[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

192 / DICEMBRE 2023 (CCXXIII)


ambiente

EUCLID

UN TELESCOPIO SPAZIALE, LA MATERIA E L’ENERGIA OSCURA

di Francesco Cappellani

 
Le meravigliose cinque immagini a colori del cosmo scattate dal telescopio Euclid montato sulla sonda spaziale della missione dell’ESA col contributo della NASA, partita da Cape Canaveral in Florida lo scorso primo luglio 2023, hanno inondato nei primi giorni di novembre tutti i media e riportato l’attenzione sulla bellezza incomparabile della volta celeste e sul problema irrisolto che Euclid dovrebbe contribuire a chiarire, cioè cosa siano l’energia oscura e la materia oscura che costituiscono circa il 95% dell’universo.

Dopo 11 anni di progettazione e sviluppo con la collaborazione internazionale di circa mille scienziati, Euclid dal 30 luglio 2023 “galleggia” a 1,6 milioni di km dalla terra nel punto 2 di Lagrange, cioè uno dei cinque punti “stazionari” dello spazio dove l’attrazione gravitazionale tra la terra e il sole si bilanciano.

Euclid è provvisto di un telescopio con uno specchio di 1,2 m di diametro che invia le immagini in due spettrofotometri, uno, VIS, che analizza la zona visibile della luce delle galassie tra 550 e 900 nanometri e l’altro, NISP, nell’infrarosso tra 950 e 2.020 nanometri. Quest’ultimo ha permesso la realizzazione della magnifica foto della galassia a spirale IC342 a 11 milioni di anni luce dalla terra pubblicata da tutti i giornali, chiamata la Galassia Nascosta perché, essendo posizionata vicino all’equatore galattico ricco di polveri e gas che la oscurano, è difficilmente osservabile nel visibile. Euclid è in grado di fornire un’immagine nell’infrarosso con un tempo di esposizione di soli 100 secondi, e con tempi di poco maggiori, dell’ordine di 6 minuti, immagini di una accuratezza mai raggiunta finora come quella relativa alla foto dell’ammasso di galassie Perseus, uno delle più massicce strutture dell’universo a 240 milioni di anni luce, che mostra mille galassie, molte delle quali sconosciute fino a ieri, e altre centomila compaiono sullo sfondo.

L’azione combinata delle osservazioni di VIS e NISP permetterà di misurare con alta precisione il redshift cosmologico delle galassie, cioè lo stiramento della lunghezza d’onda della luce emessa dovuto alla velocità di allontanamento della sorgente luminosa, causato dall’espansione in progressiva accelerazione dell’universo a partire, sembra, da 5 miliardi di anni fa, quando una misteriosa energia oscura prende il sopravvento sulla attrazione gravitazionale. La misura del redshift permette di calcolare il tasso di espansione dell’universo e la forza dell’energia oscura che ne provoca l’accelerazione.

In particolare si spera che le misure effettuate da Euclid riferite a migliaia di galassie di ogni età ci possano dire se questa energia repulsiva del vuoto cosmico sia rimasta con una densità costante negli ultimi 10 miliardi di anni. Inoltre l’analisi spettrale della luce emessa, cioè lo studio della presenza o meno di righe caratteristiche dei vari elementi chimici che la compongono, ci potrà dare informazioni sulla chimica della galassia.

Nei prossimi mesi, terminati tutti i test programmati, all’inizio del 2024, Euclid inizierà la sua missione che durerà sei anni e coprirà circa un terzo del cielo mappando in 3D la distribuzione di 1,5 miliardi di galassie fino a distanze di 10 miliardi di anni luce. Questa mappa estremamente accurata rivelerà l’evoluzione delle gigantesche strutture dell’universo gestite dalla materia oscura e dall’energia oscura, mentre misure precise della forma delle galassie daranno indicazioni sulla distribuzione della massa oscura.

Da recenti dati, pubblicati nel 2022, la materia oscura, rivelabile solo dai suoi effetti gravitazionali, costituisce il 26,8% di tutta la materia ed energia dell’universo (ricordiamo l’equivalenza massa/energia espressa dall’equazione di Einstein E=mc²) mentre la misteriosa energia oscura è accreditata del 68,3%. Ne segue che la materia visibile è il rimanente 4,9% ed è tutto ciò che noi riusciamo a vedere nell’universo, dalle galassie alle stelle, ai pianeti fino alla nostra minuscola Terra.

