EUCLID
UN TELESCOPIO SPAZIALE, LA MATERIA E
L’ENERGIA OSCURA
di Francesco Cappellani
Le meravigliose cinque immagini a
colori del cosmo scattate dal
telescopio Euclid montato sulla
sonda spaziale della missione
dell’ESA col contributo della NASA,
partita da Cape Canaveral in Florida
lo scorso primo luglio 2023, hanno
inondato nei primi giorni di
novembre tutti i media e riportato
l’attenzione sulla bellezza
incomparabile della volta celeste e
sul problema irrisolto che Euclid
dovrebbe contribuire a chiarire,
cioè cosa siano l’energia oscura e
la materia oscura che costituiscono
circa il 95% dell’universo.
Dopo 11 anni di progettazione e
sviluppo con la collaborazione
internazionale di circa mille
scienziati, Euclid dal 30 luglio
2023 “galleggia” a 1,6 milioni di km
dalla terra nel punto 2 di Lagrange,
cioè uno dei cinque punti
“stazionari” dello spazio dove
l’attrazione gravitazionale tra la
terra e il sole si bilanciano.
Euclid è provvisto di un telescopio
con uno specchio di 1,2 m di
diametro che invia le immagini in
due spettrofotometri, uno, VIS, che
analizza la zona visibile della luce
delle galassie tra 550 e 900
nanometri e l’altro, NISP,
nell’infrarosso tra 950 e 2.020
nanometri. Quest’ultimo ha permesso
la realizzazione della magnifica
foto della galassia a spirale IC342
a 11 milioni di anni luce dalla
terra pubblicata da tutti i
giornali, chiamata la Galassia
Nascosta perché, essendo posizionata
vicino all’equatore galattico ricco
di polveri e gas che la oscurano, è
difficilmente osservabile nel
visibile. Euclid è in grado di
fornire un’immagine nell’infrarosso
con un tempo di esposizione di soli
100 secondi, e con tempi di poco
maggiori, dell’ordine di 6 minuti,
immagini di una accuratezza mai
raggiunta finora come quella
relativa alla foto dell’ammasso di
galassie Perseus, uno delle più
massicce strutture dell’universo a
240 milioni di anni luce, che mostra
mille galassie, molte delle quali
sconosciute fino a ieri, e altre
centomila compaiono sullo sfondo.
L’azione combinata delle
osservazioni di VIS e NISP
permetterà di misurare con alta
precisione il redshift cosmologico
delle galassie, cioè lo stiramento
della lunghezza d’onda della luce
emessa dovuto alla velocità di
allontanamento della sorgente
luminosa, causato dall’espansione in
progressiva accelerazione
dell’universo a partire, sembra, da
5 miliardi di anni fa, quando una
misteriosa energia oscura prende il
sopravvento sulla attrazione
gravitazionale. La misura del
redshift permette di calcolare il
tasso di espansione dell’universo e
la forza dell’energia oscura che ne
provoca l’accelerazione.
In particolare si spera che le
misure effettuate da Euclid riferite
a migliaia di galassie di ogni età
ci possano dire se questa energia
repulsiva del vuoto cosmico sia
rimasta con una densità costante
negli ultimi 10 miliardi di anni.
Inoltre l’analisi spettrale della
luce emessa, cioè lo studio della
presenza o meno di righe
caratteristiche dei vari elementi
chimici che la compongono, ci potrà
dare informazioni sulla chimica
della galassia.
Nei prossimi mesi, terminati tutti i
test programmati, all’inizio del
2024, Euclid inizierà la sua
missione che durerà sei anni e
coprirà circa un terzo del cielo
mappando in 3D la distribuzione di
1,5 miliardi di galassie fino a
distanze di 10 miliardi di anni
luce. Questa mappa estremamente
accurata rivelerà l’evoluzione delle
gigantesche strutture dell’universo
gestite dalla materia oscura e
dall’energia oscura, mentre misure
precise della forma delle galassie
daranno indicazioni sulla
distribuzione della massa oscura.
