N. 97 - Gennaio 2016
(CXXVIII)
L’ESPRESSIONISMO TEDESCO
POLEMICA SOCIALE E RIVOLUZIONE ARTISTICA TRA XIX E XX SECOLO
di Valentina Daniele
Tra
Ottocento
e
Novecento,
quando
la
generazione
espressionista
si
presenta
sulla
ribalta
della
scena
artistica
europea,
trova
in
Germania
l’ostilità
del
potere
di
Guglielmo
II e
così
entra
in
conflitto
con
il
mondo
circostante.
L’imperatore
che
domina
la
scena
politica
tedesca
dall’unificazione
della
Germania
fino
alla
fine
della
prima
guerra
mondiale,
diventa
sempre
più
il
simbolo
negativo
di
una
gestione
del
potere
estremamente
autoritaria
e di
una
politica
culturale,
che
rifiuta
ogni
apertura
nei
confronti
dell’arte
moderna.
Contro
l’ideale
conservatore
di
cultura
propugnato
dall’imperatore,
che
stringe
alleanza
con
la
borghesia,
gli
espressionisti
si
ribellano,
rifiutando
i
valori
e le
forme
rappresentative
di
questa
classe.
La
loro
avversione
per
la
società
guglielmina
li
spinge
anche
a
prendere
parte
attiva
nella
prima
guerra
mondiale,
che
diventa
un
leitmotiv
delle
loro
opere.
Molti
di
loro
elevano
alte
lodi
al
conflitto
e si
illudono,
sacrificando
la
loro
vita,
che
da
esso
possa
nascere
una
nuova
umanità
liberata
degli
impulsi
civilizzatori.
L’orizzonte
filosofico
all’interno
del
quale
viene
articolata
la
critica
alla
società
guglielmina
è la
Kulturkritik
di
Friedrich
Nietzsche,
che
si
può
per
molti
aspetti
considerare
una
sorta
di
padre
spirituale
dell’Espressionismo.
In
sintonia
con
le
sue
posizioni,
gli
espressionisti
si
scagliano
contro
la
nuova
classe
borghese
che
accompagna
l’ascesa
al
potere
di
Guglielmo
II,
considerandola
la
responsabile
della
decadenza
della
cultura
e
della
negazione
dell’arte.
Tale
pathos
antiborghese
conduce
i
protagonisti
di
questo
movimento
a
rendere
soggetti
delle
loro
opere
figure
che
simboleggiano
uno
stile
di
vita
completamente
opposto
a
quello
borghese
e
che
per
questo
vivono
ai
margini
della
società:
il
mendicante,
la
prostituta,
il
folle,
il
criminale.
Tuttavia,
se
si
osservano
le
biografie
degli
artisti,
si
può
notare
che
solo
pochi
sono
vissuti
effettivamente
ai
margini
della
società
tanto
deprecata.
La
maggioranza
di
essi,
a
livello
inconscio,
sembra
che
abbia
interiorizzato
parzialmente
gli
ideali
contro
cui
ufficialmente
si
scaglia,
accettando
come
inevitabile
la
problematica
della
“doppia
esistenza”,
cioè
la
frattura
tra
ambizioni
artistiche
e
necessità
della
vita
borghese.
Pertanto
è
molto
controversa
l’effettiva
portata
della
rivolta
ed è
difficile
giudicare
in
modo
univoco
la
critica
al
principio
di
autorità
e
l’impulso
antiborghese.
Il
disagio
degli
espressionisti
non
dipende
solo
dal
posto
che
occupano
rispetto
alla
cultura
ufficiale,
ma
anche
dai
processi
di
modernizzazione
legati
alla
trasformazione
della
Germania
da
paese
agricolo
a
paese
industriale.
Nella
gran
parte
dei
casi
si
sentono
disorientati
dai
processi
di
industrializzazione
che
disgregano
la
società
e
destabilizzano
l’individuo.
Così
il
primo
circolo,
Die
Brücke,
con
cui
l’Espressionismo
si
afferma
prima
nelle
arti
figurative
e
poi
in
quelle
letterarie,
propone
un’arte
e
una
forma
di
vita
a
stretto
contatto
con
la
natura,
lontane
dagli
influssi
della
grande
città,
percepita
come
il
concentrato
di
tutti
i
mali
portati
dalla
modernità.
Parallelamente
all’ideale
proposto
dal
movimento
Die
Brücke,
i
pittori
di
Der
blaue
Reiter
scelgono
come
fonte
di
ispirazione
la
natura
e
non
la
civiltà
moderna.
Questa
esigenza
di
riscoperta
della
natura
conduce
all’affermazione
di
un’estetica
basata
sull’immediatezza
e
sull’essenzialità
dell’espressione.
Il
desiderio
di
riportare
l’arte
alle
sue
origini
si
intreccia
negli
espressionisti
con
una
forte
critica
alla
concezione
razionale
del
mondo.
La
realtà
empirica
viene
condannata
come
forma
di
una
costruzione
artificiale
che
corrisponde
ai
fini
ideologici
della
classe
borghese.
Da
qui
hanno
origine
le
sperimentazioni
artistiche
dei
pionieri
di
questa
avanguardia
che,
di
fronte
ai
principi
della
borghesia
e
alle
procedure
razionali,
assumono
due
atteggiamenti
contrapposti
nelle
loro
opere.
Alcuni
restano
fedeli
alle
tradizionali
forme
stilistiche
e
pittoriche.
Altri,
invece,
vedono
nel
linguaggio
pittorico
un
possibile
antidoto
all’aridità
della
loro
epoca
e
mettono
in
atto
in
misura
e in
modalità
diverse
una
rivoluzione
artistica.
Questi
ultimi,
constatando
una
discrepanza
tra
le
forme
logico-concettuali
del
linguaggio
e la
natura
spirituale
della
realtà,
mettono
in
discussione
le
strutture
tradizionali
e si
avvalgono
di
una
gamma
cromatica
acida
e
accentuata,
che
va
dall’alterazione
dello
spazio
e
della
prospettiva
fino
alla
negazione
del
senso
pittorico,
che
poi
sarà
portata
alle
estreme
conseguenze
dai
dadaisti.
Essi
propongono
di
relativizzare
il
più
possibile
le
proporzioni
e di
tornare
all’Urkunst,
cioè
all’opera
d’arte
originaria,
che
viene
prima
delle
costruzioni
razionali.
I
pittori
dell’Urkunst,
tra
i
quali
emerge
un
rappresentante
emblematico
del
volto
più
rivoluzionario
dell’Espressionismo
Ernst
Ludwig
Kirchner,
sono
convinti
che
l’arte
intesa
come
forma
di
comunicazione
originaria
possa
ristabilire
un
contatto
fondamentale
sia
con
il
mondo
interiore
sia
con
quello
esterno
e
riportare
l’uomo
a se
stesso
e
alla
radice
delle
cose.