La presenza di energia oscura e di materia oscura condiziona la geometria dell’universo, grumi di materia oscura incurvando lo spazio, come previsto dalla relatività Einsteniana, possono deflettere la luce proveniente da oggetti lontani mentre l’accelerazione dell’espansione dell’universo causata dalla energia oscura allontana le galassie tra loro, variando le dimensioni del cosmo. Se mediante le immagini ad alta risoluzione di Euclid si riuscirà a derivare i vari parametri relativi ai movimenti e alle deformazioni di milioni di galassie forse riusciremo a scoprire qualcosa di queste oscure entità che ci avvolgono, come abbiamo visto, per oltre il 95%.

Energia oscura

Ma vediamo più in dettaglio come si è arrivati a postulare l’esistenza della materia e dell’energia oscura e le teorie e gli esperimenti in corso per tentare di svelare e comprenderne i meccanismi. La scoperta di questa energia elusiva risale al 1998 quando gli astronomi si accorsero da osservazioni condotte col telescopio spaziale Hubble di lontanissime supernove, esplosioni stellari molto energetiche e luminose che sono importanti tracciatori di distanze cosmologiche, che, in tempi lontani, l’espansione dell’universo era più lenta di quella attuale che appare in continua crescita.

Tutte le strutture localmente connesse come i gruppi di galassie restano legate insieme dalla forza di gravità, ma se le distanze tra i “clusters” di galassie è molto grande allora la gravità tra questi insiemi è troppo debole per impedire che si allontanino reciprocamente l’uno dall’altro per l’effetto della misteriosa “dark energy” repulsiva. Ne segue che in media, su larga scala, la densità dell’universo continua a decrescere.

L’espansione iniziale era stata scatenata dal Big Bang 13,8 miliardi di anni fa e si supponeva che nel tempo andasse rallentando a causa della attrazione gravitazionale reciproca dei miliardi di galassie formatesi nel cosmo. L’anomalia riscontrata in questo processo nel 1998 deve quindi essere causata o da una energia sconosciuta che riempie lo spazio oppure da un errore della teoria Einsteniana della gravità, finora dimostratasi corretta senza eccezioni, che andrebbe modificata per includere un qualche tipo di campo di forze responsabile dell’accelerazione cosmica.

Scartando la seconda ipotesi in quanto finora tutte le osservazioni sono consistenti con la teoria generale della relatività, confermata anche dalla recente rivelazione delle onde gravitazionali predette da Einstein un secolo fa, non resta che considerare questa “energia oscura” una caratteristica dello spazio in quanto localizzata dappertutto, anche in assenza di materia.

Già Einstein aveva ipotizzato la possibilità che nuovo spazio venga creato e che lo spazio vuoto possa avere una sua propria energia. Matematicamente questa situazione è codificata nelle equazioni di campo della Relatività Generale da una “costante cosmologica” che può essere considerata equivalente alla energia del vuoto e rappresenta una densità costante di energia che riempie lo spazio in modo omogeneo e si comporta come una forza di segno contrario rispetto alla gravità.

Un’altra ipotesi sulla energia oscura è che sia un nuovo genere di energia fluida o di campo fisico, simile ad esempio al campo elettromagnetico, che pervade tutto lo spazio e i cui effetti sull’espansione dell’universo sono opposti a quelli dell’energia e della materia normali. Alcuni teorici, considerandola la quinta forza fondamentale della natura dopo la gravità, l’elettromagnetismo, la forza debole e la forza forte, l’hanno chiamata “quintessenza” dal nome del quinto elemento della filosofia greca. La quintessenza differisce dalla teoria della costante cosmologica per il suo carattere dinamico, cioè variabile nel tempo e nello spazio, mentre la costante cosmologica, per definizione, è costante e fissa. Ma anche questa teoria non riesce a spiegare cosa sia l’energia oscura, né come interagisca e perché esiste.

Una diversa spiegazione di come lo spazio acquisti energia viene dalla teoria quantistica della materia che spiega che lo spazio “vuoto” pullula di particelle e antiparticelle virtuali che incessantemente si formano e si annichilano in tempi infinitamente brevi. Queste fluttuazioni del vuoto gli conferiscono una energia, e quindi una massa, che produrrebbe effetti antigravitazionali determinando l’accelerazione dell’espansione dell’universo. Ma quando si cerca di calcolare quanta energia si verrebbe a creare in tal modo nello spazio vuoto, si ottiene un valore enorme, completamente fuori misura e privo di senso fisico.

