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N. 73 - Gennaio 2014 (CIV)

GRECI O BARBARI?
L’ETNICITÀ DEI MACEDONI
- PARTE I
di Massimo Manzo

 

L’origine etnica degli antichi macedoni è stata nel tempo al centro di un acceso dibattito che ha coinvolto archeologi, filologi e storici. Lungi dall’essere una mera discussione accademica, la questione ha un’importanza fondamentale nella ricostruzione dell’identità culturale di questo antico popolo, da sempre posto “al confine” tra la cultura greca e le tribù che in antichità abitavano i Balcani.

 

I ritrovamenti archeologici della seconda metà del secolo scorso e soprattutto la scoperta delle tombe reali di Ege (attuale Vergina nel nord della Grecia) nel 1977 da parte dell’archeologo Manolis Andronikos, hanno dato ulteriore vigore alle ricerche in merito, fornendo testimonianze preziose agli studiosi.

 

Cercheremo pertanto di sintetizzare i termini della questione, partendo dalle fonti antiche, fino a lambire, seppur velocemente, le principali teorie formulate in tempi recenti.

 

Il primo a menzionare i macedoni è, nel VII secolo a.C., il poeta greco Esiodo, il quale li pone in rapporto di parentela diretta con gli elleni. Nella classificazione esiodea, ogni popolo è collegato ad un capostipite mitico ed è dunque tramite la genealogia mitologica che possiamo risalire alle varie etnie.

 

All’origine della stirpe degli elleni troviamo Deucalione, il quale ha due figli, Elleno e Tia. I figli di Elleno, Doro, Xuto e Eolo, sono all’origine dei tre principali gruppi etnici presenti in Grecia, mentre dall’unione tra Tia e Zeus nasceranno Macedone e Magnete, a loro volta capostipiti degli omonimi popoli, stanziati rispettivamente nella zona del monte Olimpo e nel nord della Tessaglia.

 

Traducendo in termini storici il racconto di Esiodo, il popolo dei macedoni avrebbe un legame etnico e linguistico fortissimo con i greci del sud. Il dialetto macedone sarebbe una variante dell’idioma greco, paragonabile (e forse affine) all’eolico.

 

A confermare la stretta affinità linguistica tra elleni e macedoni è inoltre lo storico greco Ellanico, che nel V secolo a.C. ebbe quasi sicuramente rapporti diretti con la dinastia regnante in Macedonia. Quest’ultimo modifica la discendenza mitologica di Macedone, rendendolo figlio non di Zeus ma di Eolo.

 

Tale accostamento potrebbe essere scaturito dalla somiglianza, osservata direttamente da Ellanico, del dialetto eolico con quello macedone e confermerebbe l’esistenza di un ceppo linguistico (e quindi culturale) comune alle due etnie. La classificazione dell’idioma macedone come derivazione del greco è d’altronde uno dei temi più dibattuti dagli studiosi.

 

Tra le fonti antiche, un'altra testimonianza da rilevare è quella di Erodoto, vissuto anch’egli nel V secolo. È infatti certo che lo storico più famoso dell’antichità visitò la Macedonia. Secondo la tesi di Erodoto, il capostipite del popolo macedone fu re Perdicca, appartenente alla nobile casata greca dei Temenidi. Perdicca, che regnò su quelle terre intorno al VII secolo a.C., sarebbe il diretto discendente di Temeno, fondatore della città di Argo (nel Peloponneso) e a sua volta discendente di Eracle.

 

Se anche in questo caso cerchiamo di separare la realtà storica dal mito, nella versione erodotea i macedoni sarebbero greci d’origine dorica e di conseguenza il loro dialetto sarebbe una derivazione del dorico (e non dell’eolico).

 

Erodoto ci da inoltre un’altra notizia fondamentale: la partecipazione del re Alessandro I di Macedonia ai giochi olimpici, avvenuta nel V secolo, in un periodo in cui sia il sovrano che lo storico erano ancora viventi. Com’è ben noto, tale onore era riservato esclusivamente agli elleni e proverebbe l’appartenenza almeno della casa regnante all’aristocrazia greca.

 

Esiodo, Ellanico ed Erodoto danno così per scontata, anche se con sfumature molto diverse, l’origine greca dei macedoni. Tucidide e Demostene, invece, rispettivamente nel V e IV secolo a.C., sembrano essere di avviso opposto, tanto da definirli più volte “barbari” (βάρβαροι).

 

Se nel caso di Demostene l’utilizzo di tale termine è semplicemente spregiativo, data l’avversione dell’ateniese nei confronti della politica aggressiva portata avanti in quegli anni dal sovrano Filippo II, la testimonianza di Tucidide era considerata attendibile. La parola bàrbaros, infatti, nella sua accezione originale, indica esplicitamente una persona “che non parla il greco”.

 

Ma lo storico ateniese usa la stessa espressione per indicare i molossi, stanziati in Epiro. E Il ritrovamento di alcune iscrizioni nell’area di Dodona (nel territorio nord-occidentale della Grecia) ha smentito nettamente tale ipotesi, provando che nell’epoca in cui scrive Tucidide le popolazioni stabilitesi in Epiro non solo si esprimevano in lingua greca, ma avevano persino dei nomi di chiara provenienza ellenica. Nulla vieta di pensare che lo storico abbia commesso lo stesso errore riferendosi ai macedoni.

 

In quest’ottica, anche Tucidide potrebbe essersi espresso, come Demostene, in termini denigratori e quindi bàrbaroi sarebbe un sinonimo di “selvaggi”.

 

Abituati a vivere in città stato indipendenti, nelle quali vigevano forme di governo repubblicane (con l’eccezione di Sparta in cui era sopravvissuta una forma particolarissima di diarchia) i greci del sud guardavano con disprezzo i macedoni.

 

Fino al VI secolo, infatti, questi ultimi erano stati un popolo di pastori seminomadi, che per giunta si ostinava a mantenere un ordinamento fortemente monarchico.

 

Questi due elementi, da soli, giustificherebbero il pregiudizio di Tucidide, non intaccando l’ipotesi della grecità.



 

 

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