[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 159 / MARZO 2021 (CXC)


contemporanea

L’ESPANSIONE

LE MANI DI STALIN SULL’EUROPA DOPO LA FINE DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE

di Alessio Pitirra

 

Sei anni di guerra continua contro l’Asse avevano forgiato i rapporti tra alleati; alla conferenza di Potsdam questi parevano saldi e sinceri di fronte ai giornalisti. In realtà duri scontri sulla logistica del combattimento o la gestione delle risorse avevano spesso avvelenato la fiducia tra Stalin, Churchill e Roosevelt. Anche la gestione del dopo guerra portava dissapori e contese, e queste emersero nella riunione del Luglio del 45.

 

Dopo la sconfitta del Reich, i vincitori si guardavano come cani che, con il corpo della preda ancora caldo già litigano per non dividerla. Questo terzo incontro mostrava le reali intenzioni dei vincitori. Gli Americani miravano al primato economico mondiale mentre l’Inghilterra sognava di riprendere il controllo dei domini oltremare. Questi due stati avevano sostenuto forti perdite e volevano quindi consolidare le proprie posizioni in Europa occidentale e Asia. L’egemonia russa a est di Berlino fu quindi il “do ut des” di un accordo.

 

L’interesse verso i popoli dell’est Europa da parte di tutti i partecipanti fu minimo, la vicinanza geografica di questi stati alla Russia fece sì che a guerra finita questi non potessero liberarsi dell’influenza di uno dei maggiori vincitori. Ognuno al tavolo già sapeva che Stalin non si sarebbe limitato a un ruolo marginale su quest’ area, peraltro già sotto controllo dell’armata rossa; certi di riuscire a invadere l’economia avversaria in un secondo momento, Inghilterra e Stati Uniti si trovarono d’accordo alla divisione del mondo in due sfere d’influenza. La conseguenza fu che l’egemonia Russa su questi popoli fu così forte che questi “scomparvero” per cinquant’anni, dietro una cortina di ferro.

 

Il fato di queste popolazioni aveva ben poche speranze. Dopo aver perso 20 milioni di uomini in quest’area durante la guerra, Stalin ora ne considerava fondamentale il controllo. L’Europa dell’Est era soprattutto un cordone militare di difesa contro una possibile invasione americana specialmente, un pericolo che dal Maggio 1945 pareva sempre più reale.

 

Il ben più agguerrito Truman sedeva alla Casa Bianca al posto del moderato Roosevelt. «Gli Americani non hanno dimostrato pietà nel bombardare un Giappone già in ginocchio, ed escludere i partiti Comunisti dai governi Nato», argomentava Stalin. Con queste premesse un reale rapporto di collaborazione tra due sistemi economico-politici totalmente contrapposti era chiaramente impossibile, inoltre, l’appena insediato presidente Truman aveva maltrattato il Ministro degli esteri Russo a Washington e rimpiazzato il moderato Marshall con l’ammiraglio Leahy ai vertici del consiglio militare.

 

Anche senza opposizione internazionale riconvertire così tante nazioni al Comunismo non era facile per Stalin perché il passaggio al nuovo sistema politico doveva apparire volontario agli occhi dell’opinione pubblica internazionale. Nei piani di Stalin nessuna nazione a ovest di Berlino doveva essere esclusa dal controllo, una catena di Stati doveva proteggere la Russia da una sicura invasione della Nato. Questa, in accordo con le attuali ricerche, era una delle maggiori paure di Stalin. Stati come la Cecoslovacchia, democratici per tutto il periodo tra le due guerre, dovevano abbracciare il nuovo sistema politico-economico a ogni costo.

 

Incuranti delle fievoli proteste degli alleati occidentali i Russi pilotavano i leader comunisti dei paesi dell’Est infiltrando i governi democratici degli stati satelliti prima di sfiduciarli. Queste coalizioni, tramutate in opposizioni, venivano quindi accusate di essere traditrici della patria o antidemocratiche, sino a che i loro leader davano le dimissioni. Senza un’opposizione forte, i comunisti locali, come marionette, venivano trasformate in icone viventi, seppur subordinate ai loro burattinai.