Un recentissimo articolo (Farrah 2023) propone l’ipotesi che l’energia oscura possa derivare da buchi neri supermassicci nel cuore delle galassie. Come già accennato, la meccanica quantistica ci dice che lo spazio vuoto contiene un’energia nota come “energia del vuoto” distribuita in tutto l’Universo che esercita una forza opposta alla gravità. Nel 1966 il fisico russo Erast Gliner aveva mostrato che le equazioni di Einstein potevano spiegare l’esistenza di oggetti che visti dall’esterno appaiono e si comportano come buchi neri ma sono in effetti giganteschi contenitori di energia del vuoto. Se tali oggetti esistono allora l’energia del vuoto non sarebbe distribuita uniformemente nello spazio ma risiederebbe in punti precisi, all’interno dei buchi neri da dove eserciterebbe la sua azione di dilatazione dello spazio.

I buchi neri aumentano la loro massa in due modi, catturando gas e particelle o accorpandosi con altri buchi neri. Studiando l’evoluzione di buchi neri fino a nove miliardi di anni fa in gigantesche galassie ellittiche dormienti, gli autori dell’articolo hanno scoperto che i buchi neri più vecchi erano molto più grandi di quanto si poteva supporre considerando i due tipi di crescita. Deve quindi esistere un altro modo che permette ai buchi neri di acquisire massa; i ricercatori ritengono che sia l’energia oscura sotto forma di “energia del vuoto”. Attualmente però molti tra i più noti cosmologi sono scettici sulla bontà di questa teoria.

Oggi sappiamo che l’energia oscura esiste perché ne vediamo gli effetti grazie a un inventario cosmico sempre più dettagliato, ma non sappiamo ancora nulla della sua natura né come si sia originata ed evoluta a partire dal Big Bang. Nuove teorie e nuovi esperimenti si succedono da oltre vent’anni ma a oggi questa misteriosa entità resta assolutamente ignota.

Materia oscura

La prima indicazione della possibile esistenza della materia oscura, cioè qualcosa che non emette, assorbe o riflette radiazione elettromagnetica, quindi luce in qualsiasi lunghezza d’onda, e si manifesta soltanto per i suoi effetti gravitazionali, si deve all’astrofisico svizzero Fritz Zwicky che, studiando i movimenti delle galassia nell’ammasso della Chioma costituito da migliaia di galassie realizzò che al suo interno le galassie si muovevano con una velocità nettamente superiore a quella calcolabile considerando l’effetto gravitazionale dovuto alle stelle visibili.

Zwicky pensò che se gli ammassi contenevano una elevata quantità di materia invisibile, questa materia avrebbe curvato lo spazio-tempo per cui i raggi di luce che attraversavano l’ammasso dovevano deviare dalla traiettoria rettilinea. Quindi l’ammasso si comportava come una lente ottica, deflettendo e poi facendo convergere i raggi luminosi; questo effetto, che Zwicky chiamò “lente gravitazionale”, permetteva di valutare la quantità di massa coinvolta. In altre parole, applicando la fisica newtoniana, le galassie sarebbero dovute fuoruscire dalla loro orbita in quanto l’attrazione esercitata dalla massa delle stelle visibili non sarebbe stata sufficiente a vincolarle alla traiettoria che veniva osservata col telescopio né era sufficiente per produrre la forza che curva la luce.

Zwicky pubblicò i suoi risultati nel 1933 affermando che solo introducendo l’ipotesi dell’esistenza di una “dunkle materie” (materia oscura) invisibile e ignota, molto maggiore della massa visibile, si poteva giustificare l’origine della forza gravitazionale che tiene insieme gli ammassi di galassie. Curiosamente l’attenzione degli astrofisici per questa pubblicazione fu praticamente nulla forse anche a causa del difficile carattere di Zwicky che gli alienava ogni amicizia coi colleghi, per cui dovettero passare circa quaranta anni prima che due altri astrofisici, Vera Rubin e Kent Ford, negli anni settanta, cercando di determinare la massa di singole galassie a spirale, si accorsero che il loro moto non era spiegabile considerando la massa delle sole stelle visibili in ciascuna galassia.

