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N. 46 - Ottobre 2011 (LXXVII)

L’Europa e la sua ideologia
tra Realtà e Speranza

di Gennaro Tedesco

 

In questo articolo forniremo solo alcuni brevissimi spunti per la discussione, consapevoli dell’enorme complessità della questione. Innanzitutto, quando parliamo di Europa ci riferiamo all’Unione Europea in gestazione e non ad un’idea astratta, e, se esiste, univoca, di Europa. E la sua ideologia, se esiste, è anch’essa in gestazione, ammesso che lo si voglia ammettere e riconoscere. Parlare di Unione Europea e di una sua ideologia, quindi, dovrebbe significare indagare le modalità politiche, economiche, culturali ed educative, consapevoli e inconsapevoli, volute e non volute, dichiarate e non dichiarate, attraverso cui si esprime e si concretizza tale sottile e complessa relazione transazionale, dinamica ed evolutiva.

 

è un’operazione difficile ed eminentemente interpretativa e, come tale, soggetta a legittime e possibili contestazioni. Ma noi proveremo ad incamminarci per questa tortuosa e disagevole via.


Da un punto di vista storico, almeno dall’antichità in poi, allo scrivente, i ritmi di crescita e formazione di quell’ibrido geo-politico che chiamiamo normalmente Europa sembrano scanditi dai tempi delle guerre intestine e delle guerre di aggressione e di conquista e dagli spazi divoranti e idolatrici dello Stato. Quella che stiamo cercando di delineare, di costruire e di far venire alla luce non è solo una “pura” morfologia storica dell’Europa, ma anche una sua corposità politica ed economica che produce una propria originale ideologia.


Le due guerre mondiali e la crisi del ’29 hanno mostrato tutti i limiti e le contraddizioni di un’Europa che si percepiva unitaria nell’ambito della propria civiltà materiale e culturale, ma che al suo interno covava i germi della propria autodissoluzione.


Appropriatamente si è sostenuto che la vendetta postuma di Hitler è stata la disintegrazione dell’Europa e del più grande Impero coloniale dell’era moderna, quello britannico.


I veri vincitori del secondo conflitto mondiale, Stati Uniti ed Unione Sovietica, hanno sostituito Gran Bretagna, Francia e Germania nel dominio non solo del mondo, ma anche della stessa Europa.


L’elaborazione progettuale di un’Europa unita è nata sulle macerie morali, politiche e soprattutto economiche lasciate in rovinosa e terribile eredità ai suoi annichiliti cittadini e non per le idealistiche visioni di qualche illustre e titolato Padre Fondatore.
L’edificio della Comunità Europea è venuto alla luce gradualmente e lentamente in mezzo ad immani difficoltà e contrasti interni tra i diversi e contrapposti sistemi capitalistici.


L’esperienza delle divisioni e dei massacri delle due guerre mondiali, ma soprattutto l’evidente stagnazione e sottomissione del Vecchio Continente ai due Giganti protagonisti, quello nord-americano e quello euro-asiatico, della Guerra Fredda hanno spinto i due maggiori attori capitalistici europei continentali, Francia e Germania a cercare di superare i propri atavici antagonismi non solo capitalistici.


Dagli anni 50, al contrario di quello che si pensa e si crede, all’ombra della protezione del Grande Fratello Americano, il capitalismo europeo, non solo quello francese e tedesco, è cresciuto e si è sviluppato, erodendo e insidiando in modo via via più efficace e mordente gli enormi spazi del monopolio capitalistico mondiale americano. La caduta del Muro di Berlino e del sistema di potere russo-sovietico ha determinato un ulteriore rafforzamento e consolidamento della sempre più estesa Comunità Europea. Infatti essa, approfittando della crisi balcanica e sovietica, pur tra tentennamenti e oscillazioni anche clamorose e non sempre comprensibili, è riuscita a integrare nel suo nuovo sistema parecchi Paesi non solo delle due suddette aree, ma in generale i Paesi dell’Est Europeo.


E proprio l’integrazione dell’Europa Orientale nella Comunità Europea avrebbe dovuto cominciare a far aprire gli occhi all’opinione pubblica sulle modalità ideologiche con cui venivano ammessi i nuovi partner al club europeo. L’ammissione della Romania e della Bulgaria all’Unione Europea più che un’integrazione è sembrata una vera e propria annessione. Una parte dell’Europa, quella occidentale, si è annessa la parte orientale, balcanica.


L’“idea d’Europa” nasce già ampiamente e profondamente contaminata all’origine da profondi, devastanti, inquinanti e inquietanti processi ideologici. Secondo F. Chabod e G. Barraclough essa risale al Medioevo anche se i Greci ne avevano già tracciato gli angusti e ristretti limiti “occidentali”. E’ l’Impero Carolingio che dà unità all’Europa occidentale con la lingua comune, il latino, la religione comune, il Cristianesimo, l’Impero Universale. E’ il Medioevo che sancisce la separazione tra Occidente, Impero Carolingio e Oriente, Impero Bizantino, separazione che ancora oggi è operante. E’ sempre dal Medioevo che nasce la disgregazione del monolita europeo: si formano gli Stati nazionali, le lingue nazionali. Il nazionalismo è stata la causa della rovina dell’Europa con le due sanguinose guerre mondiali.


