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filosofia, religione


N. 9 - Settembre 2008 (XL)

Gli Esseni dispersi?

ipotesi sugli anni perduti del Cristo
di Lawrence M.F. Sudbury

 

Alcune fonti stimano che ne siano rimasti solo 20.000, sparsi nella zona tra Tigri ed Eufrate attorno allo Shatt-el-Arab, altre, più ottimisticamente, arrivano a contarne circa 60.000, tenendo conto delle numerosissime frange di una diaspora plurimillenaria dovuta ad un isolamento culturale che a lungo, anche il tempi più recenti (sia sotto il regime di Saddam Hussein che dopo la sua caduta), ha coinciso con termini quali sottomissione, ghettizzazione o addirittura genocidio.

 

Loro, non si sono mai contati, dispersi come sono in piccoli villaggi e comunità sperdute tra quegli stati che oggi chiamiamo Iraq, Iran, Siria e Giordania ma che, nella loro cultura, sono nomi che significano poco, così come ben poco significa la nozione di cronologia storica così come noi la intendiamo: il 2008 non vuol dire niente per chi, semplicemente, sa di essere in uno degli “anni del Sabato” del grande ciclo cosmico.

 

Persino il loro nome varia a seconda di chi li osserva: per i mussulmani che li circondano sono “Sabei”, cioè “coloro che si battezzano” (dall'antico aramaico “saba”, “battesimo”); per alcuni viaggiatori occidentali del passato erano i “Cristiani di San Giovanni”, per il loro credo fortemente giovannita. Tra loro, si definiscono “Mandei” (“Mandaiia”), che, come provato dai glottologi Mark Lidzbarski e Rudolf Macuch, in lingua “mandea” (una sorta di dialetto di derivazione aramaica) starebbe a significare “coloro che cercano la conoscenza”, derivando dall'aramaico “manda” (“sapere”). Ma bisogna fare attenzione, perché non tutti i Mandei sono “mandei”: alcuni, pochi eletti, sono “Nozrai”, non dovendo più cercare la “rivelazione” ma avendola ottenuta ed essendo così divenuti “Nazirei”, cioè membri di quella schiera eletta di uomini votati a Dio di cui, interpretando i Vangeli sotto la lente storica e non della “traditio fidei”, faceva parte anche Gesù il Nazireo (e non il Nazareno, visto che Nazareth sorgerà almeno 100 anni dopo la sua morte).

 

Un popolo disperso, dunque, schiacciato e tendenzialmente in via d'estinzione. Perché interessarsene, se non per scopi etno-antropologici, catalogativi o umanitari?

 

La ragione dell'importanza storica dei Mandei risiede proprio nel loro isolamento socio-culturale, che ha preservato pressoché intatto un patrimonio religioso che possiamo definire come “ibernato” attorno al I secolo d.C.. Sostanzialmente i Mandei sono per lo studio dello sviluppo delle idee religiose, quello che un fossile del periodo carbonifero potrebbe essere per lo studio dell'evoluzione sulla terra.

 

Grazie alle ricerche sviluppate in modo intensivo a partire dall'inizio del secolo scorso da orientalisti come J. Heinrich Petermann, Nicholas Siouffi e Lady Ethel Drower, oggi abbiamo un panorama sufficientemente chiaro del sistema di pensiero mandeo, fino a pochi decenni fa quasi completamente misterioso e segreto.

 

Partiamo con un'analisi della loro storia. La lingua di chiarissimo ceppo aramaico-babilonese utilizzata da questa popolazione, così come l'insieme delle loro credenze,  ci suggerisce immediatamente una origine semitica, probabilmente nord-palestinese. E' verso il secondo secolo d.C., dopo un probabile esodo a lunghe tappe, che inizia la grande produzione letteraria mandea, che culmina con la creazione del “libro sacro per eccellenza”: il Ginza, una grande raccolta di storia, teologia e preghiere liturgiche che rappresenta la fonte principale per la ricostruzione delle vicende di questo popolo. Attraverso uno studio di questo testo, Jorunn Buckley ha potuto stabilire che, come attestato anche dall'Harrān Gāwetā , un altro testo di poco successivo, i Mandei dovevano aver lasciato l'area palestinese nel I secolo d.C., subito dopo la distruzione di Gerusalemme, per rifugiarsi nell'area mesopotamica, dove, però , ben presto iniziarono ad avere contrasti con i persiani, come dimostra anche la famosa “iscrizione di Kaftir”, una lapide ritrovata a Naqsh-I-Rustam (Iraq) che narra di una persecuzione Sassanide contro questa “setta” ebraica.

