N°
172
/ APRILE 2022 (CCIII)
contemporanea
Lo zar di Mosca
Sul significato del titolo imperiale russo
di Francesco Biscardi
L’aggressione russa all’Ucraina, avviata lo scorso
24 febbraio 2022, ha fatto ripiombare l’Europa
nell’incubo di un possibile conflitto fra
superpotenze che sembrava tramontato con la fine
dell’Urss. In realtà si è giunti al tragico epilogo
di una crisi cominciata nel 2013-2014 in una nazione
da tempo teatro di contrasti fra movimenti e partiti
filorussi e filoccidentali in vista di un possibile
ingresso nell’Unione Europea (a cui si sarebbe poi
aggiunto il più pericoloso “pericolo”, per Mosca, di
un avvicinamento alla Nato).
Nel novembre 2013 il presidente ucraino Viktor Janukovyč,
amico della Russia, rifiutò di firmare il trattato
di adesione del suo Paese alla Comunità Europea; nei
mesi seguenti schieramenti nazionalisti, vicini
all’Occidente, diedero vita a imponenti
manifestazioni che culminarono a Kiev, nel febbraio
2014, in un colpo di stato che detronizzò il Capo
dello Stato, costretto alla fuga.
I filorussi reagirono con l’appoggio del presidente
Vladimir Putin che inviò aiuti umani, armi e
“volontari” (in realtà militari). La Crimea,
tradizionalmente russa, strappata ai tatari-ottomani
da Caterina la Grande nel 1783, poi ceduta da Nikita
Kruscëv
all’allora Repubblica Socialista Ucraina nel 1954,
proclamò la sua indipendenza a seguito di un
Referendum, tenutosi l’11 marzo 2014, non
riconosciuto dalla comunità internazionale. Anche le
regioni orientali ucraine di lingua e popolazione
russa, come il Donbass, sulla falsariga della
Crimea, proclamarono la secessione: appoggiati da
Mosca ne nacquero scontri con il nuovo governo,
sostenuto dall’Occidente, il quale varò, come oggi,
sanzioni economiche. La crisi fu parzialmente
tamponata con gli Accordi di Minsk del settembre
2014, ma si riacutizzò già poco dopo, fino ad
arrivare in questi mesi al più nefasto degli esiti.
Ai nostri giorni sembra di assistere a una sorta di
opera lirica di argomento tragico in cui ogni
orchestra suona la sua melodia: la Russia che,
parlando di “operazione speciale”, presenta la sua
azione come salvifica per i popoli di etnia russa,
il governo di Kiev, che oscilla fra una isterica
richiesta di diretto intervento euro-americano, cosa
che porterebbe a un ineluttabile scontro nucleare, e
una flebile disponibilità a patteggiare,
l’Occidente, egemonizzato dagli Usa, che ricorre a
una retorica e a delle azioni che sembrano
procrastinare sempre più la conclusione delle
ostilità, e infine altri attori, come la Cina, che,
sebbene schierati, osservano guardinghi l’evolversi
della situazione.
In riferimento alla campagna mediatica anti-russa
che ha preso corpo in Italia è molto curioso come
Putin, oltreché “nuovo Hitler” (sulla scia dei vari
Nasser, Gheddafi, Saddam e Bin Laden), sia stato
definito “zar”, rispolverando un titolo che in
Russia era tramontato nel secolo scorso. In molti
non sanno però il significato reale di questo
termine, profondamente radicato nella storia delle
terre orientali e affondante la sua radice nel
passato romano-bizantino, ben più considerevole di
quello di “autocrate”.
Una storia che inizia in quella propaggine dell’est
Europa che avrebbe poi preso la denominazione di
“Russia”: qui popoli slavi e finni, fra VIII e IX
secolo, in aspra contesa fra di loro, si appellarono
a un principe variago o Rus’, tale Rjurik, di
provenienza scandinava, il quale riuscì a pacificare
quell’area e a fondare un centro che ribattezzò
Novgorod (“Città Nuova”). I suoi successori si
spinsero più a sud fino a Kiev, già emporio
commerciale fra oriente e occidente, nota proprio
come “Via dai variaghi ai greci” o “Via dell’ambra”.
La nascita della Rus’ di Kiev è però rimasta in gran
parte oscura: il documento più importante che
possediamo è la Cronaca di Nestore, scritta
fra XI e XII secolo dai monaci locali per esaltare
la dinastia regnante, ma è un racconto complesso e
di dubbia interpretazione, a tratti leggendario
(paragonabile, per certi versi, al mito sulle
origini di Roma). Spingendosi nel profondo
dell’Europa questi popoli, in parte di etnia slava e
in parte nordica, entrarono in conflitto con
l’Impero bizantino e, nell’860, sferrarono un
attacco alla capitale. Sebbene fallirono, da allora
i loro signori, attratti dall’opulenza e dai
commerci di Costantinopoli, iniziarono a sollecitare
la corte del basileus per farsi riconoscere
titoli nelle terre da loro occupate.
Così, a partire dal X secolo, Bisanzio e Kiev
presero a stipulare accordi e ad avviare la
conversione al Cristianesimo. I buoni rapporti
furono suggellati sotto i regni di Basilio II e
Vladimir I che, nel 988, si convertì e sposò una
sorella dell’imperatore costantinopolitano. Tale
evento inaugurò un lungo periodo di influenza
culturale greco-romana (in quanto i bizantini erano
pur sempre gli eredi della pars orientis
dell’Impero romano) sui Rus’, la quale avrebbe poi
inciso profondamente sull’identità e sulla
religiosità russa, contribuendo alla formazione
dell’ideologia zarista.