Da recenti dati, pubblicati nel
2022, la materia oscura, rivelabile
solo dai suoi effetti
gravitazionali, costituisce il 26,8%
di tutta la materia ed energia
dell’universo (ricordiamo
l’equivalenza massa/energia espressa
dall’equazione di Einstein E=mc²)
mentre la misteriosa energia oscura
è accreditata del 68,3%. Ne segue
che la materia visibile è il
rimanente 4,9% ed è tutto ciò che
noi riusciamo a vedere
nell’universo, dalle galassie alle
stelle, ai pianeti fino alla nostra
minuscola Terra.
La presenza di energia oscura e di
materia oscura condiziona la
geometria dell’universo, grumi di
materia oscura incurvando lo spazio,
come previsto dalla relatività
Einsteniana, possono deflettere la
luce proveniente da oggetti lontani
mentre l’accelerazione
dell’espansione dell’universo
causata dalla energia oscura
allontana le galassie tra loro,
variando le dimensioni del cosmo. Se
mediante le immagini ad alta
risoluzione di Euclid si riuscirà a
derivare i vari parametri relativi
ai movimenti e alle deformazioni di
milioni di galassie forse riusciremo
a scoprire qualcosa di queste oscure
entità che ci avvolgono, come
abbiamo visto, per oltre il 95%.
Energia oscura
Ma vediamo più in dettaglio come si
è arrivati a postulare l’esistenza
della materia e dell’energia oscura
e le teorie e gli esperimenti in
corso per tentare di svelare e
comprenderne i meccanismi. La
scoperta di questa energia elusiva
risale al 1998 quando gli astronomi
si accorsero da osservazioni
condotte col telescopio spaziale
Hubble di lontanissime supernove,
esplosioni stellari molto
energetiche e luminose che sono
importanti tracciatori di distanze
cosmologiche, che, in tempi lontani,
l’espansione dell’universo era più
lenta di quella attuale che appare
in continua crescita.
Tutte le strutture localmente
connesse come i gruppi di galassie
restano legate insieme dalla forza
di gravità, ma se le distanze tra i
“clusters” di galassie è molto
grande allora la gravità tra questi
insiemi è troppo debole per impedire
che si allontanino reciprocamente
l’uno dall’altro per l’effetto della
misteriosa “dark energy” repulsiva.
Ne segue che in media, su larga
scala, la densità dell’universo
continua a decrescere.
L’espansione iniziale era stata
scatenata dal Big Bang 13,8 miliardi
di anni fa e si supponeva che nel
tempo andasse rallentando a causa
della attrazione gravitazionale
reciproca dei miliardi di galassie
formatesi nel cosmo. L’anomalia
riscontrata in questo processo nel
1998 deve quindi essere causata o da
una energia sconosciuta che riempie
lo spazio oppure da un errore della
teoria Einsteniana della gravità,
finora dimostratasi corretta senza
eccezioni, che andrebbe modificata
per includere un qualche tipo di
campo di forze responsabile
dell’accelerazione cosmica.
Scartando la seconda ipotesi in
quanto finora tutte le osservazioni
sono consistenti con la teoria
generale della relatività,
confermata anche dalla recente
rivelazione delle onde
gravitazionali predette da Einstein
un secolo fa, non resta che
considerare questa “energia oscura”
una caratteristica dello spazio in
quanto localizzata dappertutto,
anche in assenza di materia.
Già Einstein aveva ipotizzato la
possibilità che nuovo spazio venga
creato e che lo spazio vuoto possa
avere una sua propria energia.
Matematicamente questa situazione è
codificata nelle equazioni di campo
della Relatività Generale da una
“costante cosmologica” che può
essere considerata equivalente alla
energia del vuoto e rappresenta una
densità costante di energia che
riempie lo spazio in modo omogeneo e
si comporta come una forza di segno
contrario rispetto alla gravità.