 

A questo punto si pone il primo interrogativo. Perché i Sassanidi perseguitano una setta ebraica presente nel territorio da essi controllato? E' noto che l'israelitismo non è mai stata una religione unitaria, ma, lungo tutto il corso della sua storia, è sempre stata divisa in gruppi e correnti, spesso ideologicamente e teologicamente molto distanti tra loro. Perché, allora, colpire una delle tante “interpretazioni” di una religione che i persiani sostanzialmente non compresero mai ma di cui, essendo a capo di un vastissimo impero dai mille culti differenti, dimostrarono sempre di disinteressarsi?

 

Forse la risposta potrebbe venire da una soluzione del grande enigma relativo ai rapporti tra Mandei e Manicheismo. Che la religiosità mandea sia profondamente manichea appare come un dato di fatto piuttosto evidente ed è stato, per altro, ampiamente dimostrato da Säve-Söderberg attraversp una analisi comparativa tra salmi manichei e preghiere del Ginza, ma la domanda che ci dobbiamo porre è: siamo certi che la religione mandea sia manicheo o non è piuttosto il Manicheismo ad essere mandeo?

 

Sulla base del Fihrist di ibn al-Nadim, sappiamo che Mani, il fondatore del Manicheismo, crebbe tra gli Elkasaiti, una setta battesimale eretica di stampo cristiano, molto prossima (se non, forse più probabilmente, corrispondente) al mandeismo. Tenendo conto che la localizzazione degli Elkasaiti risulta essere a nord della Mesopotamia, mentre quella mandea a sud della stessa regione, potrebbe essere sensato pensare a due gruppi diasporaici divisisi in fase migratoria ma provenienti da uno stesso nucleo centrale.  Se, allora, possiamo pensare che il manicheismo derivi, almeno parzialmente, da forme di vetero-mandeismo, possiamo ben capire come i Persiani, ben comprendendo la carica potenzialmente rivoluzionaria e sovversiva del pensiero pre-manicheo (e ricordiamo che Mani stesso, sotto l'impero di Sapore I, passò lunghi anni in carcere), cercassero di distruggerne la radice nei territori ad essi sottoposti.

 

Ma il corollario di questa possibilità è forse addirittura più interessante dell'ipotesi stessa. Se, infatti, il manicheismo derivasse da una rielaborazione di elementi filosofico-religiosi mandei, potremmo dedurre che quegli elementi (numerosi) della Gnosi cristiana di qualche secolo successiva normalmente identificati come manichei, fossero, in realtà, “autoctoni” di una corrente originariamente ebraica, probabilmente successivamente permeata da elementi zorohastriani, mazdistici e misterico-orientali a formare il neo-mandeismo odierno.

 

Una ulteriore analisi del Ginza apporta ulteriori elementi di interesse ad un quadro già di per sé estremamente affascinante.

 

Scopriamo, infatti, che quella che Drower chiama “Gnosi” mandea (e forse, alla luce di quanto osservato, i termini andrebbero ribaltati) si fonda su alcuni elementi principali: la credenza di un entità superiore spirituale che delega la funzione creatrice del tutto all'Uomo Archetipo (una sorta di proto-Demiurgo), l'Adam Kadmon della tradizione ebraica, che viene designato come Re-Sacerdote del creato; la contrapposizione, chiaramente ripresa o derivante dal Manicheismo, tra una creazione positiva, mascolina e adamitica e una creazione negativa da parte di una “Madre del tutto”, che evidentemente non può non riportarci alla figura di Ewa e al suo “peccato originale”. Tale contrapposizione perdura in eterno nella continua lotta tra potere della luce e potere delle tenebre, tra mondo della materia e mondo delle idee e le caduta dell'Adam Kadmon viene vissuta come l'esilio delle anime dall'essenza dell'Entità superiore a cui esse bramano di tornare; in un culto impregnato da simboli e misteri, una tale possibilità di ritorno è facilitata dall'accesso frequente ai sacramenti, primo fra tutti il battesimo, da cui i Mandei hanno ereditato il loro nome arabo.

 

Dei Mandei come popolo di “battezzatori” tratta, già nel II secolo a.C., Luciano di Samosata, che ci parla esplicitamente di un gruppo di persone che, sull'Eufrate, nel nord della Siria, si alzano ogni giorno all'alba e “ricevono il battesimo” indossando vesti di lino.

