N. 105 - Settembre 2016
(CXXXVI)
Apel
E
L’etica
della
comunicazione
eTICA
E
MACROETICA
DELLA
RESPONSABILITÀ
NELLA
SOCIETÀ
CONTEMPORANEA
-
parte
I
di
Guglielmo
Montuori
Nell’opera
Etica
della
Comunicazione
del
filosofo
tedesco
Karl
Otto
Apel
il
tema
etico
viene
affrontato
dall’autore
su
un
piano
pragmatico-trascendentale,
in
modo
da
legare
l’agire
concreto
dell’uomo
a
precisi
fondamenti
teoretici.
Fine
primario
del
filosofo
è
dare
una
giustificazione
razionale
al
perché
essere
morali
e al
che
cosa
significhi
essere
morali;
questo
implica
l’individuazione
di
un
principio
universale
valido
per
tutti,
il
cui
valore
non
è
solo
astratto,
dal
momento
che
deve
essere
visto
in
relazione
alla
storia,
poiché
collegato
alla
responsabilità
dell’agire
dell’uomo
che
è
sempre
storico.
A
detta
di
Apel,
l’etica
deve
oggi
affrontare
una
sfida
epocale
legata
allo
sviluppo
della
scienza
e
della
tecnica
ed
al
fatto
che
l’uomo
ha
superato
l’ambito
istintuale
del
comportamento
animale
basato
sul
“circolo
di
reazione/feedback
cycle”,
cioè
stimolo/risposta.
Agli
albori
della
civiltà,
la
perdita
del
prevalere
dell’istinto
è
stata
compensata
da
teologie
e
religioni;
ma
ben
presto
i
conflitti
testimoniati
dalle
opere
epiche
e
dalla
tragedia
greca
ne
hanno
evidenziato
i
limiti.
Dopo
il
“periodo
assiale”
di
cui
parla
Jaspers,
periodo
che
va
dall’800
al
200
a.C.,
in
cui
si
passa
in
Oriente
ed
in
Occidente
da
visioni
mitiche
a
concezioni
razionali,
in
filosofia,
ed
anche
in
etica,
si è
attuato
un
balzo
in
avanti
nella
riflessione
sugli
effetti
delle
azioni
collettive.
Nell’epoca
contemporanea,
poi,
la
spaccatura
tra
“mondo
d’osservazione”
e
“mondo
d’incidenza”,
cioè
fra
quanto
vediamo
e
gli
effetti
delle
nostre
azioni,
è
arrivata
a
livelli
mai
visti
prima:
basti
pensare
alle
bombe
di
Hiroshima
e di
Nagasaki,
cioè
tra
chi
le
ha
progettate
e
chi
le
ha
sganciate
sulle
due
città
giapponesi;
ed
ancora
a
quanto
accade
nel
mondo
della
finanza
internazionale
con
l’anonimato
delle
transazioni
finanziarie
e le
conseguenti
ricadute
con
gli
effetti
a
cascata
per
popoli
ed
individui.
La
questione,
quindi,
ormai
si
pone
in
termini
di
una
macroetica
planetaria
che
coinvolga
tutti,
in
quanto
i
problemi
non
sono
di
sicuro
risolvibili
facendo
riferimento
al
singolo
comportamento
dell’individuo
o di
piccoli
gruppi.
Il
senso
di
impotenza
dinanzi
ai
nuovi
problemi
derivanti
dalla
responsabilità
collettiva
per
le
conseguenze
delle
attività
non
individuali,
la
questione
ecologica
e il
generale
problema
dell’Oikos
hanno
fatto
emergere
la
drammaticità
di
tutto
ciò
in
modo
eclatante.
L’azione
sulla
natura
da
parte
della
scienza
e
della
tecnica,
che
prima
non
veniva
considerata
eticamente
significativa,
adesso
comporta
problemi
mai
sperimentati
prima,
con
una
rilevanza
anche
in
sede
etica.
Nello
specifico
il
tema
che
si
impone
riguarda
il
rapporto
tra
scienza
della
natura
e
tecnica
da
una
parte,
secondo
Weber
“esente
da
valori”
e
quindi
neutrale,
e la
responsabilità
etica.
Il
rapporto
tra
essere
e
dover-essere,
cioè
tra
razionalità
scientifica,
neutrale
rispetto
ai
valori,
razionalità
etica
ed
affidabilità
delle
informazioni
è
ciò
su
cui
innestare,
secondo
Apel,
l’etica
del
discorso,
vale
a
dire
una
comunicazione
corretta
di
quanto
avviene,
un
rapporto
tra
individuo
e
collettività,
una
responsabilità
del
singolo.
Nella
prospettiva
della
modernità
risulta
difficile
immaginare
un’etica
nell’epoca
della
scienza
trionfante;
infatti,
nella
prima
metà
del
XX
secolo
con
il
positivismo
scientistico
e
con
il
pensiero
scientifico
divenuto
fondamento
del
tutto,
l’idea
di
una
scienza
neutrale
dominava
non
solo
la
riflessione
della
filosofia
teoretica
ma
anche
le
metateorie
dell’economia
e
del
diritto.
