N. 106 - Ottobre 2016
(CXXXVII)
Apel
E
L’etica
della
comunicazione
eTICA
E
MACROETICA
DELLA
RESPONSABILITÀ
NELLA
SOCIETÀ
CONTEMPORANEA
-
parte
iI
di
Guglielmo
Montuori
Lo
scienziato
è
membro
di
una
comunità
argomentativa
e,
quindi,
di
una
comunità
reale
della
comunicazione
con
la
quale
deve
condividere
una
lingua
concreta:
è
quindi
membro
di
una
comunità
ideale
della
comunicazione. Di
conseguenza,
interrogandoci
sulle
condizioni
di
validità
dell’argomentare,
abbiamo
la
possibilità
di
individuare
i
principi
di
un’etica
universalmente
valida,
fondata
sull’“inaggirabilità”.
Con
questo
termine
Apel
intende
che
l’argomentare
deve
essere
inaggirabile
per
ognuno
che
argomenti
e
quindi
per
ognuno
che
pensi:
da
questo
punto
di
vista
le
tradizionali
argomentazioni
filosofiche,
da
Descartes
a
Kant
fino
a
Husserl,
vengono
giudicate
inadeguate
per
lo
scopo
che
Apel
si
prefigge.
La
prima
presupposizione
inaggirabile
è
data
dalle
norme
fondamentali
da
sempre
riconosciute
e
relative
alla
comunità
ideale
della
comunicazione
e
che
esprimono
esigenze
che
precedono
ogni
principio.
Fra
esse
vanno
annoverate
la
giustizia
e la
solidarietà
che
consentono
una
soluzione
pragmatico-trascendentale
del
problema
già
affrontato
da
Kant,
vale
a
dire
come
sia
possibile
che
l’uomo
sia
assoggettato
alla
legge
morale
ed
insieme
sia
autonomo
legislatore,
cioè
fondatore
della
morale
stessa.
Secondo
Apel,
Kant
fallisce
in
questo
tentativo
per
la
netta
distinzione
introdotta
tra
l’uomo
come
cittadino
del
mondo
intelligibile
e
l’uomo
cittadino
del
mondo
d’esperienza;
superare
questo
rigido
dualismo
è
essenziale
come
lo è
il
non
ridurre
la
fondazione
ultima
dell’etica
ad
un
atto
di
volontà
o ad
un
atto
di
fede,
una
sorta
di
decisionismo.
La
seconda
presupposizione
inaggirabile
è
quella
relativa
alla
fondazione
dell’etica
che
non
deve
ritenersi
orientata
in
senso
logico-formale,
interpretata
cioè
in
termini
di
argomentazione
vista
come
derivazione
di
qualcosa
da
qualcos’altro,
da
cui
il
trilemma
di
Munchhausen,
o
regresso
all’infinto
per
trovare
la
fondazione
ultima.
La
terza
presupposizione
inaggirabile
è
data
dal
non
ricorrere
a
fatti
fondamentali,
né
ontologici,
né
antropologici,
ma
muoversi
in
un
ambito
linguistico-pragmatico-riflessivo.
Il
momento
del
conoscere
è
quindi
legato
al
tipo
di
azione
che
metto
in
atto,
ma
al
contempo
è
centrale
il
problema
della
motivazione,
poiché
è
stato
sostenuto
che
le
norme
individuabili
tramite
un
percorso
riflessivo-trascendentale
rischiano
di
essere
irrilevanti
per
la
prassi
di
vita
e
anche
per
l’etica.
Questo
deriverebbe
dal
fatto
che
quando
nel
mondo
reale
ci
si
scontra
con
interessi
di
parte,
difficilmente
le
norme
etiche
rinvenute
sarebbero
applicabili
e
molti
stessi
filosofi
sembrerebbero
orientati
verso
l’applicazione
della
cosiddetta
razionalità
strategica,
vale
a
dire
“seguire
il
proprio
utile”.