Dopo molte e accuratissime misure arrivarono alla conclusione che la materia invisibile doveva essere circa sei volte più abbondante di quella visibile, risultando il tipo di materia predominante nell’Universo. Senza di essa probabilmente non si sarebbero formate le stelle nell’universo primordiale e in seguito l’intera struttura del cosmo.

Questa massa invisibile, generatasi dal plasma ad altissima temperatura durante il Big-Bang, non si estende solo nelle regioni attorno alle galassie, ma è presente come una sottile ragnatela diffusa ovunque nel cosmo di cui ne costituisce, a larga scala, la struttura. Le recenti simulazioni dell’assemblaggio delle galassie ci presentano infatti un universo pervaso da una rete di materia oscura filamentosa di bassa densità che si estende anche negli spazi intergalattici e connette gli aloni molto densi di materia oscura dove si trovano gli ammassi galattici.

Tentativi per spiegare da cosa sia costituita la materia oscura hanno avuto inizio già dagli anni settanta, immaginando che la massa oscura si trovasse distribuita in aloni galattici chiamati MACHO (Massive Compact Halo Object) costituiti da materia ordinaria. Oggi tale ipotesi è stata completamente abbandonata in quanto, dalle risultanze sperimentali e dalle teorie cosmologiche più avanzate appare sempre più probabile che la materia oscura sia costituita da particelle elementari sconosciute.

Si stimava che il cosiddetto “Modello Standard”, la teoria delle particelle fondamentali sviluppata negli anni sessanta del secolo scorso, che ha sistematizzato in modo preciso e definitivo il complesso mondo delle particelle subnucleari e delle loro interazioni, con una capacità predittiva incredibile, potesse includere anche una qualche particella che avesse le caratteristiche necessarie per descrivere la materia oscura. Ma di queste particelle non è stata riscontrata alcuna traccia credibile all’interno del modello.

Circa quindici anni fa si è affacciata l’idea che la materia oscura sia costituita da particelle subatomiche massive debolmente interagenti prive di carica chiamate WIMP (Weakly Interacting Massive Particles), quindi soggette alla gravità ma non a interazioni elettromagnetiche. Le WIMP sono predette da una estensione del Modello Standard della fisica delle particelle, chiamata Supersimmetria, che postula che la simmetria fra le due classi fondamentali di particelle, i bosoni, come il fotone e il bosone di Higgs che sono i mediatori delle forze fondamentali, e i fermioni che sono particelle prive di struttura interna come i quarks e l’elettrone, abbiano dei superpartners nell’altra classe di eguale massa ma con spin, una caratteristica rotazionale intrinseca, fissa e immutabile di tutte le particelle materiali, che differisce di ±1/2.

La supersimmetria è una teoria molto bella matematicamente in grado di spiegare alcuni importanti interrogativi del Modello Standard, ma per quanto riguarda l’esistenza delle WIMP, a tutt’oggi, malgrado i grandi sforzi sperimentali, dei partner supersimmetrici, che dovrebbero avere una massa notevolmente maggiore delle particelle ordinarie, non si è trovata traccia. Al CERN di Ginevra la ricerca per le WIMP condotta col grande acceleratore LHC (Large Hadron Collider) facendo collidere fasci di protoni accelerati a energie elevatissime non hanno prodotto alcun risultato affidabile. Non vi è segno di creazione di particelle supersimmetriche o di materia oscura con masse fino a oltre 1.000 GeV (1 gigaelettronvolt = un miliardo di eV) dove i fisici speravano di trovarle.

Per contro si è anche ipotizzato che la materia oscura sia costituita da particelle neutre molto leggere interagenti debolmente con la materia chiamate Assioni, originariamente proposte nell’ambito di modelli relativi alla cromodinamica quantistica. Gli assioni sarebbero stati prodotti durante il Big-Bang e potrebbero essere un componente non barionico della materia oscura. Ma anche per questa ipotesi al momento non ci sono conferme.