Un’altra ipotesi sulla energia
oscura è che sia un nuovo genere di
energia fluida o di campo fisico,
simile ad esempio al campo
elettromagnetico, che pervade tutto
lo spazio e i cui effetti
sull’espansione dell’universo sono
opposti a quelli dell’energia e
della materia normali. Alcuni
teorici, considerandola la quinta
forza fondamentale della natura dopo
la gravità, l’elettromagnetismo, la
forza debole e la forza forte,
l’hanno chiamata “quintessenza” dal
nome del quinto elemento della
filosofia greca. La quintessenza
differisce dalla teoria della
costante cosmologica per il suo
carattere dinamico, cioè variabile
nel tempo e nello spazio, mentre la
costante cosmologica, per
definizione, è costante e fissa. Ma
anche questa teoria non riesce a
spiegare cosa sia l’energia oscura,
né come interagisca e perché esiste.
Una diversa spiegazione di come lo
spazio acquisti energia viene dalla
teoria quantistica della materia che
spiega che lo spazio “vuoto” pullula
di particelle e antiparticelle
virtuali che incessantemente si
formano e si annichilano in tempi
infinitamente brevi. Queste
fluttuazioni del vuoto gli
conferiscono una energia, e quindi
una massa, che produrrebbe effetti
antigravitazionali determinando
l’accelerazione dell’espansione
dell’universo. Ma quando si cerca di
calcolare quanta energia si verrebbe
a creare in tal modo nello spazio
vuoto, si ottiene un valore enorme,
completamente fuori misura e privo
di senso fisico.
Un recentissimo articolo (Farrah
2023) propone l’ipotesi che
l’energia oscura possa derivare da
buchi neri supermassicci nel cuore
delle galassie. Come già accennato,
la meccanica quantistica ci dice che
lo spazio vuoto contiene un’energia
nota come “energia del vuoto”
distribuita in tutto l’Universo che
esercita una forza opposta alla
gravità. Nel 1966 il fisico russo
Erast Gliner aveva mostrato che le
equazioni di Einstein potevano
spiegare l’esistenza di oggetti che
visti dall’esterno appaiono e si
comportano come buchi neri ma sono
in effetti giganteschi contenitori
di energia del vuoto. Se tali
oggetti esistono allora l’energia
del vuoto non sarebbe distribuita
uniformemente nello spazio ma
risiederebbe in punti precisi,
all’interno dei buchi neri da dove
eserciterebbe la sua azione di
dilatazione dello spazio.
I buchi neri aumentano la loro massa
in due modi, catturando gas e
particelle o accorpandosi con altri
buchi neri. Studiando l’evoluzione
di buchi neri fino a nove miliardi
di anni fa in gigantesche galassie
ellittiche dormienti, gli autori
dell’articolo hanno scoperto che i
buchi neri più vecchi erano molto
più grandi di quanto si poteva
supporre considerando i due tipi di
crescita. Deve quindi esistere un
altro modo che permette ai buchi
neri di acquisire massa; i
ricercatori ritengono che sia
l’energia oscura sotto forma di
“energia del vuoto”. Attualmente
però molti tra i più noti cosmologi
sono scettici sulla bontà di questa
teoria.
Oggi sappiamo che l’energia oscura
esiste perché ne vediamo gli effetti
grazie a un inventario cosmico
sempre più dettagliato, ma non
sappiamo ancora nulla della sua
natura né come si sia originata ed
evoluta a partire dal Big Bang.
Nuove teorie e nuovi esperimenti si
succedono da oltre vent’anni ma a
oggi questa misteriosa entità resta
assolutamente ignota.