Secondo
Apel
non
è
così
perché:
il
discorso
argomentativo
in
campo
etico
non
è
un’impresa
razionale
come
altre
per
la
quale
si
possa
decidere
o
meno;
nel
discorso
argomentativo,
finalizzato
alla
fondazione
dell’etica,
è
interesse
dei
partecipanti
giungere
ad
una
definizione
della
questione,
cioè
non
è
come
nella
cooperazione
strategicamente
motivata
dove
vi
può
essere
una
riserva
parassitaria:
per
esempio,
in
termini
di
profitto
lo
svantaggio
di
uno
può
diventare
vantaggio
di
un
altro;
il
discorso
argomentativo
in
campo
etico
sembrerebbe
esonerato
dall’azione
e,
in
quanto
forma
trascendentale
riflessiva
della
comunicazione
umana,
va
distinto
da
tutti
i
discorsi
empiricamente
dati;
discorsi
reali
spesso
fanno
insorgere
conflitti
di
natura
etica
e,
anche
se
le
norme
inaggirabili
del
discorso
fungono
da
criteri,
il
rapporto
tra
discorso
ideale
e
discorsi
reali
contiene
in
sé
la
risposta
riguardante
la
funzione
di
criterio
delle
norme
del
discorso
argomentativo
per
la
regolazione
dei
conflitti
di
interesse
nel
mondo
reale.
Anzi
nel
discorso
ideale
si
trovano
spesso
le
risposte
ai
conflitti
del
mondo
della
vita
e i
principi
del
primo
vanno
applicati
al
reale
non
ancora
“razionale”.
La
morale
“convenzionale”,
l’“ingenua
eticità
sostanziale”
di
cui
parlava
Hegel,
che
nasce
da
un
compromesso
tra
giustizia
e
interessi
strategici
di
auto-affermazione
degli
individui
e
delle
comunità
concrete,
è il
punto
di
partenza
per
ogni
elaborazione/applicazione
dell’etica
del
discorso;
l’etica
del
discorso,
in
quanto
etica
post-convenzionale
della
ragione,
deve
assumersi
la
responsabilità
per
le
conseguenze
derivanti
dalla
propria
applicazione
in
relazione
alla
storia.
La
fondazione
ultima
pragmatico-trascendentale
dell’etica
del
discorso
è
legata
a
due
momenti
polarmente
contrapposti:
il
primo
è
dato
dalla
comunità
reale
della
comunicazione
appartenente
alla
storia
e
l’altro
è
dato
dalla
comunità
ideale
della
comunicazione,
cioè
il
riferirsi
a
principi
a
priori,
astrattamente
intesi.
Ciò
che
emerge
nel
progetto
delineato
da
Apel
a
livello
etico
è il
dare
peso
alla
norma
della
corresponsabilità:
si
tratta
di
una
responsabilità
che
il
singolo
condivide
a
priori
con
tutti
i
partner
del
discorso,
nel
senso
della
solidarietà
di
una
comunità
tesa
alla
soluzione
di
un
problema.
Questo
significa
che
in
tutti
i
discorsi
pratici
e in
tutte
le
attività
collettive
che
quotidianamente
ritroviamo
nella
realtà,
il
singolo
dovrebbe
farsi
carico
della
propria
responsabilità
coordinata
con
quella
di
tutti
gli
altri,
in
modo
da
fondare
una
macroetica
planetaria
dell’umanità
di
fronte
a
problemi
come
la
crisi
ecologica
e i
rapporti
di
giustizia
sociale
tra
Nord
e
Sud
del
pianeta;
il
tutto
al
fine
dell’affermazione
di
un
diritto
internazionale,
nel
senso
di
un
ordinamento
giuridico
cosmopolitico
secondo
la
visione
kantiana.
Riguardo
al
principio
di
responsabilità,
Apel
fa
riferimento
al
principio
procedurale
di
universalizzazione
di
Habermas:
“ogni
norma
per
essere
valida
universalmente
deve
potere
essere
accettata
da
tutti
i
coinvolti”.
