grande fiume popolato da
coccodrilli». Se nel mondo greco
classico si parli di un grande
fiume, per di più con coccodrilli,
indicare il Nilo sarebbe stata la
logica deduzione di chiunque.
Ma che c’entra allora questo fiume
con la navigazione di Eutimene, il
quale, partito dall’odierna
Marsiglia, fece rotta verso
occidente, passando lo stretto di
Gibilterra per poi scendere verso
l’Africa equatoriale? Per rispondere
a questo, saranno sufficienti alcune
semplici nozioni geografiche…
dell’epoca ovviamente.
Come abbiamo ricordato in merito
alla “forma” dell’Oceano, l’orbis
terrarum presentava l’ecumene
(cioè il mondo abitato) come una
superficie al centro di quell’anello
fluviale che è il mare esterno.
All’epoca questa era la terra da
tutti conosciuta e, addirittura un
secolo e mezzo più tardi, anche
Erodoto la presentava così. Nella
porzione meridionale del triangolo
terrestre si trovava la Libya: a
dividerla vi era il Nilo, che
scorreva da Occidente a Oriente, per
poi curvare e prendere un asse
sud-nord, passata l’Etiopia.
A noi moderni può sembrare
impossibile, ma è bene ricordare che
le esplorazioni lungo il corso del
Nilo si siano in pratica protratte
fino al XIX sec. inoltrato. Stanti
le conoscenze geografiche
dell’epoca, l’impresa di Eutimene,
nel frammento che Seneca cita nei
suoi scritti, sarebbe approdata
dunque alla sorgente atlantica del
fiume egizio.
Le sorgenti del Nilo, di lì a
centocinquant’anni (ma in pratica
fino alle moderne spedizioni
dell’800, erano ancora ignote,
tant’è che, nelle sue Storie,
Erodoto enuncia le tre teorie al
riguardo: una di esse sosteneva che
il fiume fosse alimentato
direttamente dall’Oceano occidentale
e in questo non possiamo escludere
che lo storico facesse velato
riferimento proprio a Eutimene.
Nelle fonti antiche il nome del
navigatore massaliota compare,
perciò, per lo più legato alle piene
del Nilo, fenomeno che fin dal VI
secolo a.C. aveva attirato
l’attenzione dei filosofi/scienziati
greci. In merito a tale fenomeno
idrografico, Eutimene venne citato
non solo dal già menzionato Erodoto,
ma anche da Ecateo ed Eforo
(richiamato a sua volta da Elio
Aristide).
In un passo del suo trattato
Sull’Egitto, Elio Aristide, dopo
aver confutato la teoria di Eforo
sulle piene, tratta diffusamente -
ma con scetticismo - dell’impresa di
Eutimene, affermando più volte di
aver tratto tutte le notizie
relative alla spedizione unicamente
da Eforo, che, quindi, è la fonte
più antica in merito.
Eutimene navigò lungo i lontanissimi
litorali dell’Africa, dove poté
osservare l’acqua dolce del mare –
esterno 0, nella quale nuotavano
coccodrilli ed ippopotami; poté
altresì vedere il rifluire
nell’entroterra del corso di questo
fiume (il Nilo) per effetto dei
venti etesii.
Di Eutimene, quindi, le fonti
tramandano i seguenti capisaldi: una
navigazione verso sud al di fuori di
Gibilterra; osservazione di piene
fluviali ed inversioni di corrente
compatibili con quelle nilotiche;
avvistamento di fauna nilotica;
dolcezza dell’acqua marina, come nel
Nilo.
Elementi questi che derivano anche
dallo storico del III secolo a.C.
che definiamo l’Anonimo
Fiorentino, fonte che riporta
che il massaliota avesse solcato con
la sua imbarcazione il mare esterno
spinto dal vento di Borea e che
avesse visto il mare gonfiarsi nei
giorni in cui spiravano gli etesii e
sgonfiarsi alla loro cessazione.