Materia oscura
La prima indicazione della possibile
esistenza della materia oscura, cioè
qualcosa che non emette, assorbe o
riflette radiazione
elettromagnetica, quindi luce in
qualsiasi lunghezza d’onda, e si
manifesta soltanto per i suoi
effetti gravitazionali, si deve
all’astrofisico svizzero Fritz
Zwicky che, studiando i movimenti
delle galassia nell’ammasso della
Chioma costituito da migliaia di
galassie realizzò che al suo interno
le galassie si muovevano con una
velocità nettamente superiore a
quella calcolabile considerando
l’effetto gravitazionale dovuto alle
stelle visibili.
Zwicky pensò che se gli ammassi
contenevano una elevata quantità di
materia invisibile, questa materia
avrebbe curvato lo spazio-tempo per
cui i raggi di luce che
attraversavano l’ammasso dovevano
deviare dalla traiettoria
rettilinea. Quindi l’ammasso si
comportava come una lente ottica,
deflettendo e poi facendo convergere
i raggi luminosi; questo effetto,
che Zwicky chiamò “lente
gravitazionale”, permetteva di
valutare la quantità di massa
coinvolta. In altre parole,
applicando la fisica newtoniana, le
galassie sarebbero dovute fuoruscire
dalla loro orbita in quanto
l’attrazione esercitata dalla massa
delle stelle visibili non sarebbe
stata sufficiente a vincolarle alla
traiettoria che veniva osservata col
telescopio né era sufficiente per
produrre la forza che curva la luce.
Zwicky pubblicò i suoi risultati nel
1933 affermando che solo
introducendo l’ipotesi
dell’esistenza di una “dunkle
materie” (materia oscura) invisibile
e ignota, molto maggiore della massa
visibile, si poteva giustificare
l’origine della forza gravitazionale
che tiene insieme gli ammassi di
galassie. Curiosamente l’attenzione
degli astrofisici per questa
pubblicazione fu praticamente nulla
forse anche a causa del difficile
carattere di Zwicky che gli alienava
ogni amicizia coi colleghi, per cui
dovettero passare circa quaranta
anni prima che due altri
astrofisici, Vera Rubin e Kent Ford,
negli anni settanta, cercando di
determinare la massa di singole
galassie a spirale, si accorsero che
il loro moto non era spiegabile
considerando la massa delle sole
stelle visibili in ciascuna
galassia.
Dopo molte e accuratissime misure
arrivarono alla conclusione che la
materia invisibile doveva essere
circa sei volte più abbondante di
quella visibile, risultando il tipo
di materia predominante
nell’Universo. Senza di essa
probabilmente non si sarebbero
formate le stelle nell’universo
primordiale e in seguito l’intera
struttura del cosmo.
Questa massa invisibile, generatasi
dal plasma ad altissima temperatura
durante il Big-Bang, non si estende
solo nelle regioni attorno alle
galassie, ma è presente come una
sottile ragnatela diffusa ovunque
nel cosmo di cui ne costituisce, a
larga scala, la struttura. Le
recenti simulazioni
dell’assemblaggio delle galassie ci
presentano infatti un universo
pervaso da una rete di materia
oscura filamentosa di bassa densità
che si estende anche negli spazi
intergalattici e connette gli aloni
molto densi di materia oscura dove
si trovano gli ammassi galattici.
Tentativi per spiegare da cosa sia
costituita la materia oscura hanno
avuto inizio già dagli anni
settanta, immaginando che la massa
oscura si trovasse distribuita in
aloni galattici chiamati MACHO
(Massive Compact Halo Object)
costituiti da materia ordinaria.
Oggi tale ipotesi è stata
completamente abbandonata in quanto,
dalle risultanze sperimentali e
dalle teorie cosmologiche più
avanzate appare sempre più probabile
che la materia oscura sia costituita
da particelle elementari
sconosciute.