(U) Da
ciò
deriva
il
seguente
principio
di
azione
(U1):
“agisci
secondo
quella
massima
che
possa
essere
accettata
liberamente
in
un
discorso
reale
da
tutti
i
coinvolti”. I
problemi
derivanti
da
questa
impostazione
sono
così
definibili:
come
agire
se i
contraenti
non
sono
disposti
a
una
soluzione
discorsiva
del
conflitto
come
ad
esempio
in
trattative
per
il
disarmo?;
come
deve
agire
un
singolo
che
sia
responsabile
di
una
famiglia,
di
un
gruppo
della
popolazione,
ecc.,
quando
non
esiste
ancora
o
non
esiste
più
uno
Stato
di
diritto?;
come
si è
tenuti
ad
agire,
in
quanto
appartenenti
ad
una
componente
privilegiata
dell’umanità,
quale
il
Primo
Mondo,
allorchè
si è
messi
davanti
a
situazioni
che
vedono
larghe
fette
di
umanità
escluse
non
solo
dai
beni,
ma
anche
dalla
comunicazione
eticamente
rilevante
come
nel
caso
del
Terzo
e
del
Quarto
Mondo?
Il
principio
non
può
essere
applicato
nei
tre
esempi.
Nel
primo
caso
si
tratta
di
una
responsabilità
politica
nella
quale
il
politico,
come
direbbe
Machiavelli,
sarebbe
condannato
all’insuccesso
se
agisse
in
base
a
principi
morali.
Nel
secondo
caso
il
singolo
può
essere
costretto
ad
agire
come
agisce
l’uomo
politico:
per
esempio
in
un
paese
in
cui
tutto
non
funziona,
non
si
pagano
le
tasse,
c’è
corruzione,
un
padre
di
famiglia
può
essere
costretto
ad
adeguarsi.
Nel
terzo
caso
c’è
il
problema
della
comunicazione
di
fondo
tra
realtà
strutturalmente
diverse;
non
a
caso
i
teologi
della
liberazione
in
America
Latina
si
sono
spinti
fino
al
punto
di
definire
ideologici
ed
eurocentrici
gli
sforzi
degli
esponenti
del
Primo
Mondo
e la
stessa
idea
di
un’etica
della
comunicazione,
per
rivendicare
l’emancipazione
degli
oppressi
dalla
cultura
e
dalla
razionalità
occidentali.
In
ogni
caso
si
pone
il
problema
del
rapporto
su
scala
planetaria
tra
il
Primo
Mondo
e
gli
altri;
e il
problema
di
un’etica
della
comunicazione
deve
essere
visto
in
questa
ottica
unitamente
al
bisogno/necessità
di
interpretare
ed
ermeneuticamente
comprendere
gli
interessi
degli
esclusi
senza
paternalismi.
L’etica
del
discorso
deve
quindi
tentare
di
astrarre
dalla
teoria
ricollegandosi
alla
storia;
ciò
richiede
il
superamento
della
differenza
esistente
tra
la
comunità
ideale
della
comunicazione
e
quella
reale.
Razionalità
comunicativo-consensuale
e
strategica
devono
essere
mediate:
il
principio
di
mediazione,
secondo
Apel,
dovrebbe
consistere
nel
non
mettere
a
repentaglio
il
destino
dell’umanità,
né i
suoi
diritti
fondamentali;
e la
questione
ecologica
è
paradigmatica
in
tal
senso.
Al
di
là
del
rapporto
tra
etica
deontologica
e
teleologica
di
matrice
kantiana
ed
etica
della
responsabilità
correlata
alla
storia,
il
“telos”
è
riscuotere
il
consenso
di
tutti
i
membri
della
comunità
ideale
del
discorso,
ritornando
alla
tradizione
kantiana
di
un’idea
di
progresso
eticamente
fondata.