L’ingannevole e subdola campagna propagandistica di un’Europa fraterna e benigna che accoglie tutti i suoi figli, compresi quelli balcanici, su basi paritarie, nasconde e confligge con una diversa e opposta realtà nuda e cruda di sfruttamento capitalistico.
Tutti i nuovi e numerosi insediamenti industriali nei Balcani dei fratelli dell’Europa occidentale approfittano di una mano d’opera poco e mal retribuita. L’emigrazione balcanica nel versante occidentale dell’Unione Europea è sottoposta ad altrettanto sfruttamento, aggravato da un feroce e turpe razzismo.


Nei Balcani e in genere nell’Est Europeo il volto dell’Unione Europea è quello latino-germanico e franco, la riproposizione e la rivitalizzazione di schemi e moduli di aggressione medievale che si riverberano, ingigantiti, nella stessa ex Unione Sovietica fino al Prossimo e Medio Oriente e all’Asia Centrale.


Tutte le disquisizioni dottrinarie e giuridiche sulla configurazione statutaria dell’Unione Europea oscillante tra i poli opposti del federalismo libertario e del costituzionalismo centralistico, dello Stato leggero e dello Stato pesante non sono altro che l’espressione introversa del difficile e controverso processo e percorso di incubazione e gestazione che dovrà condurre alla definizione e alla formalizzazione di un involucro politico, Carta o Trattato che sia, che, comunque, alla fine del doloroso e periglioso parto, estrinsechi e manifesti l’avvenuta centralizzazione decisionale delle diverse e centrifughe forze capitalistiche che compongono e animano il procelloso e tumultuoso Oceano della Desolazione capitalistica.

Tutto ciò in funzione di una più efficiente ed efficace macchina ideologica che prepari i nuovi cittadini dell’Unione alla sfida imperialistica che si annuncia prossima, irreversibile e ineludibile nei confronti del Dragone Cinese e dell’Elefante Indiano.


C’è addirittura chi prevede all’interno dell’eterna e immortale Alleanza occidentale un possente ed inevitabile scisma tra capitalismo nord-americano e capitalismo europeo. In effetti a un osservatore non particolarmente esperto i distinguo appena accennati, le velate sfumature, le divergenze parallele, le geometrie variabili, i sofismi bizantini, i sottili arabismi e anche qualche confronto latente e patente all’interno della santa Alleanza occidentale si rivelano sintomi di un malessere serpeggiante e crescente che può preludere e prelude non solo a una divaricazione ideologica, ma anche capitalistica tra due partner entrambi in cerca di un riposizionamento ideologico e strategico all’interno di un mondo in cerca di necessari, nuovi e più avanzati equilibri planetari.

 

Svincolata dall’abbraccio stritolante e soffocante del Grande Fratello Americano, la nascente Unione Europea si riproporrebbe come grande e risorto Impero di Mezzo tra America e Oriente, scavalcando la stessa Russia. Mentre nel silenzio più assoluto dei Media e della politica ufficiale, l’Unione Europea continua a finanziare costosissimi progetti militari, destinati a pesare e a gravare enormemente sui bilanci degli Stati membri e sugli stipendi e i salari già magri dei suoi disinformati cittadini e a riarmarsi in segreto, essa, allo stesso tempo, si presenta, sulla scena politica ed economica globale, come l’unica erede autorizzata e universale di una Bisanzio rediviva che, per mezzo della cultura, della religione e dell’economia, nella splendida e irradiante luce della propria millenaria esperienza storica, ripropone, rielabora e pratica la difficile e complessa arte della mediazione diplomatica e politica al fine di una pace universale, rinunciando all’uso della forza e della guerra.


Di fronte alla crisi economica incalzante e dilagante, l’Europa saprà rinunciare alle tentazioni neo-imperialistiche per incamminarsi su vie alternative e innovative?


Fino ad ora la storia, soprattutto, quella più recente, ha risolto tali ciclopiche e globali crisi con le guerre, le dittature e cicli ricorsivi di contrazione e sviluppo all’interno delle economie capitalistiche.


è anche vero che fino ad ora l’Europa ha espresso solo il potere dei mercanti e dei burocrati. Ora sarebbe finalmente il momento dei cittadini, ma soprattutto dei suoi lavoratori. A questo punto, e concludiamo, inevitabilmente, se si vuole per davvero dare un corso diverso al movimento della storia, dovremmo finalmente assistere alla rapida riorganizzazione e immediata ricostituzione di un forte e consapevole fronte di lavoratori europei, accomunati dall’esigenza di porre un limite alla ripresa e al rilancio di ideologie imperialistiche.
 


Riferimenti Bibliografici:


G. La Barbera, L’Europa e lo Stato, Milano, 2006
N. Stipcevic, La Serbia, la Guerra e l’Europa, Milano, 1999
R. Casella, Giganti dell’Asia, Milano, 2005
V. Lenin, L’imperialismo, fase suprema del capitalismo, Milano, 2002
V. Lenin, Stato e Rivoluzione, Milano, 2007
F. Engels, Antiduhring, Milano, 2003
G. Bocchi, M. Ceruti, Solidarietà o Barbarie, Milano, 1994
A. Maddison, L’Economia cinese, Milano, 2006
J. Bruner, La fabbrica delle storie, Roma-Bari, 2006



 

 

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