In parallelo sono stati progettati e sono in funzioni complessi esperimenti volti a una rivelazione diretta della presenza di particelle di materia oscura che viaggiano nell’universo, usando rivelatori composti da materiali sensibili in grado di rilasciare un segnale luminoso, una scintillazione, qualora si abbia una collisione tra una particella e la sostanza del rivelatore. I lampi di luce vengono registrati dai fotomoltiplicatori che circondano il contenitore del rivelatore. Si tratta di grossi recipienti contenenti Argon liquido o Xenon liquido raffreddati a temperature vicino allo zero assoluto, oppure di cristalli purissimi di ioduro di sodio, alloggiati sotto terra o sotto una montagna per diminuire l’interferenza dei raggi cosmici, e pesantemente schermati per ridurre il rumore di fondo dovuto alla radioattività naturale delle rocce circostanti.

L’esperimento in corso a Sudbury (Ontario) usa 3.600 Kg di argon liquido ed è posizionato in una miniera alla profondità di 2000 metri per schermare il sensibilissimo rivelatore dai raggi cosmici e da qualunque altro “rumore” ambientale. In Italia è attivo nei laboratori dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare del Gran Sasso, sotto 1.400 metri di roccia, il progetto DAMA (DArk MAtter) che usa come scintillatori una matrice di cristalli radio-puri di ioduro di sodio all’interno di una schermatura di molte tonnellate per ridurre il fondo radioattivo dovuto ai materiali delle pareti. Un esperimento simile, chiamato COSINE-100, usa 100 Kg di purissimo ioduro di sodio ed è in corso d’opera nel laboratorio sotterraneo di Yangyang nella Corea del Sud.

Un altro esperimento è stato inaugurato alla fine del 2015 nel laboratorio del Gran Sasso, una nuova trappola per la materia oscura chiamata Xenon 1T alta 10 metri, con un cuore composto da un contenitore riempito con 3,5 tonnellate di xenon liquido purissimo sul quale sono affacciati 248 fotomoltiplicatori capaci di rivelare ogni singolo fotone dovuto alle interazioni delle particelle di materia oscura con lo xenon. Dall’analisi dei segnali luminosi si può risalire all’energia e alla posizione della particella, e alla sua natura. Il progetto è il risultato di una collaborazione internazionale di 21 gruppi di ricerca. L’anno scorso sono iniziate le misure del progetto Lux-Zeplin in una ex-miniera d’oro nel sud-Dakota da parte della DOE (United States Department of Energy) e del Lawrence Berkeley National Laboratory e altri esperimenti sono in fase di realizzazione.

Finora tutti questi sforzi non hanno prodotto alcun risultato tanto che i fisici stanno esplorando nuove possibilità di ricerca e nuove idee o teorie alternative, come ad esempio l’ipotesi che la materia oscura possa non interagire in alcun modo con le particelle conosciute, oppure, anche se già in gran parte respinte, versioni diverse della teoria della gravità che permettano di evitare la necessità di ricorrere alla materia oscura per spiegare i fenomeni galattici.

Attualmente, visto che, malgrado i continui progressi tecnologici, gli esperimenti basati su interazioni di particelle della materia oscura con particelle di quella ordinaria non hanno prodotto risultati convincenti se non sporadiche osservazioni mai riconfermate, si è cominciato a pensare a un cambiamento radicale di prospettiva e cioè che la materia oscura sia un mondo parallelo ma separato da quello che conosciamo, cioè il mondo della materia “barionica” costituita da protoni, neutroni ed elettroni spiegato dal Modello Standard, chiamato “dark sector” (settore oscuro) che include la materia oscura e che si accoppia debolmente al settore ordinario.

La materia oscura non avendo le proprietà della materia ordinaria è sicuramente non barionica e quindi costituita da particelle differenti e sconosciute che dovrebbero interagire fra loro mediante “fotoni oscuri” che, analogamente ai fotoni ordinari che sono i mediatori della forza elettromagnetica, sarebbero mediatori di una forza ignota.

Calcoli teorici mostrerebbero che i fotoni oscuri possano mutarsi spontaneamente in fotoni ordinari e viceversa anche se con bassissima probabilità, un fenomeno chiamato “kinetic mixing”. Questo potrebbe essere un modo con cui il settore oscuro, e per estensione la materia oscura, potrebbe interagire con la materia visibile e fornirci indicazioni per arrivare a qualche dato sulla “dark matter”. A differenza dei fotoni normali, i fotoni oscuri avrebbero una minuscola massa, e sarebbero rilevabili solo indirettamente, ad esempio come prodotti dell’annichilazione di una coppia elettrone-positrone (la antiparticella degli elettroni) che genera energia sotto forma di una coppia di fotoni. La teoria prevede che queste coppie in alcuni rari casi possano essere una “miscela” di fotoni normali e fotoni oscuri.

