contemporanea
LA PROIEZIONE MARITTIMA CINESE NEL NUOVO
MILLENNIO
ATTIVITÀ E PROSPETTIVE
di
Emilio Paolo Delogu
Nella tradizione cinese, insieme al
monismo organicistico, alla dialettica
yin-yang, al relativismo, al
comunitarismo e a uno spiccato
universalismo morbido (F. Mazzei, V.
Volpi), una posizione di grande rilievo
spetta a quella che viene definita come
l’arte della guerra cioè quel conflitto
di eraclitiana memoria che portando a
unità apparenti opposti genera azione e
mutamento.
La più grande vittoria è quella che si
conquista senza combattere, la dote più
apprezzabile in uno statista è quella di
saper preservare la prosperità del
proprio popolo senza ricorrere
all’utilizzo di azioni militari (Sun
Tzu Ping fa) atal proposito, uno fra
i principi cardine del trattato
sull’arte della guerra è quello di
Shih tradotto, in questo caso, come
“vantaggio strategico” o “forza
potenziale” concetto peraltro similare a
quello di energia potenziale in cui
l’energia immagazzinata da un sistema
può essere riconvertita in svariate
altre forme (R. Feynman): esso consiste
nella capacità di sapersi destreggiare
in diverse situazioni volgendo a proprio
favore le condizioni determinanti al
raggiungimento di un obiettivo
specifico.
Lo Shih può essere utilizzato in
ambientipolitici e sociali differenti,
consta di un’attenta analisi del clima,
della geografia dei luoghi e delle
caratteristiche delle popolazioni,
permea di sé l’economia e lo sviluppo
dell’arsenale militare(V. Sakhuja).
Il Partito Comunista Cinese, dal 1949
saldamente al comando del Paese del
Centro (Zhōngguó), ha fatto degli
insegnamenti di SunTsu la propria
bandiera sia in politica interna che
estera portando avanti una strategia di
espansione economica e militare che
viene rubricata con un’efficace metafora
che ha più il gusto di un auspicio:
peaeceful rise, ascesa pacifica o
sviluppo pacifico.
Dai primi anni duemila, infatti, la Cina
si è inserita all’interno di un circolo
multipolare di relazioni internazionali
in cui la cooperazione alla sicurezza,
il controllo e la non proliferazione
degli armamenti pesanti e il
raggiungimento di accordi economici
bilaterali e multilaterali, hanno
contribuito in maniera sensibile alla
riduzione delle tensioni e dei timori di
alcuni importanti attori globali quali
Stati Uniti e Federazione Russa. Ma è in
special modo sul piano militare che
viene applicato con grande precisione e
meticolosità il concetto di Shih,
dove l’ottenimento di un vantaggio
strategico in una particolare “zona
calda” del pianeta significa aggiungere
un’ulteriore perla a quella grande
collana passante per il Mar Cinese
Meridionale, gli stretti di Malacca e
Singapore continuando verso l’Oceano
Indiano fino ad arrivare all’Africa
Subshariana, che costituisce la
principale fonte di approvvigionamento
energetico cinese.
La Cina sta progressivamente
riacquistando un importante ruolo di
spicco nello scacchiere internazionale
dei rapporti di forza per il controllo
del mare;la necessità di mettere in
sicurezza le rotte del petrolio e delle
fonti di energia ha contribuito
enormemente alla formulazione di una
strategia di espansione economica e
militare che prevede un massiccio
potenziamento della flotta da guerra, la
costruzione di basi militari e la
predisposizione di punti d’approdo
sicuri nell’Oceano Indiano e nel Mar
Cinese Meridionale (strategia nota
appunto con il nome di collana di
perle).
Il XXI secolo, in sostanza, sta
osservando l’ascesa della Cina quale
attore principale sulla scena marittima
internazionale dove allo scontro con gli
storici stati rivali di India e
Giappone, sialterna una politica
conciliatoria con quei paesimaggiormente
propensi a siglare accordi di
collaborazione o partnership. In questo
senso, significativo e interessante si è
dimostrato il riavvicinamento fra Cina e
Federazione Russa, iniziato col summit
di Shanghai dell’aprile del 1996 e
portato avanti col decisivo trattato del
2001 di cooperazione, amicizia e buon
vicinato col quale i due paesi
intendevano controbilanciare l’influenza
geostrategica degli Stati Uniti
scaturita dalla dissoluzione dell’Unione
Sovietica e dalla conseguente fine della
guerra fredda.
All’atto pratico, la cooperazione con la
Russia si è tradotta nell’acquisto di
materiali bellici e ad alto contenuto
tecnologico, nella pianificazione di
esercitazioni navali congiunte e nello
scambio di informazioni: rispettivamente
nel 1999 e nel 2001, le marine delle due
potenze regionali (la Flotta Russa del
Pacifico e la Marina dell’Esercito
Popolare di Liberazione) hanno dato
luogo a due massicce esercitazioni
congiunte in cui veniva simulato perfino
un attacco di bombardieri strategici
russi alle installazioni statunitensi in
Asia Orientale.