 

A livello popolare la Russia aiutava questi “leaders” a costituire e a organizzare gruppi di sostegno sociale; associazioni di volontari in difesa dei lavoratori furono sponsorizzate e dirette sino ad acquisire status istituzionale, queste sarebbero state la base di consenso per prendere il potere elettorale. Questo piano fu applicato con successo in tutte le nazioni interessate, arrivando a contagiare anche alcuni degli stati europei coinvolti nel piano Marshall. Per esempio in Italia e Francia i partiti comunisti foraggiati, istruiti e coordinati da Mosca raggiungevano percentuali altissime di consenso, pur senza arrivare al potere.

 

Già dal 1945 sotto le pressioni di Stalin agli alleati i comunisti cecoslovacchi riuscirono a infiltrarsi nel governo Socialdemocratico di Benes, un moderato finora in esilio a Londra. Dopo le elezioni del 1946 questi rafforzarono le loro posizioni, costringendo la nazione a rifiutare il piano Marshall; nel Febbraio 1948, ottennero pieni poteri da un Benes rimasto senza altri partiti nella coalizione e impaurito di un probabile conflitto civile. Quando Benes rassegnò le dimissioni, lasciando agli uomini di Stalin le redini del primo governo comunista della Cecoslovacchia, gli alleati non offrirono altro che una tiepida denuncia a supporto all’ ex presidente. Presto La nazione fu allineata al Comecon (sistema di mercato sovietico), dirottando gli investimenti dall’agricoltura all’ industria, ed entrando nel Patto di Varsavia.

 

Un altro paese dove Stalin non aveva mostrato le migliori intenzioni era la Polonia, nazione invasa dai Russi nel 1939, dove questi avevano ucciso tutti i quadri militari dell’esercito Polacco rimasti prigionieri. Il comportamento di Stalin non era migliorato nel 1944 quando la Polonia era diventata un alleato. Per non supportare la rivolta contro i nazisti a Varsavia, voluta dal governo polacco in esilio a Londra, aveva ordinato l’Alt alle sue truppe e l’aveva lasciata annegare nel sangue.

 

Al labile potere degli esiliati a Londra, Stalin contrappose i polacchi riparati a Mosca, il gruppo di Chelm. Questi prende il suo nome dalla cittadina da dove nell’Aprile 1945 questa fazione, protetta dall’Armata Rossa, proclamava il primo governo post-nazista in terra polacca. I leader del governo esiliati a Londra non poterono far altro che aggregarsi per non perdere il poco potere rimastogli. Forti del mancato appoggio da parte inglese e americana alle forze democratiche polacche, le truppe russe nel paese cacciavano o arrestavano i gruppi di partigiani non allineati. I dirigenti del comitato di liberazione polacco furono invitati a Pruzkow per un accordo con Stalin in persona, invece furono arrestati, condotti alla Lubianka e costretti ad autoaccusarsi. I rimanenti membri del Partito Socialista Polacco invece vennero forzati a fondersi con i comunisti e quindi sparire dalla scena politica.

 

Dopo le elezioni del 1947 il gruppo di Chelm divenne maggioranza definitiva, suggellando il pieno passaggio al comunismo e la definitiva nuova costituzione del 1952 che affidava la guida della Polonia al solo partito Marxista.

 

L’Ungheria fu un altro esempio delle male spartizioni territoriali tra i vincitori. Il presidente Tildyafter venne eletto col 57% dei voti ma, a causa di un accordo, che prevedeva l’80 % d’influenza russa in Ungheria, egli regalò posizioni chiave del governo, quali il Ministero dell’Interno e la polizia di stato ai comunisti del gruppo di Rakosi che già dal Settembre 1944, avevano preso il potere politico. L’iscrizione al partito crebbe da 3.000 a 500.000 membri in meno di un anno. Il divenuto Primo Ministro Rakosi accusò le opposizioni di esser troppo moderate nel rapporto con l’esercito, impadronendosi anche della difesa.

 

Nonostante questo i comunisti persero le elezioni nel 1947 e per questo fondarono il Partito Ungherese dei Lavoratori, costringendo i socialdemocratici a fondersi. Il seguente passo fu la messa in illegalità degli altri partiti usando la tattica del salame. Rakosi inizio ad affettare I rivali con accusa di essere antidemocratici e reazionari. I leader del partito dei piccoli proprietari e Socialdemocratici, dimissionati l’anno prima, ora venivano arrestati. Questo fu solo l’inizio di una serie di processi che sfocio nell’ uccisione di 350.000 persone e l’imprigionamento di altre 150.000.