 

Questa citazione ci porta verso un secondo argomento piuttosto interessante. Già da quanto scritto da Luciano di Samosata, confermato da tutti gli studi svolti sulla religiosità mandea, il significato del battesimo come inteso da questa setta risulta molto differente rispetto alla nostra odierna visione cristiana. Il battesimo mandeo, infatti, non si configura come un passaggio “una tantum” allo stato di grazia conseguente alla cancellazione del peccato originale, quanto come una sorta di atto lustrale e purificatorio continuamente ripetuto (alcuni testi sacri ne consigliano la pratica almeno settimanalmente).

 

Se, però, ripercorriamo la storia delle correnti ebraiche del primo secolo, non possiamo non notare un notevole parallelismo tra questa concezione battesimale e quella di una delle correnti più note dell'ebraismo dei primi secoli: quella essena.

 

Leggiamo cosa scrive il Gruppo Teologico SAE a proposito del battesimo d egli Esseni:“L'origine del battesimo cristiano va rintracciata nell'attività di Giovanni Battista, il quale «evangelizzava il popolo» (Luca 3,18) invitandolo alla conversione, simboleggiata da una immersione nel fiume Giordano. Anche la comunità degli Esseni, in quei tempi, praticava una forma di battesimo, che però consisteva in abluzioni rituali periodicamente ripetute [...]”.

 

Se poi ci spingiamo un poco oltre, possiamo intravedere altre analogie: gli Esseni erano soliti indossare vesti di lino bianco all'atto dell'abluzione e anche per quanto riguarda i Mandei, il battesimo è somministrabile unicamente a chi indossi il tipico costume composto da sette pezzi di lino bianco.

 

Tenendo conto che per tutti i popoli indo-europei e di area medio-orientaale il bianco rappresenta simbolicamente, secondo un stereotipo culturale archetipico, il colore della purezza, potremmo pensare ad una semplice casualità.

 

Ma altri elementi ci inducono a pensarla diversamente.

 

Ritorniamo al Ginza e diamo una scorsa alla lista dei profeti in esso contenuta. Ne troviamo parecchi, praticamente gran parte di quelli vetero-testamentari, e, non poi così sorprendentemente, l'ultimo profeta, il più grande (in ambito mussulmano parleremmo, per lo stesso grado di importanza attribuita dall'Islam a Mohammad, di “sigillo dei profeti”) è “Iuhana Masbana”, cioè Giovanni il Battista (e proprio per questo i carmelitani che tentarono, con successo assolutamente nullo, di evangelizzare i Mandei nel XVI secolo, li definirono, come detto, “Cristiani di San Giovanni”).

 

Ricostruiamo quanto sappiamo di lui e quanto ci dicono gli studi biblici più recenti.

 

Giovanni Battista si era ritirato nel deserto, vestiva di peli di cammello, si cibava di locuste e miele selvatico e praticava il battesimo a mezzo di abluzioni. Tutte queste caratteristiche sembrano indicare, con ben pochi dubbi, che Giovanni fosse un Esseno: gli Esseni, così come possiamo tentare di conoscerli oggi, erano infatti esattamente una comunità di eremiti che abitavano nel deserto, vestivano semplici vesti ricavate dalle pelli dei cammelli, vivevano mangiando quello che il deserto gli forniva (locuste e miele selvatico) e praticavano abluzioni per purificare il proprio spirito.  A differenza di Matteo e Marco, Luca ci presenta un Giovanni molto più approfondito, raccontandoci della sua nascita e facendo intendere che oltre ad un semplice Esseno fosse anche un Maestro, o Rabbi, conoscitore della Torah. Possiamo quindi pensare con una certa sicurezza che Giovanni, almeno in una determinata fase della sua vita, fosse un Esseno e un Rabbi che probabilmente preparava i nuovi accoliti ad entrare nella comunità, insegnado loro le rigide regole comunitarie ed, infine, iniziandoli tramite la pratica del Battesimo. In questo senso, dobbiamo fare molta attenzione: i Vangeli ci parlano di un Battista che praticava il battesimo di conversione, cioè quello stesso battesimo che assumeva il grado di rito iniziatico di immissione nella comunità, ma non specificano mai, in nessun passo, che tale battesimo fosse unico.

 

A tale battesimo si sottopone Gesù e, proprio a proposito del Cristo, troviamo una nuova, sorprendente analogia tra Esseni e Mandei.

