N. 125 - Maggio 2018
(CLVI)
l'angelo della morte
i
barbari
esperimenti
di
josef
mengele
di
Ilaria
La
Fauci
I
campi
di
concentramento
furono
delle
fabbriche
di
morte.
Josef
Mengele
fu
uno
dei
brutali
autori
di
questo
“crimine
contro
l’umanità”:
questa
formula
usata
nel
processo
di
Norimberga
però
non
lo
toccò
mai;
riuscì
a
sfuggire
al
processo,
alla
vendetta
e
alla
giustizia.
Nel
1979
morì
sotto
falsa
identità
per
un
attacco
cardiaco,
all’età
di
67
anni.
Neanche
un
anno
di
prigionia:
non
pagò
mai
per
gli
orribili
esperimenti
sottoposti
a
troppe
persone.
Nato
nel
1911,
Mengele
era
un
uomo
ambizioso
e
determinato,
alla
costante
ricerca
del
successo:
desiderava
essere
ricordato
come
un
medico
dalle
grandi
abilità
e
fautore
di
scoperte
innovative.
Si
laureò
in
antropologia
ed
in
medicina
dimostrando
immediatamente
la
sua
affinità
con
i
principi
del
nazismo:
la
sua
tesi
si
incentrava
sulla
“Ricerca
morfologico-razziale
sul
settore
anteriore
della
mandibola
in
quattro
gruppi
di
razze”.
Trovò
immediatamente
la
sua
guida
in
Otmar
Freiherr
von
Verschuer:
presso
l’istituto
per
la
biologia
ereditaria
e
per
l’igiene
razziale,
lavorò
come
assistente
approfondendo
lo
studio
sui
gemelli.
Seguì
l’avvicinamento
al
partito
nazionalsocialista,
cui
si
iscrisse
nel
1937,
e
l’anno
successivo
alle
SS.
Nel
frattempo
la
seconda
guerra
mondiale
ebbe
inizio:
Josef
decise
di
arruolarsi
nella
Waffen-SS
ma
si
ferì
e
venne
mandato
dietro
le
quinte
della
guerra.
Rimpiazzò
un
dottore
ad
Auschwitz
e
diventò
medico
capo
a
Birkenau.
La
sua
permanenza
nei
campi
di
concentramento
durò
meno
di
due
anni,
ma
fu
devastante.
Todesengel,
ovvero
“angelo
della
morte”:
questo
era
l’appellativo
che
gli
venne
attribuito.
Forte
della
sua
ambizione
e
fedele
all’ideologia
nazista,
diventò
direttore
della
sperimentazione
umana
sui
prigionieri
di
Auschwitz-Birkenau.
Riuscì
nel
suo
intento:
verrà
ricordato
dalla
storia
non
come
medico
di
successo,
ma
come
uno
dei
criminali
di
guerra
più
spietati
che
la
storia
abbia
mai
visto.
Il
suo
carattere
estremamente
rigido
e
gelido
fu
un
trampolino
di
lancio
per
la
sua
attività:
era
molto
rigoroso,
perfezionista,
puntiglioso
e
maniacale,
alternava
momenti
di
calma
a
quelli
di
ira
che
scagliava
su
chi
gli
stava
intorno,
svolgeva
il
suo
lavoro
con
totale
distacco
emotivo
come
se
quei
corpi
inermi
nelle
sue
mani
fossero
giocattoli
da
scomporre
e
ricomporre
a
suo
piacimento.
«Qui,
nel
campo
di
concentramento
vi
sono
infinite
possibilità
per
effettuare
esperimenti
di
anatomia
patologica
in
moltissimi
casi
di
suicidi,
ricerche
sul
fenomeno
dei
gemelli
e
anomalie
della
crescita:
nanismo
e
gigantismo.
Un
così
alto
numero
di
cadaveri,
come
in
questo
luogo,
in
nessun’altra
parte
è
disponibile.
[…]
nel
kappa-zeta
di
Auschwitz
è
disponibile
materiale
da
esperimento
in
milioni
di
unità».
Con
queste
parole
il
medico
legale
Miklós
Nyiszli,
il
collaboratore
di
Mengele,
descriveva
cosa
significavano
i
campi
di
concentramento
per
i
medici
nazisti.
Secondo
l’ideologia
seguita,
gli
individui
sono
il
prodotto
della
loro
eredità:
pertanto
l’obiettivo
era
cercare
il
geme
per
la
creazione
della
pura
razza
ariana.
I
luoghi
di
sterminio,
quelli
che
avrebbero
portato
alla
soluzione
finale,
erano
il
luogo
giusto
per
dare
sfogo
a
tutte
le
voglie
di
sperimentazione.
Questa
era
l’idea
che
Mengele
aveva
del
suo
lavoro,
delle
sue
opportunità
e
del
mondo
che
lo
circondava.
L’ossessione
per
i
gemelli
continuò:
aspettava
i
treni
arrivare
al
campo,
dopodiché
selezionava
le
persone
distinguendole
in
più
gruppi.
Alcuni
sarebbero
stati
uccisi
nelle
camere
a
gas
(come
chi
non
raggiungeva
i
150
centimetri),
altri
avrebbero
lavorato
ed
infine
i
“privilegiati”
gemelli
avrebbero
ricevuto
un
diverso
trattamento
che
prevedeva
la
loro
cura
affinché
fossero
al
meglio
per
essere
analizzati
e
sottoposti
a
tutte
le
pratiche
che
venivano
in
mente
all’angelo
della
morte.