Si stimava che il cosiddetto
“Modello Standard”, la teoria delle
particelle fondamentali sviluppata
negli anni sessanta del secolo
scorso, che ha sistematizzato in
modo preciso e definitivo il
complesso mondo delle particelle
subnucleari e delle loro
interazioni, con una capacità
predittiva incredibile, potesse
includere anche una qualche
particella che avesse le
caratteristiche necessarie per
descrivere la materia oscura. Ma di
queste particelle non è stata
riscontrata alcuna traccia credibile
all’interno del modello.
Circa quindici anni fa si è
affacciata l’idea che la materia
oscura sia costituita da particelle
subatomiche massive debolmente
interagenti prive di carica chiamate
WIMP (Weakly Interacting Massive
Particles), quindi soggette alla
gravità ma non a interazioni
elettromagnetiche. Le WIMP sono
predette da una estensione del
Modello Standard della fisica delle
particelle, chiamata Supersimmetria,
che postula che la simmetria fra le
due classi fondamentali di
particelle, i bosoni, come il fotone
e il bosone di Higgs che sono i
mediatori delle forze fondamentali,
e i fermioni che sono particelle
prive di struttura interna come i
quarks e l’elettrone, abbiano dei
superpartners nell’altra classe di
eguale massa ma con spin, una
caratteristica rotazionale
intrinseca, fissa e immutabile di
tutte le particelle materiali, che
differisce di ±1/2.
La supersimmetria è una teoria molto
bella matematicamente in grado di
spiegare alcuni importanti
interrogativi del Modello Standard,
ma per quanto riguarda l’esistenza
delle WIMP, a tutt’oggi, malgrado i
grandi sforzi sperimentali, dei
partner supersimmetrici, che
dovrebbero avere una massa
notevolmente maggiore delle
particelle ordinarie, non si è
trovata traccia. Al CERN di Ginevra
la ricerca per le WIMP condotta col
grande acceleratore LHC (Large
Hadron Collider) facendo collidere
fasci di protoni accelerati a
energie elevatissime non hanno
prodotto alcun risultato affidabile.
Non vi è segno di creazione di
particelle supersimmetriche o di
materia oscura con masse fino a
oltre 1.000 GeV (1 gigaelettronvolt
= un miliardo di eV) dove i fisici
speravano di trovarle.
Per contro si è anche ipotizzato che
la materia oscura sia costituita da
particelle neutre molto leggere
interagenti debolmente con la
materia chiamate Assioni,
originariamente proposte nell’ambito
di modelli relativi alla
cromodinamica quantistica. Gli
assioni sarebbero stati prodotti
durante il Big-Bang e potrebbero
essere un componente non barionico
della materia oscura. Ma anche per
questa ipotesi al momento non ci
sono conferme.
In parallelo sono stati progettati e
sono in funzioni complessi
esperimenti volti a una rivelazione
diretta della presenza di particelle
di materia oscura che viaggiano
nell’universo, usando rivelatori
composti da materiali sensibili in
grado di rilasciare un segnale
luminoso, una scintillazione,
qualora si abbia una collisione tra
una particella e la sostanza del
rivelatore. I lampi di luce vengono
registrati dai fotomoltiplicatori
che circondano il contenitore del
rivelatore. Si tratta di grossi
recipienti contenenti Argon liquido
o Xenon liquido raffreddati a
temperature vicino allo zero
assoluto, oppure di cristalli
purissimi di ioduro di sodio,
alloggiati sotto terra o sotto una
montagna per diminuire
l’interferenza dei raggi cosmici, e
pesantemente schermati per ridurre
il rumore di fondo dovuto alla
radioattività naturale delle rocce
circostanti.