 

Nella teologia mandea, infatti, Gesù (Ishu Mshiha) è un “mšiha kdaba”, un falso Messia (così come falsi profeti sono Abramo e Mosè e un falso insegnamento, da cui distaccarsi per elevarsi verso Dio, è la Torah) che ha completamente stravolto gli insegnamenti impartitigli dal Battista. E' pur vero che in neo-mandaico la stessa frase “mšiha kdaba” potrebbe voler dire anche “Messia del Libro”, ma si tratta di una interpretazione più recente, probabilmente legata a correnti ecumeniche che avrebbero voluto, contro le persecuzioni islamiche, che anche i Mandei venissero riconosciuti e protetti come parte dei popoli del Libro. Una visione negativa di Gesù, comunque, sembrerebbe trarre fondamento proprio da un paragone con il pensiero esseno. Anche per gli Esseni, infatti, è possibile che la Messianicità di Gesù avesse una connotazione negativa.

 

Nel Commento ad Abacuc, ritrovato nella grotta n. 1 di Qumran e considerato il testo che più si avvicina ad una cronaca della comunità, infatti, si racconta che un certo numero di membri della comunità essena, seguendo gli incitamenti di un personaggio chiamato “uomo di menzogna”, si allontanarono rompendo il patto e finirono per non rispettare più la Legge. Questo fece sì che esplodesse un conflitto fra loro e il “Maestro di Giustizia”, capo della comunità.

 

Alcuni hanno ritenuto che queste vicende si riferissero ad un periodo o  precedente o successivo alla predicazione di Gesù ma nel documento viene nominato anche un avversario malvagio conosciuto come il “Sacerdote empio”. Dal momento che il sacerdozio ebraico ebbe termine con la caduta del Tempio, ciò significa che il Tempio esisteva ancora al momento della redazione del Commento. D'altra parte, come nella Regola della Guerra, in questo rotolo si fa riferimento alla Roma Imperiale, quindi alla Roma del I secolo avanti Cristo, dal momento che si ricorda una pratica particolare delle le truppe romane vittoriose che facevano offerte sacrificali alle loro insegne, attestata unicamente dopo che, con la nascita dell’Impero, l’imperatore divenne una divinità agli occhi dei suoi sudditi e la sua immagine o il suo simbolo furono riprodotti sulle insegne dell’esercito. Ne consegue che testi quali la Regola della Guerra, il Rotolo del Tempio e, appunto, il Commento ad Abacuc si riferiscono tutti all’epoca di Erode.

 

Prima di tentare di trarre alcune ipotesi conclusive da quanto accennato, affrontiamo un ultimo punto di grande interesse. Abbiamo visto che i Mandei che sviluppano una conoscenza mistico-misterica superiore, passano al rango di Nozrai, cioè, come accennato, entrano in quella schiera eletta del “Nazireato” di cui faceva parte anche Gesù. Ma di cosa si tratta?

 

Il Nazireato é, nella Bibbia, la consacrazione a Dio con il conseguente voto di seguire alcuni rigidi precetti di vita, illustati nel libro dei Numeri:

Il Signore disse ancora a Mosè: «Parla agli Israeliti e riferisci loro: Quando un uomo o una donna farà un voto speciale, il voto di nazireato, per consacrarsi al Signore, si asterrà dal vino e dalle bevande inebrianti; non berrà aceto fatto di vino né aceto fatto di bevanda inebriante; non berrà liquori tratti dall’uva e non mangerà uva, né fresca né secca. Per tutto il tempo del suo nazireato non mangerà alcun prodotto della vigna, dai chicchi acerbi alle vinacce. Per tutto il tempo del suo voto di nazireato il rasoio non passerà sul suo capo; finché non siano compiuti i giorni per i quali si è consacrato al Signore, sarà santo; si lascerà crescere la capigliatura. Per tutto il tempo in cui rimane consacrato al Signore, non si avvicinerà a un cadavere; si trattasse anche di suo padre, di sua madre, di suo fratello e di sua sorella, non si contaminerà per loro alla loro morte, perché porta sul capo il segno della sua consacrazione a Dio. Per tutto il tempo del suo nazireato egli è consacrato al Signore. Se uno gli muore accanto improvvisamente e il suo capo consacrato rimane così contaminato, si raderà il capo nel giorno della sua purificazione; se lo raderà il settimo giorno; l’ottavo giorno porterà due tortore o due colombi al sacerdote, all’ingresso della tenda del convegno. Il sacerdote ne offrirà uno in sacrificio espiatorio e l’altro in olocausto e farà per lui il rito espiatorio del peccato in cui è incorso a causa di quel morto; in quel giorno stesso, il nazireo consacrerà così il suo capo. Consacrerà di nuovo al Signore i giorni del suo nazireato e offrirà un agnello dell’anno come sacrificio di riparazione; i giorni precedenti non saranno contati, perché il suo nazireato è stato contaminato. Questa è la legge del nazireato; quando i giorni del suo nazireato saranno compiuti, lo si farà venire all’ingresso della tenda del convegno; egli presenterà l’offerta al Signore: un agnello dell’anno, senza difetto, per l’olocausto; una pecora dell’anno, senza difetto, per il sacrificio espiatorio, un ariete senza difetto, come sacrificio di comunione; un canestro di pani azzimi fatti con fior di farina, di focacce intrise in olio, di schiacciate senza lievito unte d’olio, insieme con l’oblazione e le libazioni relative. Il sacerdote presenterà quelle cose davanti al Signore e offrirà il suo sacrificio espiatorio e il suo olocausto; offrirà l’ariete come sacrificio di comunione al Signore, con il canestro dei pani azzimi; il sacerdote offrirà anche l’oblazione e la libazione. Il nazireo raderà, all’ingresso della tenda del convegno, il suo capo consacrato; prenderà i capelli del suo capo consacrato e li metterà sul fuoco che è sotto il sacrificio di comunione. Il sacerdote prenderà la spalla dell’ariete, quando sarà cotta, una focaccia non lievitata dal canestro e una schiacciata senza lievito e le porrà nelle mani del nazireo, dopo che questi si sarà raso il capo consacrato. Il sacerdote le agiterà, come offerta da farsi secondo il rito dell’agitazione, davanti al Signore; è cosa santa che appartiene al sacerdote, insieme con il petto dell’offerta da agitare ritualmente e con la spalla dell’offerta da elevare ritualmente. Dopo, il nazireo potrà bere il vino. Questa è la legge per chi ha fatto voto di nazireato, tale è la sua offerta al Signore per il suo nazireato, oltre quello che i suoi mezzi gli permetteranno di fare. Egli si comporterà secondo il voto che avrà fatto in base alla legge del suo nazireato».”

 

Il nazireato era dunque temporaneo (anche se poteva essere esteso a tutta la vita): era nato come sistema di “preparazione” al ruolo di re o sacerdote, ma aveva assunto una posizione di primo piano durante le guerre contro i Filistei: ciò che può dar vittoria e pace agli eredi della promessa è la forza che deriva dalla separazione da tutto quello che appartiene all’uomo naturale, e da un’intera consacrazione a Dio; in questo senso il Nazireato era una potenza spirituale, o piuttosto ciò che la caratterizzava, quando il nemico si trova nel paese e così viene intesa, ad esempio, da Sansone che, grazie al suo voto nazireo, guida l’esercito ebreo alla vittoria.

 

E' pur vero che, col tempo, il voto, da prettamente militare che era, era diventato soprattutto religioso e, in alcuni casi, veniva fatto dai genitori per i figli nascituri. Tale usanza, ai tempi di Gesù, era ancora vivissima e, tra l'altro, da Luca possiamo comprendere che i genitori del Battista lo facciano, ad esempio, sul figlio: “poiché egli sarà grande davanti al Signore; non berrà vino né bevande inebrianti, sarà pieno di Spirito Santo fin dal seno di sua madre”.

 

Come si diceva, la pratica del Nazireato era trasversale a tutti i numerosissimi gruppi politico-religiosi presenti nella Palestina del I secolo, essendo un elemento di scelta personale del singolo. Naturalmente, però, per le sue caratteristiche, era particolarmente comune tra i gruppi che si rifacevano all’Hassidismo (cioè alla corrente ultra-ortodossa sorta in periodo maccabeo), cioè Farisei e, soprattutto, Esseni e Zeloti.

 

Dal momento che è comunemente accettato  che almeno una parte degli Esseni confluirono nel movimento zelota (come provato da testi di testi esseni persino a Masada), non possiamo ritenere che questo “nazireato” avesse assunto nuovamente, in un periodo in cui la sopportazione di buona parte della popolazione ebraica verso l'occupazione romana era arrivata al limite, la sua connotazione militare originaria? E non possiamo pensare che il termine “nazireo” stesse ad indicare, tra i pii “monaci” esseni, coloro che, esattamente come in origine, essendosi caricati, tramite pratiche astinenziali e liturgiche, di una forza divina superiore, si opponessero alla dominazione straniera, su una strada tangente quando non intersecante quella dello zelotismo?