Il De Nilo di Seneca,
all’interno delle Naturales
Quaestiones, attesta le medesime
ricorrenze, anche perché fonte del
filosofo latino è Eforo, sebbene con
una differenziazione stilistica:
Seneca, infatti, riporta la
testimonianza diretta dell’allora
scomparso navigatore, scrivendo «il
massaliota Eutimene dice a
testimonianza: Navigai il mare
atlantico. Di lì scorre il Nilo […]».
Sia che abbia valore temporale, sia
che abbia valore locativo, inde
del testo latino ci mostra che
l’eziologia nilotica fosse
chiaramente atlantica.
È quest’ultima informazione, però,
l’unica a rimanere spuria rispetto a
tutte le altre finora presentate,
perché, se con certezza possiamo
attestare l’avvenuta navigazione e
con uguale sicurezza si può credere
ai racconti sulle correnti, sulla
mescolanza di acqua dolce e salata
nel mare, sull’avvistamento di una
determinata fauna, che da lì sorga
il Nilo noi moderni non possiamo,
però, crederlo. Quindi, quale fiume
descrive Eutimene?
Il continuo riferimento alla stella
polare, senza la quale sarebbe stata
impossibile la navigazione notturna,
segnala il non superamento della
linea equatoriale e, dunque, del
Golfo di Guinea. Se egli non
raggiunse mai l’emisfero australe
(ove per orientarsi usa la Croce del
Sud) e se riteniamo validi gli altri
dati geografici che la tradizione
storica riporta, dobbiamo concludere
che il fiume, che Eutimene scambiò
per il Nilo, sia l’ultimo dei grandi
fiumi africani prima del Golfo di
Guinea: il Senegal. Anche qui, come
nel Nilo, vi sono sia le piene
(dovute a un vento “monsonico”, il
Fit) sia coccodrilli, mentre la
dolcezza dell’acqua si propaga
dall’estuario sino a 10 km, tra
giugno e settembre.
Risolvere tale equivoco appare
semplice per noi, moderni. Per
coloro che moderni lo furono più di
2.500 anni fa, invece, era facile
cadere nell’errore, o meglio
attenersi alla propria verità, non
solo per via delle conoscenze
geografiche allora
“scientificamente” rappresentate, ma
anche per quella serie di
coincidenze che vedevano
similitudine nei fenomeni
anemologici come in quelli
idrologici.
L’esplorazione delle coste africane
atlantiche settentrionali da parte
dei Greci avvenne all’incirca
contemporaneamente a quella dei
Cartaginesi, secondo la relazione
iniziale con cui legavamo Eutimene
ad Annone. Dobbiamo, infatti,
ritenere che per lungo tempo sia gli
scienziati/filosofi dell’epoca sia i
naviganti dovessero attingere allo
stesso bacino culturale e avere come
sua base le informazioni che
giungessero dai territori punici.
Poter esser i primi ad acquisire
nuove conoscenze poteva, già allora,
fare la differenza in un contesto di
forte concorrenza, che spesso
degenerava in rivalità, tra
Cartagine, ormai consolidata in un
primato marittimo commerciale, e
Massalia, egemone nel Mediterraneo
settentrionale occidentale.
Eutimene, che di Marsiglia fu
figlio, di certo non navigò né per
sé e né per la mera velleità di
esplorare: il suo viaggio, di certo,
fu la risposta greca alle iniziative
cartaginesi nello scacchiere
occidentale del mare “interno”,
verso quei luoghi di
approvvigionamento di schiavi e
legname al fine di escludere
definitivamente l’intermediazione
punica.
Concludendo, Eutimene è un nome
ormai entrato nella leggenda, ma non
per sua iniziativa, bensì della sua
polis, che, come mandò lui a
solcare l’Atlantico verso sud,
avrebbe inviato, geometricamente
all’opposto, anche l’altro
compatriota, Pitea, più di un secolo
dopo a veleggiare verso nord, alla
ricerca… di quella che sarà un’altra
storia.