 

In Bulgaria il leader Sergi Dimitrov divenne primo ministro nel 1945 dopo 22 anni di esilio. Sindacalista membro del Comintern sin dal 1918, dopo un fallito sciopero di estrazione Marxista, scappo dalla Bulgaria, prima in Germania e poi in Russia. Durante il soggiorno in Germania fu accusato anche del famoso incendio al Reichstag del 1933 uscendone assolto. Quindi scappò in Russia e riapparve dopo il 1945, insieme con l’Armata Rossa. Dimitrov si dimostrò un leader davvero spietato; dopo aver governato con gli altri partiti nel Fatherland Front, nel 1945 prese il potere, fucilando i maggiori quadri dell’opposizione, abolendo la monarchia nel Settembre del 1946 e organizzando un plebiscito che vide il Partito Comunista vincere con il 95.6 delle preferenze. Quote Bulgare, appunto.

 

La Romania fu una facile preda. Dopo la caduta del regime di Antonescu ci fu una contesa dei maggiori partiti contro i Moscoviti, una generazione di Romeni educata in Russia. Le parti si accordarono durante un meeting a Mosca nel Gennaio 1945. Con l’approvazione del re, i comunisti formarono un governo con Socialisti e liberali, ma questi ultimi insieme col partito dei Contadini, furono presto messi fuori gioco dai servizi segreti ormai in mano ai comunisti. Nel 1946, dopo aver preso l’80% dei voti furono proprio i comunisti a formare il primo governo monocolore, prima di mettere a processo i leaders del fronte democratico e abolire la monarchia.

 

L’omologazione economica al Comunismo di questi paesi fu altresì rapida. Dal Gennaio 1949 il Consiglio per il mutuo aiuto nelle nazioni socialiste fu formato (Comecon) per amministrare la pianificazione economica di tutto il sistema sotto l’occhio attento del Partito Bolscevico. Il nuovo trend fu la nazionalizzazione dei mercati nazionali, grossi business privati furono inglobati in agenzie di stato. I grandi latifondi furono espropriati divisi e assegnati politicamente come era avvenuto in Russia durante la campagna contro i Kulaki (piccoli proprietari terrieri). L’Est Europa doveva rifiutare gli aiuti economici del piano Marshall, i loro leader non potevano partecipare alla Conferenza di Parigi, il commercio con i paesi oltre cortina diventava illegale e solo oggetti di produzione sovietica venivano ammessi nelle case.

 

Questo non cambiò neanche dopo la morte di Stalin, e neanche dopo le denunce di Kruscev al ventesimo congresso del partito. L’obiettivo russo restava quello di formare un’economia centralista basata su un forte, indipendente sistema industriale. Infatti dopo il 1945 la produzione industriale degli stati sovietici, in confronto agli anni prima della guerra, crebbe del 10%, ma a discapito del settore primario e della popolazione rurale.

 

Per esempio in Ungheria la produzione industriale crebbe del 85% contro il 15% dell’settore primario con conseguenti carestie e morti soprattutto nelle campagne. In Estonia più di 1.5 milioni di contadini fu deportata altrove per far spazio alle coltivazioni. Proprio i contadini furono una delle classi che subì maggiormente le decisioni del governo centrale. Avevano visto il loro mercato impoverirsi a danno di investimenti in energia e manifatture. Beni soggettivi come le abitazioni diventavano di proprietà dello stato e, anche se di povera qualità, venivano assegnate prima agli immigrati russi.

 

È chiaro come un sistema cosi sbilanciato, non tenente conto delle necessità reali della popolazione, non poteva assicurare l’approvvigionamento delle masse in questi paesi, contribuendo invece a incrementare quegli squilibri sociali che voleva eliminare. L’unico modo per tenere calmi i dissidenti era la paura.

 

Nessuno fu immune dalla paranoia Stalinista, anche leaders devoti come Gomulka e Patrascanu, accusati di essere troppo nazionalisti, furono felici di andare in pensione purché vivi.

 

Dopo il processo di destalinizzazione che seguì dopo il 1956, l’opinione di massa spinse per un miglior bilanciato rapporto di investimenti nell’agricoltura e nell’industria, maggior libertà di stampa e un minimo rapporto con l’Occidente.

 

Come Gomulka, anche altri leader caduti in disgrazia perché troppo liberali furono riabilitati, e a volte reinsediati al potere, ma neanche dopo una maggior libertà di stampa e la stabilizzazione dei rapporti con la chiesa questi furono capaci di fermare la discesa economica dell’URRS.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]