N. 112 - Aprile 2017
(CXLIII)
esiodo
e la
poetica
del
"vero"
Riflessioni
sulla
poesia
greca
arcaica
e
tardo-arcaica
-
Parte
II
di Paola Scollo
La
poetica
del
vero,
che
costituisce
un
tratto
distintivo
del
proemio
della
Teogonia
di
Esiodo,
può
essere
messo
in
relazione
con
il
proemio
degli
Erga:
«Muse
di
Peria,
che
date
la
gloria
coi
canti,/
Zeus
qui
ora
cantate,
al
padre
vostro
inneggiando:/
per
opera
sua
gli
uomini
sono
illustri
e
oscuri,/
noti
e
ignoti,
a
piacimento
di
Zeus
grande./
Facilmente
egli
dona
la
forza,
facilmente
abbatte
chi
è
forte,/
facilmente
umilia
chi
è
grande
e
l’umile
esalta,/
facilmente
raddrizza
chi
è
storto
e
dissecca
chi
è
florido,/
Zeus
che
tuona
profondo
e
abita
le
eccelse
dimore./
Ascoltami,
a me
guardando
e
porgendo
l’orecchio:
con
giustizia
le
sentenze
raddrizza,/
tu;
io a
Perse
voglio
alcune
verità
raccontare»
(1 -
11).
Da
questi
versi
incipitari
giunge
infatti
conferma
della
coscienza
letteraria
di
Esiodo
che,
nei
versi
successivi,
attraverso
l’antitesi
tra
due
profili,
uno
positivo
e
uno
negativo,
pone
di
fatto
in
competizione
l’aedo
con
l’aedo.
Ma
c’è
di
più.
Emerge
già
nel
proemio
un
intento
paideutico,
peraltro
dominante
negli
Erga,
spiccatamente
aderente
alla
vita
reale
e
quotidiana,
quindi
al
microcosmo
esiodeo.
Pur
procedendo,
a
livello
linguistico,
nel
solco
della
tradizione
omerica,
Esiodo
introduce
numerosi
elementi
innovativi.
Primo
fra
tutti
il
costante
richiamo
a
conoscenze
personali
e
concrete
che,
espresse
nella
forma
tipica
della
dizione
epica,
vengono
nobilitate
e
calate
in
un
più
vasto
ordine
morale
e
religioso.
A
livello
stilistico
vengono
poi
utilizzati
termini
composti,
che
si
pongono
a
metà
tra
il
linguaggio
proverbiale
e
quello
criptico
dei
responsi
oracolari.
Per
quanto
concerne
la
sfera
contenutistica,
il
riferimento
al
modello
omerico
viene
a
intrecciarsi
con
elementi
di
assoluta
novità.
Basti
pensare
al
mito
di
Pandora
che,
indicando
nella
natura
femminile
la
fonte
dei
mali
per
l’umanità,
evoca
la
tradizione
semitica
del
racconto
biblico
della
creazione
del
mondo.
Ma è
soprattutto
il
proemio
a
recare
segnali
di
evidente
rottura
con
la
tradizione.
L’invocazione
alle
Muse
e a
Zeus
non
è
seguita
dall’esposizione
dell’argomento
dell’opera,
ma
dall’apostrofe
al
fratello
Perse.
E
non
casualmente.
Al
fratello,
simbolo
di
una
società
degradata
e
corrotta,
Esiodo
intende
raccontare
"alcune
verità"
(10):
«Di
contese
non
c'è
un
solo
genere,
ma
sulla
terra/
due
ce
ne
sono:
l'una
chi
la
capisce
la
loda,/
ma
l'altra
è
degna
di
biasimo,
perché
hanno
un'indole
diversa
e
opposta:/
l'una
infatti
favorisce
guerra
cattiva
e
discordia,/
crudele,
nessun
mortale
l'ama,
ma
costretti,/
per
volontà
degli
dèi,
rispettan
la
triste
Contesa./
L'altra
la
generò
per
prima
Notte
oscura/
e
l'alto
Cronide,
che
nell'etere
ha
dimora,
la
pose/
alle
radici
della
terra,
e
per
gli
uomini
è
migliore:/
essa
anche
chi
è
pigro
risveglia
al
lavoro;/
perché
se
uno
è
senza
lavoro
e
guarda
a un
altro
che,/
ricco,
si
sforza
ad
arare
e a
piantare/
e a
far
prosperare
la
casa,
è
allora
che
il
vicino
invidia
il
vicino/
che
si
adopera
per
arricchire;
e
buona
è
questa
Contesa
per
gli
uomini;
e il
vasaio
è
geloso
del
vasaio,
e il
fabbro
del
fabbro/
e il
mendico
invidia
il
mendico,
il
cantore
il
cantore»
(Erg.
11 -
26).
In
questi
versi
Esiodo
esprime
il
rifiuto
della
materia
guerresca
dell’epos
tradizionale,
rivendicando
la
propria
autonomia
artistica.
Nella
sua
immagine,
l’intenzione
poetica
non
deve
risolversi
in
un
fine
narrativo,
ma
etico.
D’altra
parte
la
società
in
cui
vive
e
opera
non
si
riconosce
più
nei
valori
della
morale
omerica:
uomo
degno
di
onore
è
colui
che
riesce
ad
affermare
la
propria
dignità
e a
raggiungere
una
discreta
agiatezza
economica
attraverso
il
proprio
lavoro,
vivendo
all’insegna
della
giustizia
e
dell’onestà.
Il
lavoro
è il
requisito
fondamentale
per
l’affermazione
della
dignità
dell’individuo,
in
quanto
contribuisce
a
ridimensionare
le
distanze
di
censo,
all’origine
di
numerose
disuguaglianze.
Benché
dominata
dalla
povertà,
la
società
in
cui
si
consumano
le
vicende
personali
di
Esiodo
appare
percorsa
da
un
vivo
desiderio
di
giustizia,
da
un
anelito
a
Dike
e a
Zeus,
garanti
dell’ordine
e
dell’uguaglianza
sociale.
In
tale
rinnovato
contesto
i
miti
fungono
da
paradigma,
modello
di
riferimento
di
un
ordine
che
nella
realtà
terrena
stenta
a
trovare
collocazione.
Soltanto
nella
giustizia
è
dunque
concepibile
un’ipotesi
di
riscatto.
Per
concludere
si
può
affermare
che
la
produzione
esiodea
oscilla
tra
tradizione
e
innovazione:
la
rievocazione
di
un
passato
mitico,
popolato
di
divinità
e di
eroi,
approda
all'’analisi
di
un
presente
di
profonda
corruzione
etica.
A
sostenere
il
poeta
è
l’intimo
desiderio
di
un
rinnovamento,
di
una
vera
e
propria
palingenesi
della
società
che
sancisca
la
fine
dell’età
del
ferro,
inaugurando
un
periodo
aureo
e di
rinascita
dominato
da
giustizia
e
uguaglianza.
E
proprio
in
tale
confronto
aperto
e
dialettico
con
la
realtà
è da
porre
la
singolare
qualità
artistica
di
Esiodo.
In
questa
mente
critica
risiede
il
fascino
del
suo
messaggio.
In
questa
voce
libera
e
indipendente,
che
giunge
a
noi
attraverso
le
mediazioni
del
tempo,
risuona
attuale
l’eco
di
un’esortazione
a
ricercare
la
verità
e a
pretendere
maggiore
giustizia
e
uguaglianza.