N. 46 - Ottobre 2011
(LXXVII)
L’esilio di Ben Ali
la gabbia dorata dell’Arabia Saudita
di Francesca Zamboni
Che Ben Ali non fosse la personificazione dell’onestà lo si era capito sin dal giorno in cui depose Bourguiba con un colpo di stato definito “medico”, vista la commissione appositamente riunita per dichiarare l’instabilità mentale del Presidente, affetto da tempo dal morbo di Alzheimer ma ancora lontano dalla totale decadenza senile avvenuta molti anni dopo.
Da qui la lenta quanto
fittizia
ascesa
di
un
uomo
che
ha
governato
un
paese
per
ben
ventitré
anni,
perseguitato
dall’ombra
e
dal
ricordo
imperante
di
un
predecessore
sopra
le
righe,
che
era
riuscito
a
fare
della
Tunisia
un’eccezione
di
democraticità
in
un
contesto
maghrebino
fortemente
ancorato
ai
precetti
islamici
classici.
La nomina di Ben Ali
avvenne
in
un
momento
in
cui
ardenti
fervori
islamici
stavano
diramandosi
nel
Nordafrica
e in
particolar
modo
in
Algeria,
una
situazione,
questa,
che
poteva
portare
ad
acerrimi
scontri
tra
i
movimenti
di
matrice
islamica
da
un
lato
e
l’Algeria
e la
Tunisia
filo-occidentale
per
eccellenza
dall’altro.
Scontri
che
avrebbero
potuto
minare
non
solo
i
paesi
nordafricani,
ma
anche
l’Italia
e la
Francia
con
possibili
danni
irreversibili
per
l’occidente.
Non solo, nei primi anni
Ottanta
Bourguiba
aveva
già
ricevuto
pesanti
intimidazioni
da
parte
dell’Algeria,
affinché
il
Presidente
conservasse
lo
status
quo
raggiunto,
lontano
dalla
costante
minaccia
islamista.
In un contesto simile,
al
governo
italiano,
come
confermato
dai
nostri
Servizi
segreti,
non
restò
altro
che
favorire
l’ascesa
di
Ben
Ali,
un
uomo
che
in
quel
determinato
momento
storico
sembrò
poter
ristabilire
un
ordine
divenuto
traballante
e
pericoloso.
Una carriera, quella di
Ben
Ali,
tristemente
ipocrita,
fatta
di
sottili
prevaricazioni
finalizzate
ad
un
potere
autoritario
(si
pensi
alla
costituzione
di
un
partito
unico),
tanto
accentrato
politicamente
quanto
ricco
di
false
promesse
mantenute
sul
ricordo
evanescente
delle
riforme
sociali
bourguibiane.
Un comportamento sporco
e
contradditorio,
smascherato
da
rivolte
popolari
con
cui
i
tunisini
non
hanno
chiesto
soltanto
la
diminuzione
del
prezzo
del
pane,
bensì
posti
di
lavoro
e
quell’emancipazione
tanto
professata
sulla
carta,
ma
poco
esercitata
nella
pratica.
Una
situazione
caotica
da
cui
Ben
Ali
è
elegantemente
uscito
con
la
propria
famiglia,
fuggendo
verso
l’esilio
dorato
dell’Arabia
Saudita
dove
è
stato
condannato
in
contumacia
a 35
anni
di
carcere.
La condanna inflitta dal
tribunale
di
Tunisi
all'ex
dittatore
e a
sua
moglie
è
relativa
alla
scoperta,
nei
due
palazzi
presidenziali,
di
una
grande
quantità
di
denaro,
gioielli,
armi
e
sostanze
stupefacenti,
ritenute
"per
uso
personale",
ma
che
comunque
descrivono
una
situazione
privata
e di
riflesso
pubblica
non
adeguata
a un
Presidente,
divenuto
o
forse
sempre
stato
incapace
di
governare
un
paese
ereditato
da
un
Bourguiba
evoluto
e
sensibile
alle
tematiche
sociali.