Importanti esperimenti di annichilazione come il PADME (Positron annihilation into Dark Matter Experiment) nei laboratori di Frascati, o il BaBar allo SLAC (Stanford Linear Accelerator Center) in California, sono in corso per rivelare qualche caso in cui anziché una coppia si osservi un solo fotone ordinario, confermando così la produzione contemporanea di un fotone oscuro; i risultati di queste misure dovrebbero permettere di ottenere il valore del “kinetic mixing” che aprirebbe la strada a una conferma sperimentale della teoria del fotone oscuro basata al momento solo su supposizioni teoriche e modelli di calcolo.

Un’altra ipotesi di esistenza di fotoni oscuri è stata formulata in un recente articolo di fine 2022 (Bolton, Caputo, Liu, Viel 2022). Gli autori hanno raccolto i dati forniti dal COS (Cosmic Origin Spectrograph) a bordo del telescopio spaziale Hubble, di alcune proprietà del “cosmic web” (ragnatela cosmica), un complesso agglomerato di filamenti che riempie lo spazio tra le galassie estendendosi nell’universo per distanze enormi dell’ordine dei 200 milioni di anni-luce. I dati del COS indicano che questi filamenti sono più caldi di quanto previsto dalle simulazioni che ne riproducono la formazione seguendo il Modello Standard.

Come spiega uno degli autori, Matteo Viel: «Una possibile spiegazione è ammettere l’esistenza di fotoni oscuri che si convertono in fotoni ordinari, i quali a loro volta interagiscono con il mezzo interstellare producendo un aumento della temperatura del filamento». La materia oscura potrebbe quindi essere costituita da fotoni di massa trascurabile ma non privi di massa che avrebbero scaldato l’universo trasformandosi in fotoni “visibili” di bassa frequenza.

Il fotone oscuro potrebbe essere l’elemento di connessione o almeno di comunicazione tra il mondo oscuro e quello visibile, un portale tra il “Dark Sector” e il Modello Standard. La sua scoperta è uno dei massimi traguardi che la fisica si è posta per il ruolo essenziale che il “dark photon” avrebbe nello spiegare la natura intima e in gran parte sconosciuta dell’Universo. Come abbiamo visto molti esperimenti sono già attivi in laboratori di tutto il mondo con diverse modalità operative, anche il CERN è impegnato attualmente in questa ricerca che coinvolgerà anche il prossimo Run-4 dell’acceleratore LHC tra il 2029 e il 2032.

Nel maggio del 2027 sarà lanciato il Nancy Grace Roman Space Telescope della Nasa per una missione spaziale di cinque anni dotato di un telescopio di 2,4 m. di diametro (come quello di Hubble ma con un campo visivo 100 volte maggiore) e strumentazioni sempre più sofisticate per scoprire e caratterizzare al meglio miliardi di oggetti cosmici, con la speranza, unitamente ai tanti altri esperimenti in corso, di arrivare finalmente a disvelare l’appassionante mistero della energia e della materia oscura, cioè il “dark side” del nostro Universo.


Riferimenti bibliografici:


Duncan Farrah et al., Observational Evidence for Cosmological Coupling of Black Holes and its Implications for an Astrophysical Source of Dark Energy in The Astrophysical Journal Letters, vol. 944, n. 944, February 2023.
James S. Bolton, Andrea Caputo, Hongwan Liu and Matteo Viel, Comparison of Low-Redshift Lyman-α Forest Observations to Hydrodynamical Simulations with Dark Photon Dark Matter, Phys. Rev. Lett. 129, 211102 - 18 November 2022.

RUBRICHE


attualità

ambiente

arte

filosofia & religione

storia & sport

turismo storico

 

PERIODI


contemporanea

moderna

medievale

antica

 

ARCHIVIO

 

COLLABORA


scrivi per instoria

 

 

 

 

PUBBLICA CON GBE


Archeologia e Storia

Architettura

Edizioni d’Arte

Libri fotografici

Poesia

Ristampe Anastatiche

Saggi inediti

.

catalogo

pubblica con noi

 

 

 

CERCA NEL SITO


cerca e premi tasto "invio"

 


by FreeFind

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]