L’esperimento in corso a Sudbury
(Ontario) usa 3.600 Kg di argon
liquido ed è posizionato in una
miniera alla profondità di 2000
metri per schermare il
sensibilissimo rivelatore dai raggi
cosmici e da qualunque altro
“rumore” ambientale. In Italia è
attivo nei laboratori dell’Istituto
Nazionale di Fisica Nucleare del
Gran Sasso, sotto 1.400 metri di
roccia, il progetto DAMA (DArk
MAtter) che usa come scintillatori
una matrice di cristalli radio-puri
di ioduro di sodio all’interno di
una schermatura di molte tonnellate
per ridurre il fondo radioattivo
dovuto ai materiali delle pareti. Un
esperimento simile, chiamato
COSINE-100, usa 100 Kg di purissimo
ioduro di sodio ed è in corso
d’opera nel laboratorio sotterraneo
di Yangyang nella Corea del Sud.
Un altro esperimento è stato
inaugurato alla fine del 2015 nel
laboratorio del Gran Sasso, una
nuova trappola per la materia oscura
chiamata Xenon 1T alta 10 metri, con
un cuore composto da un contenitore
riempito con 3,5 tonnellate di xenon
liquido purissimo sul quale sono
affacciati 248 fotomoltiplicatori
capaci di rivelare ogni singolo
fotone dovuto alle interazioni delle
particelle di materia oscura con lo
xenon. Dall’analisi dei segnali
luminosi si può risalire all’energia
e alla posizione della particella, e
alla sua natura. Il progetto è il
risultato di una collaborazione
internazionale di 21 gruppi di
ricerca. L’anno scorso sono iniziate
le misure del progetto Lux-Zeplin in
una ex-miniera d’oro nel sud-Dakota
da parte della DOE (United States
Department of Energy) e del Lawrence
Berkeley National Laboratory e altri
esperimenti sono in fase di
realizzazione.
Finora tutti questi sforzi non hanno
prodotto alcun risultato tanto che i
fisici stanno esplorando nuove
possibilità di ricerca e nuove idee
o teorie alternative, come ad
esempio l’ipotesi che la materia
oscura possa non interagire in alcun
modo con le particelle conosciute,
oppure, anche se già in gran parte
respinte, versioni diverse della
teoria della gravità che permettano
di evitare la necessità di ricorrere
alla materia oscura per spiegare i
fenomeni galattici.
Attualmente, visto che, malgrado i
continui progressi tecnologici, gli
esperimenti basati su interazioni di
particelle della materia oscura con
particelle di quella ordinaria non
hanno prodotto risultati convincenti
se non sporadiche osservazioni mai
riconfermate, si è cominciato a
pensare a un cambiamento radicale di
prospettiva e cioè che la materia
oscura sia un mondo parallelo ma
separato da quello che conosciamo,
cioè il mondo della materia
“barionica” costituita da protoni,
neutroni ed elettroni spiegato dal
Modello Standard, chiamato “dark
sector” (settore oscuro) che include
la materia oscura e che si accoppia
debolmente al settore ordinario.
La materia oscura non avendo le
proprietà della materia ordinaria è
sicuramente non barionica e quindi
costituita da particelle differenti
e sconosciute che dovrebbero
interagire fra loro mediante “fotoni
oscuri” che, analogamente ai fotoni
ordinari che sono i mediatori della
forza elettromagnetica, sarebbero
mediatori di una forza ignota.
Calcoli teorici mostrerebbero che i
fotoni oscuri possano mutarsi
spontaneamente in fotoni ordinari e
viceversa anche se con bassissima
probabilità, un fenomeno chiamato
“kinetic mixing”. Questo potrebbe
essere un modo con cui il settore
oscuro, e per estensione la materia
oscura, potrebbe interagire con la
materia visibile e fornirci
indicazioni per arrivare a qualche
dato sulla “dark matter”. A
differenza dei fotoni normali, i
fotoni oscuri avrebbero una
minuscola massa, e sarebbero
rilevabili solo indirettamente, ad
esempio come prodotti
dell’annichilazione di una coppia
elettrone-positrone (la
antiparticella degli elettroni) che
genera energia sotto forma di una
coppia di fotoni. La teoria prevede
che queste coppie in alcuni rari
casi possano essere una “miscela” di
fotoni normali e fotoni oscuri.