ZW
erano
le
lettere
che
comparivano
accanto
al
numero
tatuato
sui
corpi
dei
deportati
ed
indicavano
che
si
trattava
di
gemelli
(Zwillinge).
Questi
ultimi
vivevano
in
un
blocco
speciale
tale
da
svolgere
lavori
meno
faticosi,
mangiare
una
razione
di
cibo
più
sostanziosa,
essere
salvaguardati
dalle
SS.
Mengele
mandava
relazioni
a
Von
Verschuer
per
tenerlo
aggiornato
sui
suoi
studi,
sulle
sue
ricerche
e
sui
suoi
esperimenti:
compiva
delle
analisi
comparative
in
particolar
modo
sui
gemelli
identici,
fotografandoli,
misurandoli,
prelevando
il
sangue,
iniettando
sostanze
chimiche
per
vedere
la
reazione
della
pelle,
osservando
la
resistenza
dei
corpi
sottoposti
a
pressioni
anormali.
Giunse
persino
ad
unire
artificialmente
due
bambini:
presto
le
mani
si
infettarono,
la
cancrena
avvolse
i
loro
corpi
e la
tragedia
si
consumò
nel
dolore
e
nella
sofferenza
più
atroce.
I
principi
della
medicina
erano
sepolti,
abbandonati
come
parole
al
vento
prive
di
significato.
La
pazzia
si
manifestò
anche
su
altre
“tipologie”
di
persone:
zingari,
nani
ed
ebrei
erano
forme
umane
“anomale”
da
sopprimere;
le
donne
incinte
erano
obbligate
all’aborto
così
da
permettergli
di
analizzare
i
feti;
altre
persone
furono
sottoposte
ad
immersione
in
acqua
gelida
per
poter
misurare
quanto
tempo
passasse
prima
che
la
morte
sopraggiungesse;
e
poi
ancora
castrazioni,
sterilizzazioni,
operazioni
senza
anestesia
e
trasfusioni
complete
incrociate.
Faceva
credere
alle
cavie
che
sarebbero
state
salvate,
che
avrebbero
ricevuto
un
trattamento
di
riguardo:
ma
tutte
le
sue
azioni
tendevano
al
solo
obiettivo
di
sterminare
i
geni
imperfetti.
Gli
esperimenti
diventavano
torture
interminabili:
se
un
gemello
moriva,
l’altro
diventava
inutile
ai
suoi
occhi
e lo
destinava
alla
morte
tramite
iniezioni
di
fenolo
o
nelle
camere
a
gas.
Il
suo
lavoro
fu
minacciato
dal
tifo
che
infestò
un
capannone:
la
sua
soluzione
fu
uccidere
le
quasi
ottocento
donne
deportate
presenti
all’interno
di
esso.
Usava
i
corpi
morti
per
ulteriori
esami
dopo
una
dettagliata
autopsia
condotta
dal
suo
collaboratore
Nyiszli.
I
bambini
innocentemente
lo
chiamavano
“zio”:
durante
gli
esperimenti
meno
irruenti
si
dice
fosse
delicato
con
loro,
ma
la
sua
non
era
bontà.
Trattava
i
bambini
come
se
fossero
preziosi
oggetti
di
lavoro
da
maneggiare
con
cura
per
non
comprometterne
l’utilizzo
successivo.
Sono
descrizioni
crude,
ma
nonostante
ciò
non
riusciranno
mai
a
rendere
l’idea
delle
sofferenze
e
degli
orrori
subiti
da
migliaia
di
persone.
Arrivò
il
1945
e
con
esso
le
truppe
dell’Armata
Rossa:
l’ultimo
treno
selezionato
da
Mengele
vide
circa
480
persone
su
poco
più
di
500
condannate
alla
morte
nelle
camere
a
gas;
la
stessa
fine
era
prevista
per
il
resto
dei
deportati
presenti
nel
campo,
ma
l’arrivo
dell’armata
e la
fine
del
gas
salvarono
le
vittime
dall’ultimo
ordine.
Josef
Mengele
prese
tutte
le
sue
ricerche
e
scomparì:
con
una
nuova
identità
fuggì
in
Sud
America
ed i
servizi
segreti
israeliani
non
lo
catturarono
mai.
Senza
scontare
un
giorno
di
carcere,
visse
il
resto
della
sua
vita,
con
migliaia
di
morti
su
una
coscienza
che
non
gli
è
mai
appartenuta.
Riferimenti
bibliografici:
Robert
Jay
Lifton,
I
medici
nazisti.
La
psicologia
del
genocidio,
traduzione
di
L.
Sosio,
Milano,
2003.
Czech
Danuta,
Kalendarium.
Gli
avvenimenti
nel
campo
di
concentramento
di
Auschwitz-Birkenau
1939-1945,
traduzione
di
G.
Piccinini,
Milano,
2007.
Myklós
Nyiszli,
Sono
stato
l’assistente
del
dottor
Mengele.
Memorie
di
un
medico
internato
ad
Auschwitz,
traduzione
di
A.
Fonseca,
Melendugno,
2013.