 

Sulla scorta di tutti questi elementi, proviamo a tracciare una ipotesi possibile.

Esiste una comunità fiorente di ebrei estremamente ortodossi, isolati dal mondo, che vivono nel deserto, praticano la Legge in ogni minimo dettaglio e si dedicano a pratiche simbolico-misteriche, inclusi ripetuti battesimi rituali. Tale comunità (o meglio, tali comunità, essendo il fenomeno piuttosto vasto) prevede un capo spirituale o “Maestro di Giustizia” e non è improbabile che, nel periodo di dominazione imperiale, tale “Maestro di Giustizia” venisse scelto tra i Nozrai. Nel Vangelo abbiamo un Nozrai famosissimo, che convertiva le folle con ipotesi apocalittiche e ultra-ortodosse: Giovanni Battista, che nella cultura mandea è visto come l'ultimo e più grande dei profeti. Perché non pensare a lui come al “Maestro di Giustizia” di una comunità essena?

Ma da questo “Maestro di Giustizia” viene a farsi battezzare un altro “Nozrai”, Yeshua Ben-Josephi, Gesù, il che ci potrebbe far pensare che, come recentemente accennato persino da fonti papali, per un certo tratto della sua vita il Cristo avrebbe potuto vivere all'interno di un circolo esseno, probabilmente non così distante da idee zelote (e, senza aprire qui un nuovo capitolo, anche la composizione del circolo degli apostoli sembrerebbe non smentire tale possibilità).

 

Poi qualcosa deve essere accaduto. Forse Gesù si stacca progressivamente dall'ideologia estremamente legalitaria del circolo o forse, sentendosi investito da un compito divino (il Battesimo dello Spirito che si contrappone al Battesimo dell'acqua), si contrappone al Maestro di Giustizia. Non è probabilmente un caso che anche nei Vangeli, se letti attentamente, traspaia, dopo una prima fase corrispondente al battesimo di Gesù, una certa ostilità, o almeno incomprensione, tra i seguaci del Battista e quelli del Cristo. Di fatto, una buona parte della comunità segue quest'ultimo e le cronache essene registrano questo fatto riferendosi a lui come “Maestro di menzogna”.

 

Cosa c'entrano i Mandei con tutto questo? Sappiamo che lasciano la Palestina nel I secolo e che, nelle loro zone di migrazione, sono visti come un pericolo, probabilmente a causa della loro filosofia religiosa dualistica (altro elemento secondo molti tipicamente esseno). Non possiamo pensare a loro, alla loro religiosità simbolico-misterica, alla loro inossidabile ortodossia, come l'ultima eredità, sicuramente mescolata ad elementi estranei, sicuramente deviata dagli eventi storici (ad esempio, il rifiuto di Abramo e Mosè potrebbe derivare dall'aver visto infrangere l'Alleanza con Dio al momento della distruzione del Tempio), di quegli Esseni le cui comunità vennero rase al suolo dopo Masada?

 

Si tratta, ovviamente, di ipotesi, ma di ipotesi ben suffragate da prove piuttosto consistenti.

 

Certamente, varrebbe la pena di studiare ed analizzare più in profondità questa cultura, prima che, come appare purtroppo molto probabile, essa scompaia assorbita da un mondo arabo da sempre ostile e da situazioni belliche che rendono oggi il progressivo genocidio mandeo una realtà ancora più tragica che in precedenza. Forse, infatti, al di là della tragedia umana di questo popolo, dal punto di vista culturale con loro scomparirebbe forse la sola possibilità di avere qualche risposta in più su quel periodo che da sempre rappresenta un grande enigma per gli storici del Cristianesimo: sugli “anni perduti” del Cristo.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

E.S. Drower, , The secret Adam, a Study of Nasoraean Gnosis, Clarendon Press,1960

M. Baigent, R. Leigh, Il Mistero del Mar Morto, M.Tropea Editore, 1997

A. Ireman, The Mandean Texts, Collinworth, 1999

E. Lupieri, The Mandaeans: The Last Gnostics, Eerdmans, 2002

M.Pincherle, I Mandei, Macro edizioni, 2003

Benedetto XIV, Gesù di Nazareth, Editrice Vaticana, 2007

R.Eisenman, M.Wise, Manoscritti Segreti di Qumran, Piemme 2007

 

 

 

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