Importanti esperimenti di
annichilazione come il PADME (Positron
annihilation into Dark Matter
Experiment) nei laboratori di
Frascati, o il BaBar allo SLAC
(Stanford Linear Accelerator Center)
in California, sono in corso per
rivelare qualche caso in cui anziché
una coppia si osservi un solo fotone
ordinario, confermando così la
produzione contemporanea di un
fotone oscuro; i risultati di queste
misure dovrebbero permettere di
ottenere il valore del “kinetic
mixing” che aprirebbe la strada a
una conferma sperimentale della
teoria del fotone oscuro basata al
momento solo su supposizioni
teoriche e modelli di calcolo.
Un’altra ipotesi di esistenza di
fotoni oscuri è stata formulata in
un recente articolo di fine 2022 (Bolton,
Caputo, Liu, Viel 2022). Gli
autori hanno raccolto i dati forniti
dal COS (Cosmic Origin Spectrograph)
a bordo del telescopio spaziale
Hubble, di alcune proprietà del
“cosmic web” (ragnatela cosmica), un
complesso agglomerato di filamenti
che riempie lo spazio tra le
galassie estendendosi nell’universo
per distanze enormi dell’ordine dei
200 milioni di anni-luce. I dati del
COS indicano che questi filamenti
sono più caldi di quanto previsto
dalle simulazioni che ne riproducono
la formazione seguendo il Modello
Standard.
Come spiega uno degli autori, Matteo
Viel: «Una possibile spiegazione è
ammettere l’esistenza di fotoni
oscuri che si convertono in fotoni
ordinari, i quali a loro volta
interagiscono con il mezzo
interstellare producendo un aumento
della temperatura del filamento». La
materia oscura potrebbe quindi
essere costituita da fotoni di massa
trascurabile ma non privi di massa
che avrebbero scaldato l’universo
trasformandosi in fotoni “visibili”
di bassa frequenza.
Il fotone oscuro potrebbe essere
l’elemento di connessione o almeno
di comunicazione tra il mondo oscuro
e quello visibile, un portale tra il
“Dark Sector” e il Modello Standard.
La sua scoperta è uno dei massimi
traguardi che la fisica si è posta
per il ruolo essenziale che il “dark
photon” avrebbe nello spiegare la
natura intima e in gran parte
sconosciuta dell’Universo. Come
abbiamo visto molti esperimenti sono
già attivi in laboratori di tutto il
mondo con diverse modalità
operative, anche il CERN è impegnato
attualmente in questa ricerca che
coinvolgerà anche il prossimo Run-4
dell’acceleratore LHC tra il 2029 e
il 2032.
Nel maggio del 2027 sarà lanciato il
Nancy Grace Roman Space Telescope
della Nasa per una missione spaziale
di cinque anni dotato di un
telescopio di 2,4 m. di diametro
(come quello di Hubble ma con un
campo visivo 100 volte maggiore) e
strumentazioni sempre più
sofisticate per scoprire e
caratterizzare al meglio miliardi di
oggetti cosmici, con la speranza,
unitamente ai tanti altri
esperimenti in corso, di arrivare
finalmente a disvelare
l’appassionante mistero della
energia e della materia oscura, cioè
il “dark side” del nostro Universo.
Riferimenti bibliografici:
Duncan Farrah et al.,
Observational Evidence for
Cosmological Coupling of Black Holes
and its Implications for an
Astrophysical Source of Dark Energy
in The Astrophysical Journal
Letters, vol. 944, n. 944,
February 2023.
James S. Bolton, Andrea Caputo,
Hongwan Liu and Matteo Viel,
Comparison of Low-Redshift Lyman-α
Forest Observations to
Hydrodynamical Simulations with Dark
Photon Dark Matter, Phys. Rev.
Lett. 129, 211102 - 18 November
2022.