Fino al XII secolo il principato di Kiev rimase un
regno unitario, ben inserito nei rapporti politici
del continente europeo, viste anche la ben
congeniate alleanze matrimoniali fra casate
aristocratiche, ma nel Duecento emerse a nord un
nuovo centro: la regione di Vladimir Suzdal’, sul
fiume Kljaz. Seguirono la formazione di nuove città
e avamposti di frontiera, fra cui Mosca (nominata
per la prima volta nella Cronaca di Nestore
alla data 1147). Fu un principe moscovita, Andrej
Rogoljubsky, a inviare truppe alla conquista di
Kiev, dove si era aperta una contesa dinastica,
esacerbando un periodo di crisi che avrebbe condotto
alla fine del regno.
A complicare la faccenda giunsero i mongoli: fu il
celeberrimo Gengis Khan che, fra XII e XIII secolo,
riunì le varie tribù dell’Asia centro-orientale
guidandole alla formazione di uno dei più colossali
imperi della storia. I principi Rus’ non riuscirono
a fronteggiare un nemico terribile e sconosciuto che
per aspetto e ferocia sembrava uscito dal Tartaro,
l’oltretomba (donde il termine “tatari” o “tartari”
con cui soventemente furono designati in Europa). La
loro avanzata si fermò nel 1242 a Rus’ assoggettata,
la quale fu aggregata nel khanato dell’Orda d’Oro,
la più occidentale provincia del colosso mongolico,
e divenne un crocevia di popoli, essendo posta al
centro di quella che sarà ribattezzata “Via della
Seta”.
Lo sfaldamento del khanato fu provocato da crisi
interne ed esterne: lotte di successione, scontri
con i popoli limitrofi, fino alla più seria minaccia
rappresentata, fra XIV e XV secolo, da Timur o, come
più noto in Europa, Tamerlano.
Fra i Rus’ i primi a rialzarsi furono i principi di
Mosca: si deve a Ivan III il Grande (1446-1505) il
merito di aver completato il processo di
affrancamento dai dominatori e di conquista di
“tutte le Russie”, ovvero di quei centri urbani che
dal XII secolo in poi si erano costituiti in
principati autonomi, come prima brevemente
delineato, e di aver dato vita all’ideologia
zarista.
Nel 1453 Costantinopoli era caduta in mano ottomana:
la storia dei “cesari” era giunta al tramonto e con
essa, almeno apparentemente, anche la lunga contesa
che aveva visti opposti il basileus e il
Sacro Romano imperatore latino nella disputa su chi
dovesse essere ritenuto vero e solo “imperatore”
(termine che nel Medioevo si riferiva alla dignità e
al ruolo universale di governatore laico della
cristianità), un contrasto che andava avanti sin
dall’incoronazione di Carlomagno (Natale dell’800) e
che vedeva coinvolti, oltre ai sovrani, anche
pontefici e patriarchi.
In realtà, visto che tradizionalmente tutti gli
eredi legittimi o presunti a un trono imperiale
venivano insigniti o si arrogavano il titolo di
“cesare” (come i principi bulgari e serbi), non
risultava esservi nessun signore che potesse essere
unanimemente considerato “cesare augusto”, come si
soleva fare ai tempi romani, per cui la contesa era
spesso più di prestigio e autorevolezza che altro.
Questa disputa non si concluse con il 1453 giacché
si fecero avanti vari pretendenti, fra cui il più
interessante fu proprio Ivan III, che nel 1472 sposò
Zoe Paleologa, figlia di Costantino XI, ultimo dei
basileis: il matrimonio lo aveva praticamente
reso consorte dell’erede dei cesari d’Oriente.
Partendo dal presupposto che negli idiomi slavi il
termine latino caesar risuonava come “c-zar”,
donde “zar”, da vari documenti sappiamo che Ivan III
prese a qualificarsi come “Gran principe e Zar”
verso i suoi sudditi. Inoltre, dal momento che aveva
riunito sotto il suo scettro le varie terre dei
Rus’, si qualificò come “Zar di tutte le Russie” e
arrogò per Mosca il ruolo di “Terza Roma”, degna
erede delle città di Romolo e Costantino.
Anche se il titolo zarista sarà sarà stabilmente
introdotto solo sotto Ivan IV, “il Terribile”, a
seguito di un decreto del 1561, approvato dal
patriarca ortodosso, possiamo dire che in tutta la
lunga storia che va dalla nascita della Moscovia con
Ivan III a Nicola II Romanov, vittima degli eventi
rivoluzionari del 1917, tutti gli autocrati dei Rus’
furono “cesari-imperatori”.
Il significato di zar risulta essere quindi ben più
profondo di quello di re, sovrano o tiranno, in
quanto caratterizzante specificatamente un insieme
di terre e designante un particolare tipo di potere
che, dal Medioevo al Novecento, si riteneva
derivasse direttamente da Dio e non dovesse
incontrare alcun limite nell’esercizio delle sue
funzioni.
L’attribuzione all’attuale presidente della
federazione russa di tale etichetta risulta pertanto
priva di senso, in quanto “zar” rimanda a un
concetto molto più complesso e storicamente
definito, rispetto ai generici “dittatore” o
“despota”, a cui allude la propaganda occidentale,
paralizzata in un apparato retorico
demistificatorio-semplificatorio inadatto alla
situazione.
Riferimenti bibliografici:
Bartlett R., Storia della Russia. Dalle origini
agli anni di Putin, Oscar Mondadori, Milano
2014.
Cardini F., Il Sultano e lo Zar. Due imperi a
confronto, Salerno Editrice, Roma 2018.
Di Rienzo E., Il conflitto russo-ucraino.
Geopolitica del nuovo (dis)ordine mondiale,
Rubbettino, Soveria Mannelli 2015.
Ostrogorsky G., Storia dell’impero bizantino,
Einaudi, Torino 1993.