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N. 56 - Agosto 2012 (LXXXVII)

RICORDI D’ESTATE ROMANA
UNA “STAGIONE” DI GIOCO E LEGGEREZZA

di Renato Nicolini

 

L’articolo che segue è un omaggio per ricordare il “dono” che ci ha fatto Renato nel settembre 2008, scrivendo questo articolo ad hoc per la monografia dedicata a Roma ("InRoma") da "InStoria - quaderni di percorsi storici". Era l'autunno del 2008...

 

Roma è una città duplice: una faccia rivolta al passato e una al futuro. Due facce che possono diventare pesanti, e l’antidoto è la leggerezza.

 

Roma dà il meglio di sé quando non siede sopra la propria identità, ma si abbandona alle emozioni che può suscitare.

 

Edmond About, un viaggiatore francese che visitò la città nel 1861, ha ben descritto in un delizioso resoconto di viaggio le sorprese che l’inesauribile cornucopia di Roma poteva rovesciare sul visitatore.

 

Confesso che ho pensato proprio ai vagabondaggi di About (e un po’ anche alle mie estati passate a Roma negli anni Cinquanta), quando scelsi la Basilica di Massenzio per la prima delle mie estati romane, nel 1977. L’occhio del cinema si accese e trasformò i monumenti imperiali nell’arena più bella del mondo. E il monumento non si perse: mantenne la sua identità, ma accettò di sospenderla, sciogliendosi nell’immaginario contemporaneo, nei sogni che il cinema innesca in ogni individuo.

 

L’effimero delle estati romane a Roma si è conservato fino ai giorni nostri, ed è sempre stato un rispettoso trionfo della soggettività. La gioia di Roma di cui ci parla About consiste proprio nella scoperta della vita quotidiana della città, sotto la pellicola della città museo.

 

L’Estate romana è stata una grande festa, proprio nel cuore degli anni di piombo, quando l’invito delle istituzioni era piuttosto a mettere dei sacchi di sabbia davanti alle finestre. Si scoprì che la città non era solo un insieme di musei, monumenti e luoghi della politica, ma poteva divenire spazio condiviso dell’immaginazione, della sovversione, degli esperimenti e del disordine amoroso e creativo.

 

Ormai sono passati trent’anni, e sento la nostalgia di quando piazza Farnese ospitava il circo in piazza, proprio di fronte all’ambasciata francese: nulla vieta di divertirsi in presenza del bello e del sublime, e il divertimento contagiava via Giulia e scendeva sulle banchine del Tevere.

 

Ho nostalgia anche del Ballo, non solo, a Villa Ada, quando tutto il percorso dai cancelli d’accesso fino al laghetto si trasformava in una grande vetrina coi prodotti di tutto il mondo… ma eravamo ancora agli albori della globalizzazione.

 

E poi ho nostalgia del Festival dei Poeti di Castelporziano, dove ci fu quasi una battaglia: da una parte i poeti e dall’altra il popolo della spiaggia, migliaia di giovani accorsi in massa.

 

Chi dormiva sulla spiaggia per partecipare al Festival pensava generalmente di essere anche lui poeta, e voleva leggere sul palco come i poeti ufficiali: fu Allen Ginsberg a bloccare quella che poteva diventare la fine del Festival, intonando il mantra del padre morto, e arrestando la scalata al palco.

 

In anni sovraccarichi d’immagini come quelli odierni, può essere difficile capire la fame di immagini dei cinephiles degli anni Settanta. Il Napoleon di Abel Gance proiettato davanti al Colosseo per ottomila spettatori è un po’ il simbolo di questa concezione del cinema.

 

Abel Gance aveva introdotto il colossale nel cinema muto. Aveva pensato a un film che nella fase finale doveva essere proiettato da tre proiettori su tre schermi diversi, con l’accompagnamento di una grande orchestra. Ed ecco che questo capolavoro, restaurato da una cooperazione anglo-francese, con una nuova colonna sonora, veniva proiettato proprio a Roma, battendo la concorrenza di Venezia!

 

Sono trascorsi molti anni da quella stagione di gioco e leggerezza… ma credo di potermi azzardare a dire che, più dell’Auditorium di Piano, dell’Ara Pacis di Meier o del MAXXI di Zaha Hadid, il segno del moderno a Roma, negli ultimi trent’anni, lo abbia portato proprio l’Estate romana.



 

 

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