N. 51 - Marzo 2012
(LXXXII)
le dispute medioevali sull'eucarestia
tra corpo e spirito
di Dalia Fortini
Il
Medioevo
è
considerato
dai
manuali
di
storia
contemporanea
come
il
secolo
buio,
un
secolo
caratterizzato
dall’ignoranza
e
dalla
morte
della
cultura.
In
realtà
il
Medioevo
è
stato
un
periodo
di
fermento
culturale,
certamente
legato
alla
Chiesa,
ma
pur
sempre
un
tempo
dove
si
cercava
di
unire
culturalmente
laddove
le
invasioni,
le
divisioni,
le
nuove
condizioni
territoriali
e
l’instabilità
non
permettevano
un
equilibrio
non
solo
a
livello
territoriale
ma
anche
culturale.
La
ragione
umana
viene
indagata,
i
pensatori
cominciano
a
chiedersi
quali
sono
i
limiti
dell’uomo,
quali
i
limiti
della
ragione,
del
pensiero
umano.
Proprio
grazie
a
Carlo
Magno,
grande
sostenitore
della
cultura,
la
dimensione
dell’importanza
dell’insegnamento,
delle
scuole,
del
latino,
non
viene
dimenticata.
Le
materie
più
insegnate
all’epoca
sono
la
grammatica,
l’arte
di
comporre
le
frasi,
la
logica
e la
retorica,
l’arte
di
saper
ben
condurre
i
processi
linguistici.
Si
approfondiscono
quindi
vere
e
proprie
scienze
del
linguaggio,
si
fa
attenzione
a
una
struttura
coerente,
di
senso,
proprio
perché
il
rischio,
durante
quel
periodo,
è
perdere
la
dimensione
stabile
della
realtà.
E
così
sono
a
oggi
famose
le
dispute
sulla
cultura,
una
delle
più
importanti
è
quella
sull’eucaristia
che
soprattutto
dal
secolo
nono
all’undicesimo
imperversa
negli
ambienti
cattolici.
Sant’Agostino
si
interessa
per
primo
dell’argomento,
molto
prima,
e
parla
della
stessa
come
signum
sacrum,
segno
sacro,
mettendo
in
evidenza
con
la
parola
“segno”
l’ulteriorità
che
viene
implicata
nel
pane
e
nel
vino.
Un
segno
appunto
ha
proprio
la
funzione
di
segnalare,
di
mostrare
un’intenzione
che
va
oltre,
un’assenza
quindi,
una
differenza.
A
partire
dal
nono
secolo
le
cose
cambiano.
Amalario
di
Metz
sostiene
che
il
Cristo,
ritenuto
figlio
di
Dio,
morto
e
risorto,
è
realmente
nell’eucaristia,
è
necessario
che
il
corpo
del
Cristo
risorto
sia
lì,
si
trovi
nel
pane
spezzato.
Perciò
comincia
ad
affacciarsi
un
serio
problema
che
vede
i
cattolici
come
cannibali
che
mangiano
il
corpo
e il
sangue
della
loro
divinità.
Prova
a
risolverlo
Floro
da
Lione,
che
dà
la
sua
soluzione:
ciò
che
si
attua
nell’eucaristia
non
è
carnale,
è
molto
più
che
carnale,
è lo
stesso
Dio
che
si
dona,
ma
la
realtà
della
presenza
eucaristica
è
quella
della
virtù
divina.
Comincia
poi
una
netta
separazione
tra
quello
che
è
sensibile,
corporale,
e
quello
che
è
spirituale,
quindi
invisibile,
in
latino
corporaliter
e
spiritualiter.
I
due
sembrano
apparentemente
inconciliabili.
Si
parla
di
sembianza,
di
somiglianza
visibile,
la
realtà
fisica
solo
come
apparenza,
mentre
sostanzialmente
si
dice
che
il
logos,
la
ragione
divina,
la
potenza
divina,
si
attua
in
modo
invisibile
nel
sacramento,
che
partecipa
dello
spirito
del
Signore.
Solo
chi
ha
fede
vede.
Radberto,
del
monastero
di
Corbie,
torna
all’idea
che
il
pane
e il
vino
siano
realmente
il
corpo
e il
sangue
di
Gesù;
la
virtù
nel
sacramento,
produce
un
effetto
oggettivo,
reale.
Ma
il
problema
di
come
unire
il
segno,
la
realtà
oggettiva,
con
la
verità
reale
che
c’è
in
quel
corpo
fisico
rimane
un
serio
problema.
L’Europa
intanto
si
spacca;
si
divide
nei
tre
regni
che
verranno
assegnati
ai
figli
di
Carlo
Magno.
Nel
XII
secolo
d.C.
Berengario
di
Tours
ritorna
a
ciò
che
aveva
detto
sant’Agostino
affermato
la
realtà
del
segno
nell’eucaristia.
Non
si
può
dire
che
nel
pane
ci
sia
la
corporalità
del
Cristo,
ma
la
spiritualità
certamente
sì.
Berengario
insiste:
l’apparenza
è
solo
apparenza,
bisogna
leggere
oltre,
andare
oltre.
Certo
Berengario
non
ha
molta
fortuna,
soprattutto
perché
le
sue
tesi
vengono
esaminate
dal
Concilio
e
viene
condannato
per
una
frase
considerata
non
propriamente
ortodossa:
“Non
il
vero
corpo
e
sangue,
ma
solo
sacramento.
Questo
non
può
in
modo
sensibile
essere
spezzato
o
masticato”.
Viene
condannato
per
l’opposizione
sottolineata
sopra
tra
spirituale
e
corporale.
Inizialmente
Berengario
ritratta,
ma
poi
nello
Scriptum
contra
sinodum
riparte
all’attacco
contro
le
decisioni
del
Concilio.
Il
concetto
di
transustanziazione
appare
per
la
prima
volta
con
Lanfranco
di
Pavia.
Lui
parla
infatti
di
conversione
della
sostanza,
substantialiter
convertitio,
dove
le
apparenze
visibili
non
sono
che
gli
accidenti
della
sostanza
(per
riprendere
il
vocabolario
aristotelico,
della
filosofia
greca),
ma
la
sostanza
è
autonoma.
C’è
una
sorta
di
intelligibilità
della
presenza
reale
del
Signore
nell’eucaristia
dunque.
All’interno
delle
dispute
teologiche
c’era
un
dinamismo
che
al
tempo
è
stato
fonte
della
cultura
stessa,
un
percorso
della
ragione
verso
la
razionalità,
almeno
dal
punto
di
vista
letterario,
e
non
politico,
perché
nella
politica
imperversavano
non
pochi
problemi,
anche
a
livello
di
politica
ecclesiastica.
Il
dinamismo
della
ragione
nello
studio
di
se
stessa,
nella
sua
ansia
di
raggiungere
un’unità
attraverso
la
molteplicità
sia
del
linguaggio,
del
pensiero,
che
della
realtà,
impegna
personalità
come
sant’Anselmo
e
san
Tommaso
che
sono
una
tappa
importante
sia
a
livello
filosofico
che
teologico.
Dire
che
il
Medioevo
è
stato
privo
di
personalità
letterarie
e
culturali,
un
secolo
morto,
è
dunque
uno
sbaglio,
probabilmente
uno
sbaglio
che
deriva
più
da
un’ideologia
che
non
dalla
realtà
stessa.