Ancora, nel 2005 e nel 2007, Cina e
Russia hanno preso parte a due missioni
di pace nell’ambito del programma di
cooperazione regionale posto in essere
dalla SCO (Shanghai Cooperation
Organization), la prima localizzata
nell’Estremo Oriente Russo e nella
provincia dello Shandong, la seconda nei
territori dello Xinjiang fino agli Urali
in Asia Centrale. Per la prima di queste
missioni, avvenuta fra il 18 e il 25
Agosto del 2005, le forze armate dei due
paesi hanno condotto un’operazione
suddivisa in tre fasiin cui i
partecipanti hanno spostato contingenti
militari terrestri e mezzi anfibi
partendo da Vladivostok, importante
città portuale che si affaccia sul
Pacifico,per arrivare nella penisola
dello Shandong; in quell’occasione la
Cina ha dispiegato più di 8.000 truppe
di terra mentre la Russia ha messo a
disposizione materiale militare ad alta
tecnologia fra cui i bombardieri
strategici TU-160 e TU-95 nonché 140
navi da guerra.
Inoltre non va dimenticato il fatto che
la Federazione Russa sia stata fra i
maggiori fornitori di materiali bellici
alla Cina tra il 1991 e il 2004,
consentendo la costruzione di
sottomarini strategici e aerei da
combattimento, lo sviluppo di tecnologia
missilistica all’avanguardia e di
sistemi d’intelligence navale superiori.
In buona sostanza, il Paese di Mezzo,
coadiuvato dall’appoggio diretto e
indiretto della Russia, sta tentando di
costruire un sistema di sicurezza
marittimo che possa in qualche modo
servire da contrappeso alla superiorità
navale e aerea degli Stati Uniti in Asia
orientale.
Guardando verso ovest e verso est,
il governo di Pechino ha combattuto e
combatte tuttora una strenua battaglia
diplomatica che si esprime in termini di
rapporti di forza militari con i due
scomodi vicini di India e Giappone: i
due paesi sono infatti i principali
attori sul piano internazionale a
costituire una reale minaccia
all’espansione cinese nel Sud-Est
Asiatico e nell’Oceano Indiano.
In modo specifico, l’India contende il
primato alla RPC in Asia Meridionale sia
per quanto riguarda il volume dei
commerci, sia in relazione alla potenza
della marina militare: in un simile
contesto, i rapporti sino-indiani, fin
dai primi anni duemila, hanno spaziato
dalla competizione alla cooperazione a
seconda dei casi, esemplare è la
questione relativa alle dispute di
confine circa i territori occupati dalla
Cina nell’area di Jammu e Kashmir, e i
territori dell’Arunachal Pradesh in cui
sono presenti forze militari indiane,
entrambe le aree sono considerate come
proprie dai due stati.
L’intento principale della RPC
nell’Oceano Indiano è quello di mettere
in sicurezza la propria catena di
rifornimento energetico che passa per
Golfo Persico e il Golfo del Bengala
dove la marina militare indiana è
maggiormente presente e forte. Per
questa ragione in termini geostrategici
risulta molto conveniente per la Cina
concludere accordi di cooperazione
economica nel Golfo del Bengala e nel
Mar Arabico al fine di
contenerel’espansionismo indiano in Asia
del sud (Dingding Chen), contenimento
che avviene mediante l’erogazione di
aiuti finanziari e assistenza
tecnologica a stati come il Pakistan e
il Myanmar che, in cambio, consentono la
costruzione sul proprio territorio
nazionale di basi militari e rimesse
navali cinesi.
Il Giappone, avversario storico del
Paese del Centro, anche nel XXI secolo è
il principale ostacolo alla formazione
di un’area di influenza cinese nel
Sud-Est Asiatico e in Asia Meridionale.
Quantunque il volume dei commerci
bilaterali far i due stati sia aumentato
esponenzialmente dall’inizio degli anni
duemila e i rapporti diplomatici abbiano
osservato una flessione positiva e una
diminuzione delle tensioni, sussistono
ancora oggi diversi elementi di
contrasto fra cui la diatriba per lo
sfruttamento dei giacimenti di gas
naturale nel Mar Cinese Orientale, i
crimini di guerra commessi dalle truppe
nipponiche durante la II guerra
mondiale, i libri di testo giapponesi in
cui tali crimini non vengono menzionati,
la disputa per le isole Senkaku/Diaoyu.
La Cina, pertanto, percepisce con grande
preoccupazione il fatto che le Forze di
Autodifesa giapponesi (JSDF, Japan
Self-Defence Force) stiano assumendo un
ruolo di crescente rilevanza strategica
in svariate aree sensibili dell’Asia, in
particolare nello stretto di Malacca,
con l’incarico di proteggere le
petroliere che dal Golfo Arabico
transitano per il Giappone,per
continuare con il supporto
prestatoall’attività anti-terroristica
statunitense nel Golfo Persico.
Al di sopra di ogni considerazione di
carattere storico o strategico, la Cina
osserva con attenzione le manovre di
politica internazionale del governo di
Tokyo poiché teme che la rinnovata
assertività nipponica possa andare a
costituire una seria minaccia a quella
che in linguaggio tecnico viene definita
military capability e cioè quella
forza potenziale, quel vantaggio
strategico, quello shih che
regola la politica di sviluppo pacifico
cinese verso occidente.
Riferimenti bibliografici:
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of Southeast Asian History, Vol. 9, N°1,
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Alphen aanden Rijn: Sijthoff&Noordhoff,
1978.
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Sun Tzu, Sun Pin, L’arte della guerra
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V. Sakhuja, Asian maritime power in
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Southeast Asian Studies, Singapore 2011.
D. Chen, The Indo-Pacific strategy: A
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2018.
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