In
questa
maniera
era
facile
confinare
i
valori
e le
norme
della
morale
nell’ambito
dell’irrazionale
e
dei
sentimenti;
questa
sorta
di
dicotomia
si
ripropone
nel
pensiero
filosofico
con
l’esistenzialismo
e
con
la
visione
scientista
prima
citata.
A
tutt’oggi
questa
“costellazione
di
complementarietà”,
come
la
chiama
Apel,
non
è
superata:
così
non
si
riesce
a
fondare
né
un
patto
sociale
simile
a
quello
di
cui
parla
Hobbes,
né
una
morale
universalmente
valida
della
cooperazione
non
parassitaria
nella
soluzione
dei
problemi
dell’umanità,
ovvero
una
morale
della
corresponsabilità
per
le
conseguenze
delle
attività
collettive
degli
uomini.
Oggi
c’è
un
bisogno
assoluto
di
un
argomento
razionale
che
giustifichi
perché
il
singolo
deve
essere
morale.
Ma
preliminarmente
Apel
vuole
fare
riferimento
al
modo
in
cui
il
dibattito
etico
si è
articolato
nella
seconda
metà
del
XX
secolo,
dibattito
al
cui
interno
non
ci
si è
fermati
alla
costellazione
di
complementarietà
tra
positivismo
scientistico
ed
esistenzialismo,
bensì
si è
assistito
ad
una
ripresa
della
“ragion
pratica”
kantiana,
anche
se
non
si è
giunti
ad
una
macroetica
della
responsabilità,
quindi
universalmente
valida.
Al
presente
emerge
l’orientamento
neo-conservatore
di
un’etica
delle
consuetudini,
ovvero
della
frònesis
entro
coordinate
morali
tramandate
che
non
è
sicuramente
una
risposta
all’esigenza
di
una
nuova
etica
planetaria
della
responsabilità.
Neppure
i
nuovi
approcci
etici
di
Rawls
e
Jonas,
ad
esempio,
si
fondano
su
un
elemento
razionale;
Rawls
parla
di
“equità”
fondata
sul
senso
comune
e
Jonas
fonda
l’etica
della
responsabilità
sull’auto-affermazione
dell’Essere,
quindi
in
chiave
ontologico-metafisica,
anche
se
l’essere
o la
natura
di
cui
parla
non
vengono
intesi
come
l’insieme
dei
fatti
neutrali
rispetto
ai
valori,
come
vuole
la
filosofia
moderna,
bensì
come
qualcosa
che
è in
sé
scopo
a se
stesso,
dotato
di
intrinseco
valore.
Per
fondare
un’etica
del
discorso,
a
detta
di
Apel,
occorre
preliminarmente
tenere
conto
dei
seguenti
elementi
presenti
nella
filosofia
occidentale:
-
l’anteporre
il
soggetto
all’oggetto,
cioè
il
solipsismo
metodico
di
cui
parla
Husserl;
-
considerare
il
linguaggio
come
secondario
rispetto
al
pensiero;
-
intendere
la
fondazione
come
derivazione
o
riflesso
di
una
coscienza;
-
supporre
che
il
concetto
di
razionalità
abbia
il
suo
modello
nella
razionalità
logico-matematica;
-
ritenere
che,
nel
caso
dell’etica,
o la
fondazione
filosofica
dovrebbe
muovere
da
principi
ideali,
astraendo
dalla
storia,
oppure
dovrebbe
rinunciare
a
principi
universalmente
validi.
Il
primo
e
secondo
elemento
sono
connessi
poiché
linguaggio
e
comunicazione
vengono
intesi
come
mezzi
per
la
fissazione
di
conoscenze
già
acquisite;
la
razionalità
della
scienza
è
così
inconciliabile
con
la
razionalità
dell’etica,
intesa
come
non
neutrale
rispetto
al
valore.
Tuttavia,
ci
si
rende
conto
che
la
conoscenza
scientifica
presuppone
una
comunità
linguistica
e
comunicativa,
con
la
relativa
relazione
interpersonale
non
neutrale.
Di
conseguenza,
la
stessa
scienza,
definita
e
ritenuta
avalutativa,
presuppone
un’etica
normativa
come
ha
mostrato
per
primo
C.S.
Peirce.
Apel
in
questo
modo
dimostra
che
all’obiettività
della
scienza
è
complementare
la
validità
intersoggettiva
di
norme
morali
in
una
comunità.
Non
si è
certo
arrivati
così
alla
fondazione
di
un’etica
razionale,
ma
almeno
ad
un’etica
della
comunità
degli
scienziati,
fatto
che
implica
il
superamento
del
solipsismo
metodico
di
cui
si
parlava
all’inizio.